Concetti Chiave
- Pietro Verri e Cesare Beccaria furono figure chiave nell'illuminismo italiano, criticando la tortura e la pena di morte come disumane e inefficaci.
- Beccaria sosteneva che la certezza della pena, più che la sua crudeltà, è essenziale per prevenire i reati e riabilitare i colpevoli.
- Il Granducato di Toscana fu il primo stato ad abolire la pena di morte nel 1786, influenzato dal successo del trattato di Beccaria.
- Nel passato, le esecuzioni capitali erano spettacoli pubblici intesi a dissuadere dal crimine e dimostrare la potenza del potere statale.
- Gli illuministi condannarono unanimemente la tortura, considerandola una barbarie medievale inumana e inutile per ottenere confessioni.
Indice
Contributi giuridici dell'illuminismo italiano
Dall'illuminismo italiano venne uno dei maggiori contributi in campo giuridico: il dibattito sulla tortura e sulla pena di morte. Protagonisti furono i milanesi Pietro Verri (1728-1797), con il saggio Osservazioni sulla tortura, e Cesare Beccaria (1738-1794), che nel trattato Dei delitti e delle pene espose i principi che dimostravano la disumanità e l'inutilità delle due pratiche: la tortura è una crudeltà inutile che non dà alcuna certezza delle confessioni estorte, mentre la pena deve essere proporzionata al delitto e deve avere come fine il recupero del colpevole. Non è la crudeltà della pena che scoraggia i delitti, ma la certezza che essa verrà inflitta al colpevole. Il trattato di Beccaria ebbe un enorme successo e contribuì a far cambiare lo svolgimento dei procedimenti giudiziari e a far abolire la pena di morte in molti stati. Il primo fu, nel 1786, il Granducato di Toscana.
Il pensiero illuminista contro la pena di morte
Fino all'età moderna l'esecuzione capitale fu un grande spettacolo pubblico che si prefiggeva di dissuadere dal crimine e vendicare le vittime. Il pensiero illuminista dimostrò che la pena di morte è illegittima, inutile, dannosa e diseducativa. Analogamente sconfessò l'uso della tortura come metodo di indagine giudiziaria perché apparve come una barbarie, residuo del medievale "giudizio di Dio".
Ordinanza di Luigi XIV e il supplizio di Damiens
In un'ordinanza emanata da Luigi XIV nel 1670 si elencavano, in ordine di gravità, le pene principali che dovevano essere comminate ai colpevoli a seconda del reato commesso: "La morte, la quaestio con riserva di prove, le galere a tempo, la frusta, la confessione pubblica, il bando". La quaestio non era altro che la tortura. L'ordinanza precisava le forme con le quali il supplizio capitale doveva essere eseguito. In base a queste norme, che restarono in vigore fino alla rivoluzione del 1789, fu eseguito, il 2 marzo 1757, il supplizio di Robert-Froncois Damiens, condannato a morte per aver attentato alla vita del re Luigi XV.
Supplizi pubblici nell'Antico regime
I supplizi inferti sulle piazze, con grande partecipazione del pubblico, costituivano nell'Antico regime un grande spettacolo che si prefiggeva diversi fini: dissuadere dal crimine mettendo in scena la spietatezza della pena, soddisfare la brama di vendetta delle vittime e della società, mostrare la forza terrificante del potere.
Beccaria e il diritto di punire
Nel trattato di Beccaria ci si domanda innanzi tutto qual è il fondamento del diritto di punire e chi lo può esercitare legittimamente. Precisa poi che il fine delle pene non è di tormentare e affliggere un essere sensibile, nè di disfare un delitto già commesso, ma di impedire che se ne commettano dei nuovi, e che il miglior modo per porre un freno ai delitti non è la crudeltà delle pene, ma l'infallibilità di esse, perché la certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito con la speranza dell'impunità. Per Beccaria la pena di morte, oltre ad essere illegittima, è inutile e diseducativa.
Condanna unanime della tortura
Se tra gli illuministi vi furono posizioni diversificate sulla pena di morte, unanime invece fu la condanna della tortura, che nel diritto penale dell'Antico regime doveva servire per ottenere la confessione dell'accusato, ma che di fatto finiva per infliggere una disumana punizione a chi non era ancora stato giudicato. Per gli illuministi la tortura era una vera e propria barbarie, un residuo medievale del "giudizio di Dio", pratica in cui l'accusato veniva sottoposto a prove atroci e la sua sopravvivenza veniva considerata prova di innocenza, mentre la sua morte prova di colpevolezza.
Domande da interrogazione
- Quali furono i contributi principali dell'illuminismo italiano nel dibattito sulla pena di morte e la tortura?
- Qual è il principio fondamentale del trattato "Dei delitti e delle pene" di Cesare Beccaria?
- Come veniva percepita l'esecuzione capitale nell'Antico regime?
- Qual era la posizione degli illuministi riguardo alla tortura?
- Quale fu il primo stato ad abolire la pena di morte grazie all'influenza del pensiero illuminista?
L'illuminismo italiano, attraverso figure come Pietro Verri e Cesare Beccaria, contribuì a dimostrare l'inutilità e la disumanità della tortura e della pena di morte, promuovendo l'idea che la pena debba essere proporzionata al delitto e mirare al recupero del colpevole.
Il trattato di Beccaria sostiene che il fine delle pene non è tormentare, ma prevenire nuovi delitti, e che la certezza della pena, anche se moderata, è più efficace della sua crudeltà.
Nell'Antico regime, l'esecuzione capitale era vista come un grande spettacolo pubblico destinato a dissuadere dal crimine, vendicare le vittime e mostrare la forza del potere.
Gli illuministi condannavano unanimemente la tortura, considerandola una barbarie medievale e un metodo disumano per ottenere confessioni, che infliggeva punizioni a chi non era ancora stato giudicato.
Il Granducato di Toscana fu il primo stato ad abolire la pena di morte nel 1786, influenzato dal successo del trattato di Beccaria e dal pensiero illuminista.