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carattere erudito e filologico, tragedie, poesie e prose di impronta

accademica.

Momento di svolta nella sua produzione è la conversione

erudizione bello,

dall’ al

letteraria cioè il periodo tra il 1815 e il

1816 in cui i suoi interessi passano dalla filologia alla poesia.

Comincia la corrispondenza con Pietro Giordani (che nel’18 sarà

ospite in casa Leopardi) e contemporaneamente lo sconvolge la

visita della cugina di cui crede di innamorarsi.

Zibaldone

Nel 1817 inizia la stesura dello che lo impegnerà fino

al 1832. In questo anno avviene la seconda conversione letteraria

bello vero

dal al , cioè dalla poesia di immaginazione ricca di

immagini fantastiche a quella sentimentale ispirata alla riflessione

sull’infelicità della vita.

Il 1819 è un anno di crisi: prima una malattia agli occhi che gli

impedisce di dedicarsi allo studio, successivamente un fallito

tentativo di fuga dall’odiata Recanati e dall’ambiente familiare

sfavorevole e negativo, così come le altre iniziative di andarsene.

La sera del dì di festa, Bruto

Con questa sfiducia interiore scrive

minore, Ultimo canto a Saffo.

Il 17 novembre finalmente lascia Recanati e si trasferisce a Roma

presso degli zii. Qui resterà fino al 28 aprile 1823 ma rimane assai

deluso dall’arretrato ambiente culturale: definisce infatti la capitale

una grande Recanati. La sola cosa che lo colpisce è la tomba del

Tasso. Dopo circa un anno e mezzo torna presso il paese natio ma la

delusione è grande. Leopardi comincia a ripiegarsi in se stesso e a

meditare sul suo dolore che è in realtà il dolore dell’umanità intera.

Numerose meditazioni filosofiche e il fatto che il Leopardi non creda

Operette morali,

in Dio, lo spingono a scrivere le concluse nel ’24 e

riguardanti i problemi della vita.

Nel ’25 è invitato a recarsi a Milano dall’editore Stella che lo

assume per tradurre opere classiche ma se ne andrà presto da

questa bella città, di cui però non gli piace la gente. Vive quindi tra

Bologna, Firenze e Pisa. A Bologna incontra vecchi amici quali

Pietro Giordani; la città gli piace molto sia per la sua allegria sia per

la vitalità. Stringe amicizia con la contessa Teresa Carniani Malvezzi

che però finirà presto. A Firenze conosce il Manzoni e il Pellico

presso il gabinetto Viesseux, mentre a Pisa trascorre gli anni più

belli della sua vita. Qui il clima è più favorevole e adatto alla sua

salute e grazie all’ambiente sereno riprende a scrivere componendo

Idilli, A Silvia, Il passero solitario, La quiete dopo la

i grandi tra cui

tempesta, Il sabato del villaggio, Canto notturno di un pastore

errante dell’Asia. www.matura.it

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Dal novembre del 1928 fa ritorno a Recanati da cui pensa di non

potersi mai più allontanare. Ciò sarà invece possibile grazie alla

proposta di Colletta che lo invita a Firenze. Conosce la bella ed

intelligente Fanny Taglioni Tozzetti di cui si innamora inutilmente.

Aspasia.

Per lei scrive cinque poesie che compongono il ciclo

A causa della malattia agli occhi nell’estate del ’33 si trasferisce

a Napoli, città dal clima mite, in compagnia dell’amico Ranieri.

La ginestra Il tramonto della

Scrive il suo testamento spirituale e

luna per poi morire il 14 giugno 1837 a causa del precario stato di

salute ed essere seppellito vicino alla tomba di Virgilio.

nasce a Danzica il 22 febbraio 1788.

Il padre è banchiere e la madre una nota scrittrice di romanzi.

Viaggia in Inghilterra e in Francia e dopo la morte del padre

comincia a frequentare l’Università di Gottinga, dove ha come

maestro di filosofia lo scettico Schulze. Influenzano notevolmente il

suo pensiero le filosofie di Platone e di Kant. Frequenta le lezioni di

Fichte a Berlino e nel 1813 si laurea all’Università di Jena.

Tra il 1814 e il 1818 Schopenhauer vive a Dresda dove compone

Sulla vista e sui colori

lo scritto e prepara la stampa della sua opera

Il mondo come volontà e rappresentazione

principale che pubblica

nel dicembre 1818 e che non ha alcun successo.

Dal 1820 al 1832 insegna come docente libero presso l’Università

di Berlino con poca fortuna. Contemporaneamente viaggia in

Francia e in Italia e, a causa di un’epidemia che lo costringe a

lasciare Berlino, si trasferisce definitivamente a Francoforte sul

Reno dove morirà il 22 settembre 1861.

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Molti sono gli influssi culturali di Schopenhauer: Platone e la

teoria delle idee come forme eterne ed immutabili; Kant per quanto

riguarda il problema gnoseologico della conoscenza e importanza

del soggetto nel processo di comprensione del mondo che non si

muta e non si modifica ma sta al centro organizzando la natura e il

rapporto fenomeno-noumeno; l’Illuminismo e il materialismo come

tecniche per smascherare e demistificare la realtà mostrando la vera

essenza del mondo; il Romanticismo per il tema dell’infinito e del

dolore; la sapienza e le filosofie indiane, il Buddismo ed i testi sacri

come i Veda ed i Purana. Ma la critica maggiore è diretta nei

confronti dell’idealismo romantico di cui sono permeati gli anni in

cui vive ed opera: Schopenhauer disprezza questa filosofia, quella di

Fichte e di Hegel in particolar modo con il panlogismo ottimistico,

filosofia dell’Universalità farisaica.

definendola e

Anche Leopardi dal canto suo non vuole essere definito un

romantico sebbene tratti spesso il tema dell’infinito, tanto caro a

quei pensatori, e si senta molto nelle sue composizioni l’animo del

poeta.

Sicuramente l’ambiente in cui i due pensatori si sviluppano è

importantissimo. Leopardi inizialmente pensa alla natura come

madre benigna ma che è in continuo e aperto contrasto con la

ragione. Il rapporto benevolo che è creato dalla natura con l’uomo è,

infatti, distrutto dalla ragione nemica; proprio questa ha inserito

l’uomo negli affari, nella società, nella guerra costringendolo a

distaccarsi da tutto ciò che prima amava fare: contemplare la

natura. L’uomo è andato così via via imbarbarendosi ed ha

dimenticato la bellezza dell’età dell’oro. Questo, che è il

pessimismo storico e che riguarda tutta la società, si accentuerà

cosmico.

pessimismo

ancora di più nella fase del Dopo la fallita

fuga da Recanati, al di là di cui esiste la vita, ogni suo sogno cade, le

illusioni sono infrante, non esistono più sogni.

In questa nuova teoria si vede, come prima, la ragione in contrasto

con la natura. Tutto però cambia: la natura è ora vista da Leopardi

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come matrigna, incurante dei dolori che provoca alle sue creature, e

l’unico modo che ha l’uomo per liberarsi è la ragione. Le riflessioni

teoria del piacere

sull’infelicità lo spingono a formulare la : l’amor

proprio dell’individuo porta a ricercare un piacere infinito per

estensione e per durata. Questa felicità però sfugge, non esiste, è un

divario insanabile causato dalla natura. L’individuo, anche nel

momento del maggior piacere, continuerà a sentire l’assillo del

desiderio non colmato che porterà patimento e causerà sofferenza

anche quando non si soffre di mali materiali. A ciò si aggiunge la

delusione storica: la storia crea una società alienante, i cui desideri

sono il lusso, il denaro ed il potere. Per averli si acuisce l’egoismo e

il consumismo. Coincide con questo anche una fiacchezza

individuale perché materialista, si dimentica della cura

dell’intelletto. I “nuovi eroi” sono ora i banchieri, gli imprenditori,

tutti coloro che possiedono il denaro. La ricchezza culturale del

passato si affievolisce per lasciar spazio ad un eroe di carta sonante.

Questa colpa è della natura creatrice, che ha permesso tutto ciò

senza pensare alle conseguenze: la ragione è l’unica in grado di

porre un freno alla freddezza, alla corruzione, al meccanismo della

natura. Per questo Leopardi accetta in parte le teorie illuministiche

che riguardano la ragione, senza però essere positivo. Cadono così

quei dettati che la famiglia gli aveva imposto: si allontana da Dio

come gli illuministi (madre), disprezza i conservatori e i

tradizionalisti (padre).

Leopardi pensa che l’uomo sia un punto nell’universo schiacciato

dal rigore fisico della natura che procede indifferente alla felicità

(che comunque non esiste) ma in particolare che la vita sia

piacere, dolore noia.

caratterizzata da tre stati ben definiti: e

La vita è, per questi due pensatori, un pendolo che oscilla tra

dolore noia.

e Il primo è derivante dal piacere: infatti, poiché

questo non può essere raggiunto dall’animo umano che tende

inesorabilmente ad esso, il desiderio inappagato provoca la

sofferenza che è quindi connaturata alla vita. I pochi e finiti momenti

di piacere sono solo delle brevi parentesi che non appagano questa

ricerca: il piacere è mancanza di dolore. Ma non appena vengono a

mancare i desideri che spingono l’uomo ad ottenerli, ecco che

noia,

sopraggiunge la cioè l’assenza di sentimento, il vuoto

dell’anima. Raggiungere il piacere è impossibile: è un’illusione.

Il solo momento della vita in cui non ci si preoccupa del dolore è

Silvia, rimembri

la giovinezza, incarnata nella figura di Silvia:

ancora / quel tempo della tua vita mortale, / quando beltà splendea /

negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi / e tu, lieta e pensosa il limitare /

di gioventù salivi? [da G. Leopardi, A Silvia]. Silvia è simbolo di

speranza e giovinezza e con la sua morte finisce la bella età

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spensierata e inconsapevole che si contrappone invece all’età adulta

Il

con la caduta di ogni speranza. Questo contrasto è più esplicito ne

sabato del villaggio: la donzelletta si prepara per il giorno di festa

con serenità, mentre la vecchierella non può far altro che pensare al

passato.

Ecco qui riassunto il pensiero del Leopardi tratto da un passo dello

Zibaldone: L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi) desidera

sempre essenzialmente, e mira unicamente, benché sotto mille

aspetti, al piacere, ossia alla felicità. […] Questo desiderio e questa

tendenza non ha limiti né per durata né per estensione. […] Il fatto è

che quando l’anima desidera una cosa piacevole, desidera la

soddisfazione di un suo desiderio infinito, desidera veramente il

piacere, e non un tal piacere; ora nel fatto trovando un piacere

particolare, e non astratto, e che comprenda tutta l’estensione del

piacere, ne segue che il suo desiderio non essendo soddisfatto di

gran lunga, il piacere appena è piacere, perché non si tratta di una

piccola ma di una somma inferiorità al desiderio e oltracciò alla

speranza. E perciò tutti i piaceri debbono esser misti di dispiacere,

come proviamo, perché l’anima nell’ottenerli cerca avidamente

quello che non può trovare, cioè una infinità di piacere, ossia la

soddisfazione di un desiderio illimitato .

La quiete dopo la tempesta,

Come si vede nella poesia il piacere,

questa tensione titanica dell’uomo a raggiungere ciò che non esiste,

scaturisce dopo la metaforica tempesta: il piacere è assenza di

piacer figlio d’affanno

dolore: (verso 32), basta una gioia a far

natura cortese,

dimenticare le sofferenze. Chi permette questo è la […]Uscir

apostrofata così ironicamente dal Leopardi, che continua

di pena/ è diletto fra noi. / Pene tu spargi a larga mano; il duolo /

spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto / che per mostro e miracolo

talvolta / nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana / prole cara agli

eterni! assai felice / se respirar ti lice / d’alcun dolor: beata / se te

d’ogni dolor morte risana. La strofa conclusiva dell’ode, dopo l’ironia

contro la natura indifferente, contiene un altro concetto

fondamentale del pensiero di Leopardi: la morte come quiete, come

termine di tutte le sofferenze causate dalle illusioni del piacere. Il

suicidio è quindi la scelta più utile per l’uomo; solo motivazioni

filosofiche (il suicidio è contro natura) o religiose (è una colpa contro

la divinità creatrice) potrebbero negarne la legittimità. Troviamo

Bruto minore Ultimo canto a Saffo.

questa soluzione in opere come e

Il suicidio è atto di libertà, è un gesto eroico: la morte volontaria è

Canto notturno di un pastore errante

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