Concetti Chiave
- La Prima Guerra Mondiale è stata caratterizzata da un elevato numero di morti e dall'introduzione di nuove tecnologie belliche derivate dalla Seconda Rivoluzione Industriale.
- Il conflitto è nato dall'idea di nazionalismo e dalla volontà di espansionismo, con intellettuali che si contrapponevano riguardo al valore della guerra.
- In Italia, il dibattito tra neutralisti e interventisti rifletteva la divisione tra chi vedeva la guerra come un mezzo imperialistico e chi la considerava necessaria per ragioni nazionaliste.
- Alcuni intellettuali, come Benedetto Croce, hanno criticato la guerra per le sue conseguenze sociali devastanti, tra cui il trauma psicologico dei soldati.
- Scrittori e giornalisti come Attilio Frescura hanno cercato di rivelare la dura realtà della guerra, concentrandosi sulle esperienze umane piuttosto che sui risultati politici o economici.
Indice
L'origine della Prima Guerra Mondiale
La Prima Guerra Mondiale fu un conflitto armato che interessò numerosi paesi a livello mondiale, avvenuto tra il 1914 e il 1918. La Grande Guerra è nota per l’elevato numero di morti che provocò e anche per le novità riportate in campo dalla Seconda Rivoluzione Industriale, la quale fece si che le nuove armi e i nuovi mezzi di trasporto facilitassero lo scopo della guerra: uccidere il nemico. In linea di massima, il conflitto nacque a seguito dell’idea di Nazionalismo sorta in Europa nell’ultimo trentennio del 19° secolo, per cui ogni Paese credeva nella propria supremazia rispetto ad altri, dunque all’esaltazione dell’idea di nazione, dando frutto così alla volontà di espansionismo. Di fronte alla Prima Guerra Mondiale, molti intellettuali si “scontrarono” tra di loro attraverso opere, articoli di giornale o commenti che esprimevano i propri pensieri riguardo al conflitto.
Le conseguenze umane del conflitto
E’ corretto sostenere che la Prima Guerra Mondiale, come qualunque guerra, ancor di più se di carattere nazionalistico, sia una tragedia senza alcun guadagno, se non quello del materialistico possedimento di nuovi territori ed un insulto all’intelligenza umana, che stupidamente dà maggior valore ad un pezzo di terra che alla vita di un individuo, la quale viene brutalmente strappata per scopi immeritevoli. La precedente dichiarazione, nel corso degli anni conseguenti alla guerra, avrebbe potuto accompagnare il pensiero alcuni profondi intellettuali, come avrebbe potuto andare contro alle fredde considerazioni di cinici studiosi.
Il dibattito tra neutralisti e interventisti
Ad esempio, facendo riferimento all’Italia, la quale intervenne nel conflitto a favore della Triplice Intesa solo qualche mese dopo lo scoppio della guerra, per via di un’offesa arrecata della Triplice Alleanza di cui faceva parte, aveva al suo interno due gruppi schierati, per cui uno preferiva rimanere neutro a tutto ciò che riguardasse la guerra (neutralisti) e l’altro desiderava parteciparne attivamente, difendendo un’idea nazionalista (interventisti). Dunque, già prima della partecipazione al conflitto, in Italia, come in molti altri paesi, erano presenti gruppi di persone che ragionevolmente ritenevano che la guerra fosse uno strumento col quale i potenti, assetati di idee imperialistiche, volessero spingere fino alla morte il proletariato per ottenere dei superflui beni materiali, andando così contro l’etica dell’essere umano. Lo storico italiano Benedetto Croce, che visse negli anni della Grande Guerra, esprime il suo pensiero contro le stragi del conflitto ne “Pagine sulla guerra” in “Filosofia-Poesia-Storia” (Adelphi, Milano 1996), scrivendo: >. Nella precedente citazione si può notare come, fortunatamente, alcuni critici si dedichino ad una considerazione della guerra dal punto di vista sociale e umano, descrivendo questa come una mortale malattia che portò soltanto a profonde sofferenze sia a coloro che persero i propri cari, sia agli stessi mutilati. Infatti, un’altra delle problematiche sociali arrecate dal conflitto, fu proprio quella degli “Scemi di guerra” (così chiamati dalla crudeltà e dall’ignoranza popolare), soldati soggetti al disturbo post-traumatico da stress portati nei manicomi, seguiti da psichiatri che non sapevano come affrontare questa patologia applicando così il metodo dell’elettroshock.
Le giustificazioni economiche della guerra
Al contrario, già agli albori della Grande Guerra, vi erano in Italia gli interventisti, che, coinvolti dal movimento dell’irredentismo, si interessavano solo alla ripresa del Venezia Giulia e dell’Alto Adige, territori sottratti dall’Austria, non tenendo conto delle problematiche che la guerra avrebbe potuto arrecare al singolo individuo. Oltre agli irredentisti, esiste anche chi, crudelmente, parla della guerra come un buon metodo per risolvere le problematiche economiche interne al paese, riferendosi all’eccesso demografico come causa di crisi. In questo caso, alcuni sostenitori del precedente pensiero, ritengono, con assoluta freddezza, che la morte, la mutilazione e le conseguenti sofferenze, siano un buon metodo per risolvere la povertà di un paese, come ad esempio lo scrittore Giovanni Papini, che ne “Amiamo la guerra!” in “Lacerba” (1.10.1914) affermò:>. E’ ingiusto sostenere che la guerra possa essere giustificata attraverso l’idea che un paese possa migliorare la propria situazione economica con il massacro di milioni di persone, che non possono essere trattate come robot da combattimento ma come esseri con dei sentimenti, delle mogli e dei figli.
La verità sulla Grande Guerra
Per sprigionare ciò che significava veramente la Grande Guerra, senza svolgere freddi calcoli sui guadagni o sulle perdite economiche di un paese, alcuni intellettuali, mostravano attraverso le parole la terribile ma sincera verità su cosa significasse partecipare ad un conflitto armato, come ad esempio lo scrittore e giornalista Attilio Frescura che ne “Diario di un imboscato” in “M. Giancotti”, “Paesaggi del trauma” (Bompiani 2017) ricordò la Prima guerra mondiale con termini torvi ma veritieri, scrivendo: >.
Per riassumere, si può affermare che gli intellettuali più profondi e autentici, non si limitano alla descrizione di quale Paese vince o perde una guerra, ma alla descrizione di chi l’ha combattuta, dei suoi sentimenti, delle sue sofferenze.
Domande da interrogazione
- Qual è stata la causa principale della Prima Guerra Mondiale secondo il testo?
- Come hanno reagito gli intellettuali italiani alla partecipazione dell'Italia nella Grande Guerra?
- Quali sono state le conseguenze sociali della guerra secondo il testo?
- Come viene descritta la posizione di Giovanni Papini sulla guerra?
- Qual è il messaggio principale trasmesso dagli intellettuali più profondi riguardo alla guerra?
La causa principale è stata l'idea di Nazionalismo, che ha portato all'espansionismo e alla supremazia di un Paese sugli altri.
Gli intellettuali italiani erano divisi tra neutralisti, che volevano evitare la guerra, e interventisti, che sostenevano la partecipazione attiva per motivi nazionalistici.
La guerra ha portato a profonde sofferenze, tra cui la perdita di cari, mutilazioni e disturbi post-traumatici, con i soldati spesso trattati con metodi inadeguati come l'elettroshock.
Giovanni Papini vedeva la guerra come un metodo per risolvere problemi economici interni, giustificando la morte e la sofferenza come un modo per affrontare la povertà.
Gli intellettuali più profondi si concentrano sulle sofferenze e i sentimenti di chi ha combattuto, piuttosto che sui guadagni o perdite economiche di un Paese.