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Italiano: Eugenio Montale (La danzatrice stanca)
Latino: Apuleio (Le metamorfosi)
Inglese: Williamo Wordsworth ( I wandered lonely as a cloud)
Storia dell'arte: Edgar Degas
Fisica: momento angolare e rotazione
Geografia astronomica: la rivoluzione terrestre
N IETZSCHE E LA DANZA
Una parte importante della filosofia di Nietzsche è la
teoria dell’esistenza di uno spirito apollineo e di uno
spirito dionisiaco. L’uomo, in tutti questi secoli, ha
represso lo spirito dionisiaco perché simbolo degli istinti e
delle passioni senza rendersi conto che dire di no ad esso
significava dire no alla vita. E’ proprio in questa parte del
pensiero niciano che la danza assume grande importanza.
Il primo approccio del filosofo alla danza sembra derivare
dalla lettura della Bibbia che è piena di passaggi dove la
danza è presente, incoraggiata e persino richiesta come
espressione della relazione con il dio. Influenze
successive sono poi giunte dai suoi studi dell'arte
romantica, delle poesie e delle antichità greche e romane.
Nell’antica Grecia, infatti, i culti in onore di Dioniso
erano accompagnati da danze estatiche in cui l’uomo si univa al dio, come succedeva alle menadi,
le donne possedute dagli dei che correvano a danzare nei boschi. In queste situazioni l’uomo
possedeva un’“eccedenza di sentimento” che esprimeva tramite il pensiero o attraverso
l’armonico connubio tra il gesto (la danza) e il suono (la musica) che diventa pura volontà e
accrescevano il piacere dell’esistere.
Nietzsche tratta il rapporto tra uomo e danza in particolare in due delle sue opere: “La nascita
della tragedia” e “Così parlò Zarathustra”.
Nel primo testo, il filosofo afferma che l'uomo è mosso da due impulsi: quello apollineo
(razionale) e quello dionisiaco (istintivo e irrazionale). Anche se entrambe queste energie sono
necessariamente presenti in ogni opera artistica, lo spirito apollineo domina le arti visuali mentre
quello dionisiaco si trova nella musica e nella danza ed è l'energia che l'uomo deve recuperare per
non vivere passivamente ma, accettando anche il proprio destino, per diventare volontà di potenza
dicendo sì alla vita. 6
Danzare, per Nietzsche, è, prima di tutto, un'attività simbolica, una forma di espressione umana,
unica per il fatto che utilizza il corpo nel suo insieme. Questa capacità di trasformare il corpo in
un insieme di simboli è qui celebrata perché ci porta ad esprimere l’“essenza della natura” e
permette a ogni individuo di sentire il proprio corpo che plasma immagini in movimento di se
stesso come membro della natura, partecipante al ritmo continuo di distruzione e creazione della
natura stessa.
Nel testo “Così parlò Zarathustra” la riflessione sul tema della danza si amplia in quanto il
profeta persiano Zarathustra, disceso nel mercato, viene riconosciuto da un eremita che associa il
suo modo di camminare alla figura del ballerino. Zarathustra risponde che, contrariamente
all'eremita che canta, piange, ride e ama dio ma non l'uomo perché quest'ultimo è troppo
imperfetto e quindi non sa danzare, egli ama l'uomo e supera l'attaccamento al dio innamorato
dell'uomo per amare la danza e conseguentemente la vita. Zarathustra afferma: “Io credo solo in
un dio che sa danzare” e questo sottolinea come egli rifiuti il dio che rimane fisso nella forma di
un mondo eterno mentre egli deve essere dinamico e superare se stesso diventando uomo. Egli ha
quindi l'energia e la forza di affermare la vita, di avere fiducia nella terra e nel superuomo, capace
di dominare se stesso salvandosi dal nichilismo. In conclusione è solo colui che danza che può
elevarsi fino a dio, sciogliersi in quel flusso di vita da cui si era separato perdendo lo spirito
dionisiaco, esprimere contemporaneamente l'appartenenza al cielo e alla terra e per questo
afferrare pienamente il mondo. 7
E M : “ ”
UGENIO ONTALE LA DANZATRICE STANCA
Torna a fiorir la rosa
Che pur dianzi languia…
dianzi? Vuol dire dapprima, poco fa.
e quando mai può dirsi per stagioni
che s’incastrano l’una nell’altra, amorfe?
ma si parla della rifioritura
d’una convalescente, di una guancia
meno pallente ove non sia muffito
l’aggettivo, del più vivido accendersi
dell’occhio, anzi del guardo.
è questo il solo fiore che rimane
con qualche merto d’un tuo dulcamara.
a te bastano i piedi sulla bilancia
per misurare i pochi milligrammi
che i già defunti turni stagionali
non seppero sottrarti. poi potrai
rimettere le ali non più nubecola
celeste ma terrestre e non è detto
che il cielo se ne accorga. basta che uno
stupisca che il tuo fiore si rincarna
si meraviglia. non è di tutti i giorni 8
in questi nivei défilés di morte.
Questa lirica fu scritta dal poeta Eugenio Montale nel
1969 ed entra nella raccolta del 1973 “Diario del 71 e
del 72”. È stata dedica alla celebre Carla Fracci prima
ballerina del Teatro della Scala di Milano. Negli ultimi
anni la ballerina è stata oggetto di critiche, anche aspre,
legate al prolungarsi della sua presenza sulla scena.
Montale scrisse “La danzatrice stanca” nel momento in cui la professionista si ritirò dalla scena a
causa della sua maternità, pensando già al momento in cui quest’ ultima avrebbe fatto il suo
ritorno sui palcoscenici esattamente come una rosa che rifiorisce e torna a danzare fresca e
delicata come prima.
Tornerà ad essere splendente, ed avere un nuovo colorito ed uno sguardo nuovo, profondo, inteso
come lo è, appunto, lo sguardo di una madre.
Tornerà a mettere i suoi piedi sulla bilancia per vedere, ancora una volta, l’ago segnare quei pochi
chili che le ballerine possono permettersi di avere.
Successivamente potrà indossare nuovamente un tutù di tulle e quelle fatidiche, preziose ed
indispensabili scarpette dalla punta di gesso che la faranno sembrare un angelo fuggito dal cielo
per ravvivare e, in qualche modo, rassicurare gli animi di noi uomini in terra.
Danzerà a ritmo di musica, con movimenti lenti e disinvolti, con un sorriso velato sul volto e con
lo sguardo di chi mette tutta la sua passione ed è in questo modo che entrerà nei nostri cuori…
IN PUNTA DI PIEDI…SILENZIOSAMENTE! 9
A : M
PULEIO LE ETAMORFOSI
L’origine etimologica della parola danza non deriva direttamente dal latino. I romani infatti sono
tra i primi a comprendere la portata e la complessità culturale, antropologica e religiosa della danza
all’interno della loro società. Non a caso, in latino, esistono ben tre lemmi che si possono ricondurre
semanticamente al lemma moderno: chorea (danza in coro), saltatio (ballo) e tripudium (danza
sacra). La danza diventa parte integrante dei costumi romani tanto da essere associata a celebrazioni
religiose, ma anche militari. Presente anche nell’Asino d’Oro di Apuleio, come apertura di uno
spettacolo teatrale, viene chiamata danza pirrica, perché la sua
invenzione viene tradizionalmente ricondotta a Pirro, figlio di Achille:
“Giovinetti e fanciulle nel fiore degli anni, tutti assai belli e
splendidamente vestiti, avanzano con grazie, s’accingevano a
danzare la pirrica alla maniera greca e, in file serrate,
compivano eleganti evoluzioni, ora formando cerchi, ora
disponendosi per linee oblique o ad angolo a formare un quadrato, ora
dividendosi in due schiere. Ma quando uno squillo di tromba pose fine a tutte
quelle giravolte ed a quei complicati esercizi, le tende furono arrotolate, il sipario
venne piegato ed apparve la scena” (Apuleio, Le Metamorfosi, Libro II, cap. 29) 10
Altra figura importantissima nella cultura romana era quella del pantomimo: spesso un danzatore
– acrobata, che danzava e mimava ai margini della scena ciò che gli attori narravano. Esiste una
bella rappresentazione del mito di Paride nell’Asino D’Oro di Apuleio attraverso l’uso della
pantomima: “Un fanciullo bellissimo e tutto nudo salvo che per la piccola
clamide che gli copriva la spalla sinistra; erano uno stupore i
suoi capelli biondi e da essi spuntavano due piccole ali d’oro,
simmetriche, perfette; era Mercurio e portava la verga ed il
caduceo. A piccoli passi di danza egli avanzò reggendo nella
destra una mela d’oro che porse al giovane raffigurante
Paride, indicando con un cenno l’incarico che gli aveva affidato Giove, poi con
la stessa grazia si ritrasse e scomparve.” (Apuleio, Le Metamorfosi, Libro II, cap.
20)
Numerosissimi i riferimenti alla danza degli dei, in feste, od in occasione di momenti gioiosi
come per esempio per il banchetto nuziale di Amore e Psiche nell’Asino D’Oro di Apuleio:
“All’istante fu servito un suntuoso banchetto nuziale: lo sposo
era seduto al posto d’onore e teneva fra le braccia Psiche, poi
veniva Giove con la sua Giunone e quindi, in ordine
d’importanza, tutti gli altri dei. Poi fu la volta del nettare, il vino
degli dei; ed a Giove lo servì il suo coppiere, il famoso
pastorello, agli altri, Bacco. Vulcano faceva da cuoco, le Ore adornavano tutto di
rose e d’altri fiori, le Grazie spargevano balsami e le muse diffondevano intorno
le loro soavi armonie. Apollo cominciò a cantare accompagnandosi sulla cetra;
Venere, bellissima, si fece innanzi danzando alla soave melodia di un’orchestra
ch’ella stessa aveva predisposto ed in cui le Muse erano il coro, un Satiro
suonava il flauto, un Panisco soffiava nella zampogna. Così Psiche andò a sposa 11
a Cupido, secondo giuste nozze e, al tempo esatto, nacque una figlia, che noi
chiamiamo Voluttà” (Apuleio, Le Metamorfosi, Libro II, cap. 34)
W W : “I ”
ILLIAM ORDSWORTH WANDERED LONELY AS A CLOUD
I wandered lonely as a cloud
That floats on high o'er vales and hills,
When all at once I saw a crowd,
A host, of golden daffodils;
Beside the lake, beneath the trees,
Fluttering and dancing in the breeze.
Continuous as the stars that shine
And twinkle on the milky way,
They stretched in never-ending line
Along the margin of a bay; 12
Ten thousand saw I at a glance,
Tossing their heads in sprightly dance.
The waves beside them danced; but they
Outdid the sparkling waves in glee;
A poet could not but be gay
In such a jocund company;
I gazed - and gazed - but little thought
What wealth the show to me had brought:
For oft, when on my couch I lie
In vacant or in pensive mood,
They flash upon that inward eye
Which is the bliss of solitude;
And then my heart with pleasure fills,
And dances with the daffodils.
T
RADUZIONE
Vagavo da solo, come una nuvola
che fluttua alta su valli e colline,
quando d'un tratto vidi una folla,
una moltitudine di narcisi dorati;
accanto al lago, sotto gli alberi,
ondeggiavano danzando nella brezza.
Continui come le stelle che brillano
e scintillano nella Via Lattea, 13
si stendevano in una linea senza fine
lungo il margine della baia;
diecimila ne vidi, ad un'occhiata,
agitare la testa in una danza gioiosa.
Danzavano le onde lì accanto; ma loro
ne superavano in splendore lo sfavillio;
un poeta non poteva che esser felice,
in tale gaia compagnia.
Guardavo - e guardavo - senza ancora sapere
quale ricchezza mi avrebbe donato quella visione.
Poiché spesso, sdraiato sul letto
con l'animo vuoto o pensoso,
li rivedo in un balenìo con quell'occhio interiore
che è la benedizione della solitudine;
e allora il mio cuore si colma di piacere
e danza insieme ai fiori.
Wordsworth, poeta inglese appartenente alla corrente del Romanticismo, paragona nella sua
opera “I wardered lonley as cloud” il movimento di alcuni elementi della natura ad una danza.
The poet, during a walk in the Lake District,
saw a great quantity of daffodils which made
him feel happy and in contact with nature the
flowers are personified, in fact they are
described as a dancing crowd whose beauty is
superior to everything else.
In Wordsworth’s landscape not only the
daffodils but the waves and the poet’heart are 14
dancing.All nature appears wonderfully alive and happy in fact the cloud floats on high; the stars
shine and twinkle, the waves dance and sparkle in glee.He daffodils, too, are not static like in a
painting, but alive with motion. It is clear that the daffodils have a metaphorical meaning. They may
represent the voice of nature, which is scarcely audible except in solitude, the magic moment when
our spirit develops a visionary power and we “return to the enchanted unity with nature we knew in
childhood; they may represent a living microcosm within the larger macrocosm of nature. In stanza