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nozze. Giunta alla rupe viene rapita da Zefiro e condotta in un palazzo rivestito
d’oro e pieno di ricchezze. Lo sposo le faceva visita solo di notte e Psiche non
poteva vederlo. Con il passare del tempo Psiche comincia ad affezionarsi e gli
chiede di poter rivedere le sorelle. Lo sposo, inizialmente contrario, infine
accetta. Le sorelle, facendole visita, inizialmente si rallegrano, ma poi
cominciano ad essere invidiose della fortuna di Psiche. Capendo durante la loro
seconda visita che Psiche non aveva idea di chi fosse suo marito, la convincono
che questi sia un drago assassino e che lei debba vederlo per poi ucciderlo.
Psiche seguendo i loro consigli quando il marito si addormenta, prende una
lucerna e scopre che questi è Amore. A questo punto vorrebbe infilzare il
pugnale nel proprio petto piuttosto che in quello dell’amante. Mentre esamina
le frecce dello sposo, accidentalmente si ferisce e diventa ”Cupida di Cupido”.
Avvicinandosi con la lucerna, una goccia d’olio brucia il Dio che si sveglia e
abbandona Psiche. La ragazza, disperata, cerca di suicidarsi senza successo.
Ora, con l’inganno induce le sorelle a buttarsi dalla rupe convincendole che
Zefiro le avrebbe condotte al palazzo del Dio che le avrebbe fatte loro spose. In
seguito comincia a invocare tutte le Dee e infine, consigliata da Pan, prega il
Dio dell’amore e sua madre. Venere fa portare Psiche nel suo palazzo, comincia
a picchiarla anche se gravida e le impone di superare quattro prove per
ricongiungersi ad Amore: separare un miscuglio di diversi semi e fagioli entro
l’alba, raccogliere la lana d’oro di alcune prodigiose pecore, attingere l’acqua
dall’altissima rupe dove è la fonte dello Stige e portare alla Dea un vasetto di
bellezza che si dovrà far dare da Persefone. Con l’aiuto rispettivamente di
formiche, una canna, l’aquila di Zeus e una torre, Psiche riesce nelle sue
imprese ma, a un passo dal successo, apre il vasetto per voler prendere un
poco di quella divina bellezza al fine di poter piacere di più all’amato. La
sostanza donatagli, però, è un veleno che la fa addormentare profondamente
senza possibilità di svegliarsi. Nel frattempo Amore riesce a fuggire dalla cella
in cui era stato imprigionato dalla madre e, con il consenso di Zeus, corre in
aiuto dell’amata svegliandola e offrendole dell’ambrosia affinché divenga
anche lei immortale. Vengono dunque celebrate le nozze celesti e in seguito
nasce la loro figlia: la Voluttà.
Il ruolo della favola all’interno del romanzo di Apuleio
Amore e Psiche
I toni squisiti e delicati della lunga novella di sviluppano un
intreccio parallelo e simmetrico alle avventure principali di Lucio nella
proposizione della serie colpa-pena-espiazione-felicità. Non è un caso che
questa storia venga narrata esattamente al centro del romanzo: inizia nel IV
libro per poi terminare nel VI. Colei che racconta è una vecchia proveniente
dalla Tessaglia che cerca di tranquillizzare una promessa sposa rapita dai
briganti che sono diventati i padroni dell’asino-Lucio.
“La favola è in realtà un’iniziazione al destino femminile che passa
necessariamente per un cammino di sofferenza; infatti, Psiche può
ricongiungersi all’amato soltanto dopo sciagure e sofferenze.” In entrambi,
2
infatti, è l’iniziativa del femminile che mette in moto gli eventi: da una parte la
protagonista, dall’altra la Dea Iside.
La solidificazione, la trasformazione di Lucio in Sole-Luce-Dio, è nello stesso tempo una
trasformazione nel figlio di Iside, in Horus-Osiride oppure Arpograte, che viene generato
e rigenerato dalla grazia della Grande Madre. In ogni caso è il femminile ad assumere la
2 Da Erich Neumann, Amore e Psiche , Casa Editrice Astrolabio, 1989 3
guida con la redenzione di Lucio attraverso Iside e l’iniziazione ai suoi misteri. Se dietro
la trasformazione di Lucio in asino e dietro le sue sofferenze c’era la malvagia Dea del
destino, adesso è la buona Dea del destino che come Sophia-Iside, la più grande delle
Dee s’impadronisce di lui e lo conduce alla redenzione. Così, in modo impercettibile e
quasi invisibile, questo evento si riallaccia alla favola di Psiche. Anche nella favola gli
avvenimenti sono determinati dall’attività del partner femminile, cioè da Psiche. Le
metamorfosi di Eros, Eros come drago, Eros come mostro e marito, Eros dormiente e
infine Eros Dio che salva Psiche e la desta all’esistenza più alta: tutti questi stadi non
sono raggiunti dall’attività dello stesso Eros, ma attraverso le imprese e le sofferenze di
Psiche. È sempre lei quella che intraprende, soffre, realizza e porta a compimento, e in
fondo anche la manifestazione del divino, di Eros, è determinata dall’attività amorosa e
conoscitiva della parte femminile, dell’umana Psiche. Nell’Eros della favola di Psiche
come nel Lucio dell’iniziazione a Iside il corso degli eventi non deriva dall’attività dell’Io
maschile ma dall’iniziativa del femminile. In entrambi i casi, l’andamento delle cose, nel
bene e nel male, è indirizzato da questo principio femminile sinanche in opposizione a
un Io maschile riluttante e passivo. Tali sviluppi, però, in cui la “spontaneità della
psiche” e la sua vitale capacità direttiva decidono in mondo determinante della vita del
maschile, ci sono noti dalla psicologia dell’uomo creativo come dalla psicologia dei
processi di individuazione. In tutti questi processi in cui”Psiche guida” e il maschile
segue, l’Io depone il proprio ruolo di guida ed è guidato dalla totalità. […] Mentre nella
favola di Psiche il mito dell’individuazione femminile conduce all’unione suprema del
femminile con l’amante divino, il romanzo di Apuleio, come per integrare questa
iniziazione femminile con una maschile, termina con l’introduzione di Lucio al mistero di
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Iside, in cui la Grande Madre si rivela come Sophia e come Eterno Femminino.
La fabula milesia
Sappiamo con certezza che la favola di Amore e Psiche non è un’invenzione di
Apuleio: questi la narra nella sua opera ma probabilmente essa era una delle
tante novelle di carattere licenzioso che si tramandavano oralmente negli
ambienti ellenici. Fulgenzio attesta che in realtà Apuleio avrebbe tratto la
favola dagli scritti di Aristofonte di Atene, tuttavia questo dato non può darsi
per certo. È però noto che molti degli autori classici conoscevano la vicenda. La
prima raccolta di novelle vera e propria è la Fabula Milesia (Μιλησιακά o
Μιλησιακοί λόγοι) di Aristide di Mileto. Il titolo della raccolta presuppone una
connessione con la città di Mileto. Forse si riferisce all'origine dell'autore o al
carattere lascivo e molle attribuito agli abitanti di quella città o forse ancora è
una parodistica imitazione dei titoli della tradizione logografa ionica di età
ellenistica.
Dell'autore mancano del tutto dati biografici e cronologici. Tuttavia, si tende a
collocarlo tra la fine del II e l'inizio del I secolo a.C., ponendo la sua attività
congetturalmente tra il 126 e il 90. Dalla Ionia arrivarono poi a Roma attraverso
la traduzione in latino di Lucio Sisenna, storico e oratore del I secolo a.C., e qui
ebbero un’ampia diffusione e un notevole successo. Ne siamo certi poiché
Plutarco, nella Vita di Crasso, racconta che, durante la battaglia contro i Parti a
Carre (53 a.C.), racconta che la truppa nelle pause della battaglia, si distraeva
fabulae milesiae Sisenna.
con la lettura delle tradotte da Lucio Altra
testimonianza di questa grande diffusione ci è fornita da Ovidio. Questi, nei
Tristia, per protestare espressamente contro le motivazioni del suo esilio, al
quale sarebbe stato condannato probabilmente a causa dell’eccessiva
3 Vd nota 2. 4
dell’Ars Amatoria,
licenziosità afferma che sia Aristide sia Sisenna avevano
legato il proprio nome ad un genere più sfrontato del suo, eppure non erano
stati esiliati:
"iunxit Aristides milesia crimina secum / pulsus Aristides nec tamen urbe sua
est" (Trist., II, 413-414)
"vertit Aristiden Sisenna nec obfuit illi historiae turpes inseruisse iocos" (Trist.,
II, 443-444)
La prima citazione chiarisce un punto importante della tecnica utilizzata dagli
fabulae milesiae,
scrittori di ovvero la narrazione in prima persona con
impostazione autobiografica, probabilmente a causa della precedente
diffusione orale delle favole. E’ interessante rilevare come Ovidio definisca
milesia crimina turpes iocos
e le favole in questione con termini simili a quelli
utilizzati da Plutarco, Crassus, XXXII, "acolasta biblia", vale a dire "libri sfrenati,
licenziosi". Alla tradizione milesia risale anche una tecnica ad incastro in cui un
personaggio narra una novella all’interno della vicenda. Questo artificio di
sermo milesius:
fondere diverse novelle è qualificato appunto da Apuleio come
"At ego tibi sermone isto milesio varias fabulas conseram".
Gli studi di Propp
V. Ja. Propp, russo vicino alla corrente formalista, nella sua opera dedicata alla
struttura delle fiabe di magia "Morfologia della fiaba" (Torino, Einaudi, 1966;
prima ed. originale 1928) ha mostrato come in tutte le fiabe agisca uno schema
invariante, riconducibile a trentun funzioni narrative disposte sempre nello
stesso ordine.
Propp parte dalla constatazione che nelle favole possono essere ritrovate
"grandezze costanti" e "grandezze variabili". Cambiano i nomi dei personaggi e
i loro attributi (grandezze variabili), ma non le loro azioni, o funzioni (grandezze
costanti e morfologicamente influenti): da cui la conclusione che la favola non
chi
di rado attribuisce un identico operato a personaggi diversi. Cambia fa una
come che cosa.
certa azione e la fa, ma non cambia il Questo spiega
l'ambivalenza della favola: la sua sorprendente varietà da un lato, la sua non
meno sorprendente ripetibilità dall'altro. Le funzioni dei personaggi (e Propp ne
individua appunto 31) rappresentano dunque le parti invarianti e fondamentali
della favola, che devono essere definite tenendo conto del significato di una
data funzione (allontanamento, divieto, infrazione, fuga ecc.) all'interno della
vicenda narrata. Per funzione si deve quindi intendere "l'operato di un
personaggio determinato dal punto di vista del significato per lo svolgimento
della vicenda".
Le 31 funzioni non sono tutte presenti in tutte le favole, ma la loro successione
è identica: l'assenza di alcune funzioni non muta l'ordine della altre.
In rapporto alle 31 funzioni si possono individuare 7 "sfere d'azione" a cui
antagonista, donatore, aiutante, principessa e suo padre,
corrispondono 7 ruoli:
mandante, eroe, falso eroe. Un solo personaggio può abbracciare più sfere
d'azione o, caso opposto, una sola sfera d'azione può essere ripartita fra più
personaggi. 5
La tavola delle funzioni narrative
<<i>> e k q
situazione iniziale allontanamento divieto infrazione
w j y
v delazione tranello connivenza
investigazione
X Y W ->
danneggiamento mediazione, momento inizio della reazione partenza
di connessione Z
D E R
conseguimento del mezzo
prima funzione del donatore reazione dell'eroe trasferimento
magico
L M V Rm
lotta marchiatura vittoria rimozione
<- P S O
ritorno persecuzione salvataggio arrivo in incognito
F C A I
pretese infondate compito difficile adempimento identificazione
Sm T Pu N
smascheramento trasfigurazione punizione nozze
situazione iniziale, simbolo <<i>>
Come situazione iniziale, uno dei due tipi di introduzione che si riscontrano
nella "fiaba di magia" è quello in cui si presentano la vittima e tutti i suoi: in
Apuleio si presentano appunto il re, la regina e le tre figlie (Erant in quadam
civitate rex et regina. Hi tres numero filias habuere. Apuleio, Matam. IV, 28,1).
Propp osserva che, se l'antagonista è incluso nella situazione iniziale, si tratta
appunto di un membro della famiglia: in Apuleio le antagoniste saranno le
sorelle ed esse si trovano appunto citate nella presentazione della situazione
iniziale (Apuleio, Metam. IV, 28,1).
allontanamento, simbolo e
Questa funzione prevede vari esempi tipici di partenze, sia volontarie che
forzate, sia momentanee che prolungate; inoltre si può trattare sia