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Sintesi

Introduzione



Con Natura, genericamente, si intende tutto quanto non è stato realizzato dall’uomo, le cose come sono o sarebbero senza il suo intervento. Il corrispondente greco, φύσις, deriva da φύω , ‘generare’. La forma originaria della parola veniva usata per indicare, infatti, il principio che genera e dà origine alle cose. Passò poi ad indicare l’insieme delle cose.
Il rapporto tra la natura e l’uomo è stato indagato fin dalle origini della filosofia occidentale.Già Aristotele ha distinto la realtà naturale (che non dipende dall’uomo e dalla sua tecnica) da quella artificiale. In questo rapporto, un decisivo salto di qualità avviene con la rivoluzione industriale. Prima della fine del ‘700 l’uomo, nonostante avesse prodotto già notevoli modificazioni sull’ambiente, si inseriva pienamente nei cicli naturali. Da allora, invece, lo sviluppo tecnologico ha portato una crescita enorme dell’uso di risorse non rinnovabili, dello sfruttamento del territorio, della produzione di rifiuti, nella creazione di sostanze di sintesi non riciclabili dai processi naturali. L’uomo diventa così uno dei principali responsabili delle alterazioni dell’ambiente.Oggi molte sono le scienze che studiano la natura, tra queste la più importante è probabilmente l’ecologia. L’ecologia (dal greco: oikos, ‘casa’ o anche ‘ambiente’; e λόγος, ‘studio’) è la branca della biologia che studia la biosfera, cioè la porzione della Terra in cui è presente la vita, e le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente.
Estratto del documento

-ITALIANO-

La presenza della natura nei testi letterari è costante nel tempo, ampia, ma molto

diversificata a seconda del periodo storico.

Fin dall’antichità, l’uomo ha percepito se stesso come parte di un tutto, ha dunque

sviluppato un sentimento di appartenenza alla natura e per rispondere alle proprie

esigenze religiose ha creato gli dei,affidando loro il compito di presiedere ai

fenomeni atmosferici. Nella mitologia greca, infatti, la Natura è descritta tramite un

processo di personalizzazione, secondo cui i vari elementi sono creature divine,

maschili e femminili, che interagiscono tra di loro, in rapporti diversi, di alleanza o di

conflittualità, e che determinano la varietà degli aspetti naturali e la loro incidenza

sulla vita degli uomini. Così Gea è la Terra, Eolo il Vento e Poseidone il mare,

mentre il ciclo delle stagioni è spiegato con il rapimento di Proserpina da parte di

Plutone, dio dell’Ade.

In età classica l'uomo è in rapporto spontaneo con la natura, simbolo di bellezza, che

diventa ispiratrice di poesia.

A partire dal XV secolo si afferma la tendenza ad assumere come ideale di perfezione

le forme letterarie del mondo classico (Classicismo): la natura viene raffigurata in

modo idealizzato, come un paesaggio ameno in cui l’uomo è armonicamente inserito.

La nascita della scienza modifica il rapporto tra l’uomo e la natura. In seguito la

concezione romantica pone l’accento sulla relazione natura e soggettività. Infatti i

letterati romantici proiettano nella natura i propri sentimenti, ravvisando in essa il

proprio modo d’essere. Nei primi anni del Novecento, con il pullulare delle

avanguardie, il paesaggio diviene il luogo dell’interiorità e dello spirito e divine ma

anche un mondo da esplorare con forme di conoscenza quasi irrazionali o visionarie.

L’odierna società industrializzata che in qualche maniera allontana l’uomo dalla

natura, innesca in esso un sentimento di nostalgia della natura, ossia un bisogno di

evasione dalla suddetta società e un desiderio di riavere un rapporto armonico con la

natura, inteso anche come un ritorno all’autenticità .

GIACOMO LEOPARDI

BIOGRAFIA

Giacomo Leopardi, primo di otto figli, nacque a Recanati, nelle Marche, nel 1798 da

una famiglia benestante che non gli seppe però dare l’affetto che cercava. Ricevette

una prima educazione da alcuni precettori e dal padre e continuò poi da solo

servendosi della vasta biblioteca di famiglia dove intraprese uno studio “matto e

disperatissimo” che lo portò alla rovina della propria salute. Non gli fu concesso di

uscire di casa da solo finché non compì vent'anni. Le sue ambizioni accademiche

furono compromesse dall'insistenza del padre perché diventasse sacerdote.

Esasperato dall'ambiente familiare e dalla chiusura, soprattutto culturale, delle

Marche, cercò di fuggire da casa, ma suo padre riuscì a prevenirlo e a sventare i suoi

piani. Cominciò ad ammalarsi. Aveva una vista debole, soffriva d'asma ed era affetto

da una forma di scoliosi. Si autodefiniva un «sepolcro ambulante» ed era consapevole

dell'effetto che il suo aspetto provocava sulle persone che incontrava. Ciò nonostante,

6

non cessò di invaghirsi di fanciulle che non

ricambiavano il suo affetto o lo ignoravano

totalmente. Nel 1822 gli fu concesso dalla

famiglia di andare a trovare un cugino a

Roma. Il poeta rimase molto deluso dalla

vita della capitale che arrivò anche a

disgustare. Nel 1823 tornò a Recanati ed

incominciò a formulare il suo pensiero: il

pessimismo.

Aggravatasi la sua malattia agli occhi si

trasferì a Napoli dall’amico Antonio

Ranieri, dove morì a soli 39 anni nel 1837.

IL SUO PENSIERO

Il pensiero di Leopardi è complesso e si

evolve nel tempo; la sua visione del

mondo si sviluppa in fasi che possono

essere identificate con una certa precisione. Tra il 1819 e il 1823, periodo che i critici

hanno identificato come la fase del pessimismo storico, il poeta riflette sulla storia

degli uomini e considera il progresso responsabile dell’infelicità dell’uomo. La

civiltà, prodotto della ragione, allontana l’uomo dalla felicità e lo condanna alla

tristezza. Il poeta elabora in questi anni la sua teoria del piacere: l’uomo ha

connaturata in sé l’esigenza di provare piacere, ma poiché al piacere subentra

l’assuefazione, il desiderio di piacere non può mai essere soddisfatto. La natura

“materna” concede agli uomini delle illusioni che cercano di compensare la

mancanza di piacere. La fase successiva è definita pessimismo cosmico. La natura

stessa non è più considerata madre ma diventa matrigna, in quanto genera la stirpe

umana, l’affligge di dolori e se ne prende gioco. In questo secondo momento muta

per tanto la teoria del piacere. Il piacere è impossibile, esiste solo come cessazione

del dolore. La noia è il sentimento che domina l’uomo insieme con la consapevolezza

della sofferenza. Particolare importanza assume il periodo che va dal 1830 al 1837 in

cui la sua concezione pessimistica non cambia, tuttavia Leopardi invita tutti gli

uomini ad allearsi tra di loro per ingaggiare contro la natura una lotta senz’altro

perdente, ma significativa della loro dignità.

L’INFINITO

“L'infinito” è una delle più celebri poesie di Leopardi, appartenente alla raccolta dei

Canti e composta nel 1819 a Recanati, nelle Marche, località in cui nacque e visse il

poeta per un certo periodo. Leopardi per scrivere questa poesia si serve di 15

endecasillabi sciolti e non compie alcuna rima, una novità da lui introdotta. Nella

prima parte il poeta, in un’atmosfera di silenzio e riflessione si immagina l’infinito,

poiché la siepe davanti a lui gli impedisce di vedere l’orizzonte. Infine ci dice che

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questa esperienza è vissuta da lui in maniera serena e gioiosa, nonostante il riflettere

sull’infinito gli incuta paura.

Testo

<<Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura. E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei. Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

e il naufragar m’è dolce in questo mare>>

Parafrasi

Sempre caro mi fu questo colle solitario e questa siepe, che al mio sguardo impediva

la vista dell'orizzonte, ma sedendo e osservando , nella mia mente immaginavo

immensi spazi e silenzi mai conosciuti dall'uomo, che per poco il mio cuore non si

smarrisce.

Il rumore del vento che sfiora le piante lo paragono all'infinito silenzio, ma mi viene

in mente l'eternità del tempo e l'età che pulsa di vita , così che smarrisco il mio

pensiero sprofondando nel mar dell'infinito.

Analisi

L’Infinito inaugura il genere leopardiano dell’Idillio, che muove dalla descrizione del

mondo esterno per giungere alla riflessione sulla rapporto uomo e natura. In questa

poesia il poeta muovendo da una sensazione visiva (la vista di un colle) immagina

l’infinità di uno spazio di fronte a cui il suo animo prova paura. Successivamente

sollecitato da una sensazione uditiva (stormir delle fronde) pensa all’infinità del

tempo e ricorda le epoche passate. Egli trova dolce sprofondare in questo infinito che

la mente ha ricreato in cui si dimentica del presente. In questa poesia molta

importanza hanno le contrapposizioni. Oltre alla contrapposizione tra la percezione

visiva e quella uditiva, vi è ne una tra gli aggettivi dimostrativi utilizzati. Il

dimostrativo questo si riferisce all’esperienza sensibile mentre quello ha la

dimensione immaginaria. Il termine eterno si contrappone all’aggettivo morte,

creando un contrasto tra i ritmi della natura e il ciclo breve dell’esistenza dell’uomo.

La poesia è tra i componimenti leopardiani più studiati dalla critica ed intorno ad essa

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si sono alternate interpretazioni diverse. Alcuni critici l’hanno letta in chiave

spiritualistica, come se Leopardi si rivolgesse ad un’entità superiore, Dio, altri

pensano che si riferisca soltanto alla capacità del poeta di fingersi in un infinito

spaziale temporale.

Commento

Questa poesia mi infonde un senso di tranquillità e serenità, nonostante pensare che

non ci sarà mai una fine mi spaventi un po’ come Leopardi. Questo testo mi porta a

fantasticare con la mente, e mi viene da pensare all’esperienza di un “oltre” rispetto

alla semplice vista delle cose: ma un “oltre” che non esiste, che è solo prodotto della

mia immaginazione. 9

-STORIA-

2°GUERRA MONDIALE

La seconda guerra mondiale, più

ancora della prima, fu una guerra

totale, combattuta senza risparmio

di uomini e mezzi, con il pieno

coinvolgimento della popolazione

civile.

Le città erano il bersaglio

preferito dei bombardamenti

aerei, perché erano nodi di traffico

o sedi di stabilimenti industriali, e

i comandi militari miravano a

distruggere le fabbriche, specie quelle di armi, e a sconvolgere la rete di trasporto

nemica. A volte però venivano prese di mira le stesse abitazioni civili, per suscitare

terrore fra le popolazioni, logorarne le capacità di resistenza, spingerle

all'esasperazione.

Gli attacchi aerei erano annunciati da un lungo e ripetuto sibilo di sirene, l’allarme

antiaereo, che avvertiva la popolazione del pericolo imminente. Allora, a qualunque

momento del giorno o della notte, bisognava abbandonare in fretta case, scuole e

uffici, e correre al rifugio più vicino. I rifugi erano luoghi in cui si cercava riparo dai

bombardamenti: in genere erano tunnel e gallerie scavati sotto terrapieni, sotterranei

di antichi fortezze o, alla peggio, grotte o cantine. Nei rifugi si sostava, fra il rombo

delle bombe, finché la sirena non dava il segnale di cessato pericolo, ciascuno con la

propria paura e con gli inevitabili disagi derivati dalla promiscuità, cioè dal dover

stare insieme, talvolta per parecchie ore o per giorni, con persone spesso sconosciute

e diverse per sesso ed età.

Ma anche nei periodi più tranquilli, quando i bombardieri erano lontani, la vita era

difficile ogni giorno di più. Scarseggiavano generi di prima necessità, come il pane, il

latte, le uova. Il burro era introvabile, e

così il sapone o il caffè. Sempre più

rare, e costosissime, erano le scarpe e le

stoffe.

In Italia e in molti altri paesi fu

introdotto il razionamento. A ciascun

cittadino spettava per legge soltanto

una quantità prestabilita di generi

alimentari, diversa secondo l'età (ai

bambini toccava più latte, agli

adolescenti più pane che agli adulti).

Per ricevere la propria razione

bisognava presentare una tessera, da cui 10

di volta in volta venivano staccati i bollini. Ma le razioni erano spesso insufficienti

(in Italia, dal 1941, le merci razionate coprivano solo la metà dei bisogni), le code

davanti ai negozi lunghissime, la denutrizione diffusa. Prosperava invece il

mercato nero (o borsa nera), cioè la vendita -proibita ma tollerata a volte dalle stesse

autorità- di prodotti a prezzi altissimi, che solo una piccola parte della popolazione

poteva permettersi di acquistare.

Ogni tipo di attività doveva svolgersi durante le ore del giorno, perché al tramonto

scattava il coprifuoco: era cioè proibito circolare liberamente per le strade, fuorché ad

alcune categorie di persone munite di speciale lasciapassare (i medici ad esempio).

Di sera inoltre, nell'Italia degli ultimi anni di guerra, bisognava schermare le finestre

con tende pesanti o con persiane (oscuramento), perché non filtrasse all'esterno la

luce richiamando i bombardieri su possibili obiettivi urbani.

Nella speranza di sfuggire alle privazioni e ai bombardamenti, molti decisero di

sfollare, cioè di abbandonare le loro case cittadine, troppo esposte ai pericoli della

guerra, cercando scampo nelle campagne. Per lo più i trasferimenti avvenivano con

mezzi di fortuna (carri trainati da cavalli o da buoi, ad esempio) su cui si caricavano

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