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STORIA
LA PRIMA GUERRA MONDIALE
L’Europa era scossa da una serie di crisi nei rapporti internazionali e da conflitti
locali che contribuirono ad acuire la tensione tra le varie potenze. L’Inghilterra, la
maggiore potenza navale, industriale e coloniale del mondo, male sopportava l’aspra
concorrenza commerciale della Germania, che si era impegnata in una corsa agli
armamenti navali, allo sviluppo industriale, alla conquista dei mercati internazionali,
all’ingrandimento del suo impero coloniale. La Russia, fermata dal Giappone nelle
sue mire espansionistiche in Oriente, concentrò di nuovo la sua attenzione sulla
penisola balcanica, scontrandosi con gli interessi dell’Austria, che giocava anch’essa
in quel settore, spalleggiata dalla Germania. La Francia non aveva ancora
abbandonato la sua ansia di rivincita nei confronti della Germania e il desiderio di
riacquistare quei territori dell’Alsazia e della Lorena che avevano dovuto cedere dopo
la guerra franco prussiana. Nel 1907 gli schieramenti contrapposti, legati ai vari
interessi in gioco erano ormai chiari tanto che Francia, Inghilterra e Russia
stipularono l’accordo della triplice intesa, in funzione anti tedesca ed anti austriaca,
accordo tramutato in alleanza vera e propria nel 1914. La tensione aveva poi
determinato l’affannosa corsa agli armamenti, specialmente da parte tedesca. Il
settore balcanico risultava, in ogni caso, il più delicato e più aperto a possibili crisi
internazionali. In Serbia era sempre più attiva l’azione degli irredentisti slavi che
preoccupava per l’integrità del suo impero: da qui il sospetto e l’ostilità con cui da
Vienna si guardava dal piccolo stato slavo. Fu proprio in questo settore che scoppiò la
scintilla che fece esplodere la prima guerra mondiale
Il 28 giugno 1914, a Sarajevo, l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono
d’Austria, e sua moglie Sofia furono uccisi dal nazionalista serbo Gavrilo Princip.
L’assassinio minò l’assetto delle potenze europee, già in grave crisi, e il fragilissimo
rapporto dell’Austria con la Russia, grande protettrice della Serbia, diventando la
miccia che avrebbe fatto divampare la prima guerra mondiale. Il 28 luglio infatti
l’Austria e l’Ungheria, con l’appoggio dell’alleato tedesco, dichiarò guerra alla
Serbia. I contrapposti interessi di Francia, Gran Bretagna e Germania alimentarono
uno stato continuo di tensione internazionale che spinse i governi a mantenere
permanentemente in stato di all’erta eserciti sempre più armati, e ad accrescere la
potenza delle proprie marine militari. I tentativi di fermare questa corsa al riarmo
ebbero scarso effetto, e non riuscirono da impedire lo strutturarsi dell’Europa attorno
a due coalizioni ostili: la Triplice Alleanza tra Germania, Austria – Ungheria e Italia,
e la Triplice Intesa tra Gran Bretagna, Francia e Russia.
Nell’Europa del 1914 esistevano tutte le premesse che rendevano possibile una
guerra: rapporti tesi fra le grandi potenze, la divisione in blocchi contrapposti, corsa
agli armamenti. Ma queste premesse non avevano come sblocco obbligatorio un
conflitto europeo. Fu l’attentato di Sarajevo a far esplodere tensioni che altrimenti
avrebbero potuto restare latenti. E furono le decisioni prese da governanti e capi
militari a trasformare una crisi locale in un conflitto generale.
Il governo di Vienna, compì la prima mossa inviando, il 23 luglio, un durissimo
ultimatum alla Serbia ritenuta responsabile di un piano antiaustriaco. Il secondo passo
fu fatto dalla Russia assicurando il proprio sostegno alla Serbia. Forte per l’appoggio
russo, il governo serbo accetto solo in parte l’ultimatum, respingendo in particolare la
clausola che prevedeva la partecipazione di funzionari austriaci alle indagini sui
mandanti dell’attentato. L’Austria giudicò la risposta insufficiente e, il 28 luglio
dichiarò guerra alla Serbia. Immediata fu la reazione del governo russo che, il giorno
successivo, ordinò la mobilitazione delle forze armate. La mobilitazione, che i
generali russi vollero estesa fino al confine con la Germania, fu interpretata dal
governo tedesco come un atto di ostilità. Il 31 luglio la Germania inviò un ultimatum
alla Russia. L’ultimatum non ottenne risposta e fu seguito, a ventiquattro ore di
distanza, dalla dichiarazione di guerra.
La Francia, legata alla Russia da un trattato d’alleanza militare, mobilitò le proprie
forze armate. La Germania rispose con un nuovo ultimatum e con la successiva
dichiarazione di guerra alla Francia (3 agosto).
Fu dunque l’iniziativa del governo tedesco a far precipitare definitivamente la
situazione. Bisogna ricordare che la Germania soffriva da tempo di un complesso
d’accrescimento. La strategia dei generali tedeschi si basava inoltre sulla rapidità e
sulla sorpresa, non ammetteva la possibilità di lasciare l’iniziativa in mano agli
avversari e costituiva dunque di per se un fattore d’accelerazione della crisi. Il piano
di guerra tedesco prevedeva in primo luogo un attacco contro la Francia, dopodichè il
grosso delle forze sarebbe stato impiegato contro la Russia, la cui macchina militare
era lenta a mettersi in azione ci fu in seguito l’invasione tedesca ai danni del Belgio e
l’entrata in guerra della Gran Bretagna a sostegno dei belgi, mentre l’Italia si
dichiarava neutrale. Nel settembre 1914 la firma del patto di Londra sanciva l’unità
tra Francia, Gran Bretagna e Russia.
1914 – 1915: dalla guerra-lampo alla guerra di trincea
Le operazioni militari si svolsero su tre diversi fronti:
quello occidentale, o franco-belga;
quello orientale, o russo;
quello meridionale, o serbo.
Sul piano tecnico, la trincea fu la vera protagonista del conflitto: la vita monotona che
si svolgeva era interrotta solo da grandi e sanguinose offensive, prive di risultati
decisivi. Uno stato d’animo di rassegnazione e apatia si diffuse soprattutto nei soldati
semplici. La visione eroica e avventurosa della guerra, infatti, restò prerogativa
d’alcune minoranze di combattenti; per tutti gli altri la guerra era una dura necessità. I
soldati la combattevano per solidarietà con i propri compagni, ma anche perché vi
erano costretti dalla presenza di un apparato repressivo spietato nel punire ogni forma
di subordinazione. Si diffusero tuttavia la diserzione o addirittura l’autolesionismo,
consistente nell’affliggersi volontariamente ferite e mutilazioni per essere dispensati
dal servizio al fronte. In altre occasioni ci furono casi di ribellione collettiva, scioperi
militari, che avvennero un po’ dappertutto.
Fronte occidentale
Il piano strategico tedesco, che prevedeva una rapida guerra di movimento contro la
Francia per poi volgersi contro la Russia, fu bloccato dall’esercito francese nella
battaglia della Marna. I tedeschi costretti alla ritirata, cercarono di estendere
maggiormente il fronte. Ne seguì una sorta di gara in velocità verso il mare del Nord,
con l’obiettivo di acquistare il controllo dei porti sulla Monica.
Il fronte italiano
Allo scoppio della guerra l’Italia si dichiarò neutrale. In seguito, però, le forze
politiche e l’opinione pubblica si divisero sul problema dell’intervento in guerra.
Erano interventisti: i gruppi di sinistra democratica e alcune frange eretiche del
movimento operaio e nazionalisti. Erano neutralisti: la maggioranza dello
schieramento liberale, che faceva capo a Giolitti, il mondo cattolico e i socialisti.
Contrarie alla guerra erano le masse operaie e contadine, mentre i ceti borghesi e gli
intellettuali erano per lo più a favore. Ciò determinò l’entrata in guerra (maggio
1915). Nel corso del suo primo anno di guerra, i più importanti eventi militari che la
videro impegnata furono quattro battaglie dell’Isonzo, che fecero fallire l’obiettivo d
spezzare le linee austriache e conquistare Trieste.
Nel 1916 i tedeschi sferrarono un massiccio attacco alla Francia dirigendosi verso la
fortezza di Verdun. Furono ancora bloccati e dovettero subire la controffensiva alleata
sulla Somme. Ma né l’una e né l’altra operazione furono decisive: la spaventosa
carneficina risultò inutile ai fini della guerra.
Nel corso del 1916 il presidente degli Stati Uniti d’America Wilson cercò di spingere
al negoziato le potenze belligeranti sulla base di una “pace senza vittoria”. A fine
anno il governo tedesco rese nota la disponibilità in tal senso delle potenze centrali,
alle quali tuttavia la Gran Bretagna non diede credito.
Il 1917 fu l’anno più difficile della guerra, soprattutto per l’Intesa: molti furono i casi
di manifestazioni popolari contro il conflitto r di ribellione fra le stesse truppe.
Questo clima di stanchezza si riscontrava anche in Italia. Si verificarono inoltre due
avvenimenti di decisiva importanza:
In Russia dopo la caduta della Zar, iniziò un processo di dissoluzione
dell’esercito; dopodichè il paese si ritirò dal conflitto
In Aprile 1917 gli Stati Uniti entrarono in guerra con l’Intesa, dando al
conflitto, per volontà del presidente Wilson , una nuova connotazione
ideologica “democratica”.
Sempre in quest’anno i tedeschi dovettero riconoscere fallito il tentativo di spingere
la Gran Bretagna alla resa mediante il blocco sottomarino delle isole. Inoltre , già
dagli inizi del 1918 gli Alleati (grazie soprattutto al contributo degli Stati Uniti)
producevano nuove navi più di quante i tedeschi riuscissero a distruggerne; la guerra
sottomarina sollevò numerosi dissidi politici.
La posizione di Wilson riguardo alla guerra mutò decisivamente nel gennaio 1917,
quando la Germania annunciò che, a partire del successivo 1° febbraio, sarebbe
ricorsa alla guerra sottomarina indiscriminata contro le imbarcazioni in arrivo in Gran
Bretagna o in partenza da essa, contando in questo modo di poterne piegare la
resistenza entro sei mesi. Gli Stati Uniti avevano già ammonito in precedenza che
questo genere d’azione violava palesemente i diritti delle nazioni neutrali. Il 6 aprile
gli Stati Uniti entrarono in guerra.
Circa un mese prima dell’entrata in guerra degli Stati Uniti, un evento segnò
profondamente gli esiti della guerra. Uno sciopero degli operai di Pietrogrado si
trasformò in un’imponente manifestazione contro il governo imperiale. Quando i
soldati chiamati a ristabilire l’ordine rifiutarono di sparare sulla folla e
fraternizzarono con i dimostranti, la sorte della monarchia fu segnata: lo zar Nicola II
abdicò e poco dopo venne arrestato. Il governo provvisorio si impegnò a proseguire
la guerra, ma la successiva rivoluzione bolscevica del novembre ebbe come effetto il
ritiro della Russia dalla guerra. Stipulando la pace con gli Imperi centrali dovette
accettare condizioni durissime: fu costretta a cedere circa ¼ dei suoi possedimenti in
Europa.
Durante i primi otto mesi dell’anno, nonostante le carenze in artiglieria e munizioni,
le forze italiane al comando del generale Luigi Cadorna proseguirono gli inutili sforzi
di sfondare le linee austriache. Attaccando sulla parte alta dell’Isonzo, tedeschi e
austriaci riuscirono a rompere le linee italiane. Nella disastrosa battaglia di Caporetto,
oltre alle vittime gli italiani contarono numerosi prigionieri e disertori e quella che
dovette essere ritirata assunse l’aspetto di una autentica rottura. In novembre truppe
inglesi e francesi giunsero di rinforzo, mentre Cadorna, gettando le colpe sui suoi
stessi soldati, venne sostituito dal generale Armando Diaz.
Il 3 marzo 1918 la Russia firmò il trattato di Brest-Litovsk che poneva ufficialmente
la fine della guerra; il 7 maggio fu la Romania a sottoscrivere la pace, firmando il
trattato di Bucarest e garantendo alla Germania connessioni a lungo termine sui pozzi
di petrolio rumeni. All’inizio del 1918, rendendosi conto della necessità di portare a
conclusione i confronto sul fronte occidentale prima che gli americani potessero
stabilirvisi, i tedeschi decisero un attacco finale che avrebbe dovuto portarli a Parigi.
Ma le due offensive furono bloccate.