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Articolo di ambito culturale: recensione di un film
Lo studente immagini di dover recensire per un giornale, magari quello della sua scuola, un film italiano, tra quelli di sua conoscenza e più graditi, comunicando la notizia dell’assegnazione, allo stesso film, di un prestigioso premio internazionale di arte cinematografica.
Coro di consensi intorno al film di Roberto Benigni
“La vita è bella” ha conquistato il pubblico e la critica d’AmericaL’opera dell’attore-regista toscano, che ha ottenuto apprezzamenti anche in Israele, ha conseguito l’Oscar dopo aver ricevuto già un notevole successo di pubblico ed ampi riconoscimenti dalla critica cinematografica.
La vita è bella, l’ultimo film di Roberto Benigni, dopo i successi di pubblico e di critica, ha ricevuto l’ennesimo riconoscimento con il conseguimento del premio Oscar. Come si sa, il premio Oscar è il più ambito riconoscimento per ogni cineasta.
È stata la definitiva consacrazione di un film originale nel suo genere, non tanto per la scelta dell’argomento trattato (all’Olocausto si sono ispirati altri film-capolavoro, di un passato lontano, come Kapò di Gillo Pontecorvo, e di un passato più recente, come Schindler’s List di Steven Spielberg), ma per il modo in cui è stato reso cinematograficamente.
Solo Roberto Benigni, con la sua geniale stravaganza, poteva riuscire nell’intento di fare dell’ironia su un argomento che a tutto può indurre tranne che al sorriso: l’Olocausto e la prigionia nei campi di sterminio nazisti in cui, ricordiamolo, durante la seconda guerra mondiale, furono rinchiusi, torturati e sterminati milioni di uomini, in larghissima parte Ebrei. Ebbene, il capitolo forse più triste ed amaro della storia di questo tormentato Novecento è diventato oggetto d’interesse per l’attore-regista toscano, che ha ambientato le vicende del suo film proprio nel periodo delle persecuzioni antisemite e, in gran parte, all’interno di un lager nazista.
Siamo sul finire degli anni Trenta, in Toscana, al tempo del regime fascista: Mussolini, che ha lanciato l’Italia nella sciagurata alleanza con la Germania nazista, decide di promulgare anche nel nostro Paese, sull’esempio del regime hitleriano, le leggi razziali contro i cittadini ebrei inizia l’odissea di un bizzarro libraio (impersonato dallo stesso Benigni), il quale s’innamora di una maestrina della scuola elementare locale, interpretata da Nicoletta Braschi, l’ormai inseparabile compagna, nella vita e nell’arte, dell’attore-regista toscano. La maestrina è stata da poco trasferita in quella sede, ma è già legata sentimentalmente ad un autorevole esponente fascista. Tuttavia il libraio è disposto a tutto pur di conquistare la donna e, durante un ricevimento, alla presenza delle massime autorità del regime mussoliniano, s’introduce nella sala in sella ad un cavallo recante la beffarda scritta “cavallo ebreo” e rapisce la maestrina, ben felice d’allontanarsi da un ambiente per lei diventato asfissiante. Sposatisi, i due hanno un figlio. Il bambino, crescendo, comincia a chiedere spiegazioni al babbo di alcune “stranezze” che nota camminando con lui per la strada, come, ad esempio, la scritta che compare sulle vetrine di alcuni negozi: “vietato l’ingresso ai cani ed agli ebrei”. Il padre, ovviamente, non gli rivela l’autentico triste significato della frase, ma fornisce delle risposte anche divertenti per non turbare l’animo del bambino.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, si accentuano le persecuzioni ai danni degli Ebrei. Anche la famiglia del libraio viene prelevata dalla polizia fascista e deportata in un campo di concentramento in cui viene divisa, con il padre ed il figlio costretti a stare insieme in una baracca. La vita di privazioni, di sofferenze e di angherie che si svolge all’interno del lager sembra non scomporre il protagonista, preso dall’intento di mascherare sotto forma di gioco quanto di più nefando e feroce accade agli occhi del figlio, in modo da non turbarne l’animo.
Inizia così un susseguirsi di gustose bugie che il libraio inventa, con l’aiuto degli altri prigionieri della baracca, per far credere al bambino che, nel campo di concentramento, si starebbe svolgendo un grande gioco con in palio un vero, enorme carro armato, per vincere il quale bisogna conquistare dei “punti” (i lavori forzati e le punizioni a cui sono costretti i reclusi): così, ogni sera, bisogna fare il conteggio dei “punti” accumulati durante la giornata per vedere chi conduce la competizione.
Encomiabile è l’amore di un padre che, distrutto nel fisico e nel morale, trova il modo di mostrarsi, allo sguardo del figlio, felice per aver “messo in cascina” altri punti per il premio finale. Premio che il bambino vedrà “concretizzarsi” ai suoi occhi quando, arrivati gli Alleati a liberare il lager e fuggiti i Tedeschi, esce dal suo nascondiglio e si trova davanti un gigantesco carro armato con un sorridente soldato americano sulla torretta. La felicità del piccolo aumenta quando ritrova la madre. Il libraio, intanto, nello scompiglio determinatosi nel campo con la fuga generale, viene sbrigativamente fucilato da un soldato.
Questa, in sintesi, la trama di un capolavoro cinematografico che non poteva non conseguire un enorme successo di pubblico ed ampi riconoscimenti dalla critica: addirittura, in Israele, il regista italiano è stato osannato e premiato durante la presentazione ufficiale del film.
Quello che più colpisce de La vita è bella è il tentativo, riuscitissimo, del regista di fare un’amara ironia sull’Olocausto senza però mostrarsi irriverente nei confronti di quella tragedia. Chi ha detto che la riflessione su un tema scottante, come quello dell’antisemitismo e della ferocia nazista sugli Ebrei, non possa avvenire con l’umorismo? Sullo sfondo sinistro ed inquietante del totalitarismo fascista prima e della prigionia nel lager nazista dopo, si snoda un racconto che, per la comicità di alcune situazioni e per delle battute esilaranti, non si discosta dall’impostazione seguita da Benigni in altri suoi film. Nonostante le divertenti trovate che il babbo inventa per coprire la realtà al figlio e far finta che nulla o quasi sia cambiato rispetto al periodo precedente l’arresto della famiglia e la sua deportazione nel lager, restano la commozione per un padre che ama il suo bambino a tal punto da trovare la forza di scherzare pure nelle condizioni disumane in cui è costretto, mosso com’è dalla volontà di preservare la psiche del bambino.
Tuttavia non viene in alcun modo meno il giudizio assolutamente negativo su una tragedia che resta ancora di monito all’umanità. Non a caso il film si conclude in modo tragico, con la morte del protagonista, a voler dimostrare che la vicenda, pur se trattata con sagace ironia dall’attore-regista toscano, non può far dimenticare la gravità di quel dramma, parte integrante della più generale tragedia storica dell’Olocausto. .
Daniela M.
RECENSIONE DI UN FILM
ARTICOLO: AMBITO CULTURALE
Lo studente immagini di dover recensire per un giornale, magari quello della sua scuola, un
film italiano, tra quelli di sua conoscenza e più graditi, comunicando la notizia
dell’assegnazione, allo stesso film, di un prestigioso premio internazionale di arte
cinematografica. Coro di consensi intorno al film di Roberto Benigni
“La vita è bella” ha conquistato il pubblico e la critica d’America
L’opera dell’attore-regista toscano, che ha ottenuto apprezzamenti anche in Israele, ha conseguito
l’Oscar dopo aver ricevuto già un notevole successo di pubblico ed ampi riconoscimenti dalla
critica cinematografica
La vita è bella, l’ultimo film di Roberto Benigni, dopo i successi di pubblico e di critica, ha ricevuto
l’ennesimo riconoscimento con il conseguimento del premio Oscar. Come si sa, il premio Oscar è il
più ambito riconoscimento per ogni cineasta.
È stata la definitiva consacrazione di un film originale nel suo genere, non tanto per la scelta
dell’argomento trattato (all’Olocausto si sono ispirati altri films-capolavoro, di un passato lontano,
come Kapò di Gillo Pontecorvo, e di un passato più recente, come Schindler’s List di Steven
Spielberg), ma per il modo in cui è stato reso cinematograficamente.
Solo Roberto Benigni, con la sua geniale stravaganza, poteva riuscire nell’intento di fare dell’ironia
su un argomento che a tutto può indurre tranne che al sorriso: l’Olocausto e la prigionia nei campi
di sterminio nazisti in cui, ricordiamolo, durante la seconda guerra mondiale, furono rinchiusi,
torturati e sterminati milioni di uomini, in larghissima parte Ebrei. Ebbene, il capitolo forse più
triste ed amaro della storia di questo tormentato Novecento è diventato oggetto d’interesse per
l’attore-regista toscano, che ha ambientato le vicende del suo film proprio nel periodo delle
persecuzioni antisemite e, in gran parte, all’interno di un lager nazista.
Siamo sul finire degli anni Trenta, in Toscana, al tempo del regime fascista: Mussolini, che ha
lanciato l’Italia nella sciagurata alleanza con la Germania nazista, decide di promulgare anche nel
nostro Paese, sull’esempio del regime hitleriano, le leggi razziali contro i cittadini ebrei inizia
l’odissea di un bizzarro libraio (impersonato dallo stesso Benigni), il quale s’innamora di una
maestrina della scuola elementare locale, interpretata da Nicoletta Braschi, l’ormai inseparabile
compagna, nella vita e nell’arte, dell’attore-regista toscano. La maestrina è stata da poco trasferita
in quella sede, ma è già legata sentimentalmente ad un autorevole esponente fascista. Tuttavia il
libraio è disposto a tutto pur di conquistare la donna e, durante un ricevimento, alla presenza delle
massime autorità del regime mussoliniano, s’introduce nella sala in sella ad un cavallo recante la
beffarda scritta “cavallo ebreo” e rapisce la maestrina, ben felice d’allontanarsi da un ambiente per
lei diventato asfissiante. Sposatisi, i due hanno un figlio. Il bambino, crescendo, comincia a
chiedere spiegazioni al babbo di alcune “stranezze” che nota camminando con lui per la strada,
come, ad esempio, la scritta che compare sulle vetrine di alcuni negozi: “vietato l’ingresso ai cani
ed agli ebrei”. Il padre, ovviamente, non gli rivela l’autentico triste significato della frase, ma
fornisce delle risposte anche divertenti per non turbare l’animo del bambino.
Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, si accentuano le persecuzioni ai danni degli Ebrei.
Anche la famiglia del libraio viene prelevata dalla polizia fascista e deportata in un campo di
concentramento in cui viene divisa, con il padre ed il figlio costretti a stare insieme in una baracca.
La vita di privazioni, di sofferenze e di angherie che si svolge all’interno del lager sembra non