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Sintesi
Estratto del documento

della carne. La conseguenza di questa concezione naturalistica è che in Boccaccio la donna, da

idolo remoto e irraggiungibile e oggetto di culto, qual era nella tradizione cortese, diviene oggetto

di un desiderio maschile che deve legittimamente realizzarsi, oppure soggetto di legittimo desiderio

carnale. La donna quindi, nel Decameron, non è solo presenza passiva, “materia” inerte delle azioni

maschili, ma può assumere un ruolo attivo ed energico. In questa prospettiva assume un significato

particolare il fatto che il libro sia rivolto alle donne.

LA DONNA IN GOLDONI

La commedia goldoniana nasce nell’ambiente borghese di Venezia e si propone di riflettere

realisticamente la società contemporanea, i suoi costumi, i caratteri umani che vi si muovono e i

problemi che vi si agitano. Di questo realismo è un esempio chiarissimo “La locandiera”, con il

ritratto della sua protagonista: Mirandolina.

Di questa donna sono stati rilevati il garbo malizioso, la grazia, la briosa civetteria, il fascino della

femminilità. Mirandolina appartiene al ceto mercantile e di esso presenta sia le caratteristiche

positive come laboriosità, senso pratico, fermezza di carattere ed energia attiva; sia quelle negative

come scaltrezza, cinismo profittatore e attaccamento all’interesse materiale. Costei si vende anche

se solo metaforicamente e non fisicamente, e proprio da questo gioco trae il massimo del profitto.

Ma poi numerose e complesse sono le sfumature della sua personalità: l’egoismo, il narcisismo

sfrenato, che trova soddisfazione nell’essere sollecitato da una corte di innamorati adoranti, il

bisogno incontenibile di esercitare il suo potere sugli altri, di dominarli giocando un ruolo

“maschile”. A sedurre il cavaliere, oltre alla rivalsa sessista e classista contro il maschio misogino e

il nobile tracotante, la spinge proprio questa smania di esercitare il potere se non una segreta

avversione per gli uomini. Pertanto, Goldoni, oltre a tracciare un ritratto impietoso del tipo sociale

borghese sotto vesti femminili, dimostra una non trascurabile componente di misoginia.

UGO FOSCOLO

La concezione dell’amore per il Foscolo ha una connotazione passionale e romantica, è un

sentimento importante, vissuto come esperienza che si intreccia con quella politica. Questo aspetto

si nota nelle “ultime lettere di Jacopo Ortis” dove alla vigilia del trattato di Campoformio, Jacopo;

deluso dall’atteggiamento politico di Bonaparte nei confronti di Venezia, abbandona la città e si

ritira sui Colli Euganei.

Qui incontrerà Teresa (la divina fanciulla) e s’innamorerà, ma questo amore irrealizzabile

accentuerà il suo dolore, già presente per la patria perduta.

L’ideale dell’Ortis patriota corre sullo stesso piano dell’Ortis amante.

Le forme del corpo di Teresa sono definite “angeliche” e le labbra “celesti”. Questa celebrazione

della donna come presenza angelica rende religioso e sensuale il rapporto dell’innamorato con lei.

La situazione dell’Ortis è una situazione edipica e deriverà da questo la contrapposizione agonistica

nei riguardi del padre e l’attaccamento verso la madre.

La donna per questo autore può provare compassione, questo la porta a visitare la tomba di un

defunto mantenendone vivo il ricordo. La donna è inoltre dotata di pudore. Teresa non condivide il

criterio di utile della società e ricambia l’amore di Jacopo.

Nelle Odi sono evidenti gli echi della poetica neoclassica e una certa influenza delle Odi pariniane

galanti e amorose. Nelle Odi di Foscolo la celebrazione femminile si trasfigura nel mito ideale della

bellezza, come unico conforto per alleviare il dolore umano. Nell’ultima parte di quest’opera, viene

riconosciuta la fugacità della bellezza, compito del poeta è esternare, attraverso l’opera d’arte,

questo ideale.

Le Grazie sono un altro vertice della poetica foscoliana. Sono concepite come divinità intermedie

tra il cielo e la terra. Esse riescono a suscitare nel cuore degli uomini gli affetti più nobili. L’opera è

divisa in tre parti: il primo Inno è dedicato a Venere, il secondo a Vesta e il terzo a Pallade.

GIACOMO LEOPARDI

L’amore, per Leopardi, è la più potente delle illusioni e sarà l’ultima a morire. E’ concepito come

passione totale che coinvolge l’intera esperienza esistenziale degli individui.

Nella prima fase della sua poetica l’amore viene descritto nella “Storia del Genere umano”.

Esso, si narra, venne dato agli uomini da Mercurio come una delle illusioni che dovevano distrarli

dalla loro triste condizione di vita.

La passione senza oggetto e senza speranza si trasforma in passione reale nel ciclo delle poesie per

Aspasia dedicate all’amore per Fanny Targioni Tozzetti.

Insiste sulla grande passione concepita come prova di forza e di valore nei rapporti col mondo.

I canti d’amore del ciclo di Asparia sono molto importanti per la nascita della poetica del Titanismo:

la morte diventa prova del senso eroico suscitato dalla passione d’amore.

Sarà proprio la potente illusione amorosa che darà al poeta la forza di una sfida estrema alla

negatività del mondo, che impone il dovere di una resistenza collettiva al male del mondo.

Amore e illusione sono amati dal poeta e sentiti come felicità vera, perché coincidono con una

pienezza totale della nostra vita.

Nel canto “a se stesso” crolla per il poeta un’illusione, cioè l’amore per Fanny Targioni Tozzetti che

gli fece credere di poter essere felici sulla terra.

Questo disinganno portò al crollo di ogni mito e illusione, Leopardi li rigetta per affrontare, con

un’eroica ribellione, l’ultima lotta contro il destino.

GIOVANNI VERGA

Nelle opere previste Verga rappresenta un amore passionale, travolgente, spesso non corrisposto,

con esiti negativi e che si conclude tal volta con un suicidio.

La donna è una creatura lussuriosa, inquietante e quindi si mette in scena un amore sensuale,

contrastato e spesso torbido.

Nelle opere veriste l’amore viene concepito come un istinto, analizzato con metodo scientifico e

rappresentato in relazione all’ambiente sociale e culturale.

L’amore non rappresenta un valore “sentimentale”, non è consolatorio, non modifica la condizione

di vinti dei personaggi.

In mastro don Gesualdo esso si identifica con il matrimonio ed è utile per garantirsi un’ambita

promozione sociale, ma anche in questo caso il protagonista non può che costatare la sua solitudine

e la sua sconfitta.

Neppure nei Malavoglia l’amore è un ideale per il quale si lotta, ma spesso è accompagnato dalla

sottomissione e dalla rinuncia: è il caso di Mena che rinuncia al matrimonio con compar Alfio

perché si sente disonorata dalla sorella Lia.

Il pessimismo verghiano, inoltre, comporta il rifiuto della società borghese e dei suoi valori, in

quanto essi si oppongono a quelli propri della società arcaica. Tra questi il valore della famiglia,

difeso tenacemente da Padron ‘Ntoni, è tenuto vivo dal nipote Alessi che sposa la Nunziata.

L’autore però non propone un lieto fine consolatorio, ma mette in luce la condizione sofferta di tutti

i personaggi e l’inesorabile sconfitta che tutti subiscono.

GABRIELE D’ANNUNZIO

D’Annunzio ricercava nell’amore un molteplice godimento: il diletto di tutti i sensi, gli abbandoni

del sentimento, gli impeti della brutalità. Essendo un’esteta, anche nell’amore, traeva dalle cose

molta parte della sua ebbrezza.

La figura femminile è connotata da accesa sensualità, da una bellezza seducente e raffinata e

talvolta da una componente lussuriosa e aggressiva.

Nell’opera dannunziana ricorrono con ossessiva frequenza figure di donne fatali e distruttrici di

uomini, indizio di quella paura della donna che è un dato costante della letteratura di fine secolo.

Nel “ Piacere” appaiono due tipi di donne : Elena Muti e Maria Ferres.

Elena Muti, il cui nome richiama allusivamente Elena di Troia, è caratterizzata dal dominio totale

esercitato su di lei dai sensi, dall’eros, non controllato da alcuna istanza razionale.

Avida di piacere, ha come unico fondamento del suo essere morale uno smisurato egoismo che la

rende insensibile e disumana.

Maria Ferres è invece l’immagine sublimata ed eterea della femminilità che nella mitologia

letteraria ottocentesca è l’antitesi e il complemento della donna fatale.

Andrea Sperelli è diviso tra le due immagini femminili, la perversa Elena e la castissima Maria.

In un primo tempo Andrea s’illude che il legame con Maria possa salvarlo dalla sua profonda

corruzione, ma poi proprio la purezza della donna diviene lo stimolo di voluttuose fantasie erotiche.

Inoltre i bruni capelli di Maria, richiamando l’immagine delle tenebre e ponendosi in simbolica

opposizione al candore della neve, rivelano la presenza della carnalità anche nella donna angelicata,

evocando l’idea del peccato in contrapposizione alla sua apparente purezza.

Montale ha assegnato un ruolo importantissimo alla donna chiamata Clizia.

E’ una donna caratterizzata da luminosità, pulsione celestiale, estraneità al mondo, ma anche da

assenza, freddezza, durezza e tratti demoniaci.

Clizia è una donna salvifica ma senza alcun retrogusto stilnovista, Ella non dispensa salvezza: “è

salvezza oltremondana che i mondani possono solo intravedere e inseguire…” .

In particolare è significativo l’ingresso prepotente del motivo dell’amore e del dialogo con la donna

assente, carico di implicazioni simboliche ulteriori: la vicenda d’amore, amore lontano, impossibile

è infatti un’oggettivazione del senso di isolamento esistenziale che tormenta il poeta e che lo ritiene

ora ineliminabile.

A Clizia in particolare sono dedicati molti componimenti e per intero la sezione dei Mottetti. A

Clizia, la donna tramutata secondo il mito in girasole, Montale attribuisce fattezze stilnovistiche:

dispensatrice di segni potenzialmente salvifici, talora viene assimilata a un angelo o a un uccello;

questa caratterizzazione stilnovistica della donna verosimilmente ha per ora valore soprattutto

metaforico ed esistenziale; più tardi acquisterà espliciti significati metafisici, quando con La Bufera

e altro a Clizia verrà attribuita una simbologia cristiana.

LA DONNA E IL SUFFRAGIO UNIVERSALE

Il lavoro che segue ha analizzato il lento percorso delle donne, sicuramente faticoso, teso alla

conquista dei più elementari diritti e al riconoscimento della propria identità.

INTRODUZIONE ALLE EPOCHE PRECEDENTI

Nelle civiltà patriarcali la donna non ebbe altra funzione che quella di assicurare la discendenza alla

famiglia; per quanto fosse diritto dell’uomo ripudiare la moglie sterile o sposarsi una seconda volta,

la fedeltà della moglie al marito fu considerata indispensabile per assicurare la legittimità dei figli.

Nell’ambito della civiltà greca in cui vigeva un’accentuata disparità tra i sessi, le donne, in specie

quelle appartenenti alla classe agiata, non avevano il permesso di lasciare l’abitazione se non in

particolari circostanze; esse erano sottoposte alla potestà paterna e soggette alla tutela del fratello o

del marito.

A Roma la donna godeva di una maggiore libertà e riceveva una più completa educazione

intellettuale, pur essendo sempre sottoposta al capofamiglia.

Solo con l’avvento del cristianesimo fu riconosciuta l’uguaglianza della donna e dell’uomo davanti

a Dio; il matrimonio fu considerato indissolubile e fu vietato il ripudio della donna.

Nel medioevo iniziò l’evoluzione intellettuale della donna, anche la Chiesa riconobbe dei poteri alle

donne così esse amministravano i patrimoni appartenenti a comunità religiose.

Il rinascimento, che creò condizioni favorevoli all’evoluzione intellettuale e sociale della donna,

non segnò al pari un’evoluzione in campo giuridico: le donne non potevano contrarre obbligazioni

senza il consenso del padre o del marito. Neppure i movimenti rivoluzionari del XVIII sec.

Segnarono un progresso nel regime giuridico della donna. Si ebbero dei cambiamenti alla fine del

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