
Faceva recitare preghiere, costruire rosari e inscenare dei piccoli rituali per la benedizione degli alunni. Nella sua classe, insomma, si faceva di tutto, fuorché ciò per cui veniva pagata dallo Stato: far apprendere la lingua italiana.
Protagonista di questa insolita storia è una maestra di una scuola elementare di Oristano che è stata sospesa dall'insegnamento per pratiche non conformi alla scuola pubblica statale. La docente ha impugnato il provvedimento, ma il suo ricorso è stato rigettato.Indice
Rosari e preghiere durante l'ora di italiano
La vicenda è venuta a galla dopo diverse segnalazioni da parte dei colleghi, e l'esposto presentato da tre genitori. Come riporta 'La Repubblica', la docente aveva fatto realizzare un rosario ai bambini per poi fargli recitare il Padre Nostro e l’Ave Maria durante l’orario scolastico.
Inoltre, lei stessa avrebbe affermato di avere fatto cospargere il corpo dei piccoli alunni con un olio per la benedizione.
Si trattava di un olio – a suo dire – benedetto, “che la docente aveva tirato fuori dalla propria borsa e che alcuni bambini avevano anche usato per ungersi il corpo” si legge nella sentenza riportata dal giudice del lavoro, che ha rigettato il ricorso della docente contro la sospensione predisposta dalla scuola. Sempre in quell’occasione, la maestra aveva raccontato ai bambini “la storia biblica dell’olio portato a Gesù prima della crocefissione e che avrebbe dovuto essere utilizzato per cospargere il corpo di Cristo dopo la morte”.
Il ricorso della docente
Inutili i continui richiami da parte della dirigenza scolastica che, alla fine, non ha potuto fare altro che sospendere la docente dal lavoro. La stessa aveva impugnato la sospensione, chiedendone l’annullamento.
Nel dettaglio, secondo i legali, il provvedimento andava annullato perché la contestazione era stata notificata alla docente senza il rispetto del termine di venti giorni, compromettendo il diritto di difesa e in violazione del contratto collettivo di lavoro. Inoltre, gli avvocati dell'insegnanti hanno affermato che la condotta della loro assistita rientrava pienamente nell'ambito della libertà d'insegnamento.
Le motivazioni del giudice
Peccato non funzioni proprio così, come ha fatto notare il giudice del lavoro. La condotta della donna, infatti, non consiste in un'”espressione della libertà di insegnamento, bensì una violazione dei suoi doveri di docente di una scuola pubblica statale e dei principi che la scuola stessa deve assicurare e garantire, fra cui quello, fondamentale, di laicità dello Stato, oltre ad avere interferito con il diritto dovere dei genitori garantito dalla nostra Costituzione (art. 30) di educare i figli, anche da un punto di vista religioso”.
Il giudice non solo ha ritenuto infondati i motivi del ricorso ma ha anche spiegato che la docente “ha ripetutamente posto in essere pratiche di culto estranee all’esercizio della funzione docente e alle mansioni assegnatele, in violazione dei propri doveri”, come appunto l’episodio dell’olio. Inoltre, si fa notare nella sentenza, l'insegnamento della religione cattolica è già previsto nel programma scolastico, e non contempla riti di culto e preghiere.