Serena Rosticci
di Serena Rosticci
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foto di giornata mondialee degli insegnanti, intervista ad Alex Corlazzoli

Non sanno usare il digitale, non parlano le lingue straniere e non mettono mai l'attualità sui banchi di scuola. I prof, da che mondo è mondo, piacciono poco ai loro studenti, ma questa nuova generazione addirittura li boccia.

Anzi, peggio ancora, nemmeno li ringrazia. Eppure 9 su 10 lasciano la scuola con il diploma in mano, portando almeno un insegnante nel cuore. Nel giorno del World Teachers Day, Alex Corlazzoli, prof e giornalista de Il Fatto Quotidiano, spiega a Skuola.net cosa succede nel rapporto amore/odio che vi lega ai vostri insegnanti.

Alex, spesso i ragazzi non se ne rendono conto, eppure fare l'insegnante non è un mestiere facile. Glielo spieghi tu quanto è dura?
È duro perchè un mestiere basato sulla passione, sulla capacità di coinvolgere, è stato trasformato in una grande prigione della burocrazia. Ed ècco che un insegnante ha a che fare con i verbi "verificare", "vidimare" e "controllare", tutti termini antipatici e avulsi dal loro mestiere. Per cui in realtà i ragazzi sanno bene quanto in questi anni i loro insegnanti si sono visti incatenati a trappole che hanno tolto tempo e passione da dedicare ai loro studenti.

E tu hai problemi a relazionarti con il tuo prof? Guarda il video!

Secondo alcune indagini di Skuola.net, 1 ragazzo su 5 non direbbe mai "grazie" a un prof. Peggio ancora, molti bocciano i nuovi arrivati con La Buona Scuola: lamentano che non sanno usare il digitale, non parlano le lingue straniere e non discutono mai con loro di attualità. Che cosa sta succedendo?
Chiaramente i ragazzi sono molto esigenti e pretenderebbero una classe docente molto preparata, all'altezza di una scuola del 2015, moderna, innovatrice e invece è chiaro che molti prof inseriti da La Buona Scuola sono di quella generazione di 40enni - più o meno - che hanno avuto una formazione in una scuola dove l'inglese non si studiava, tanto che il 57% ammette di non conoscere questa lingua (dati Intercultura). È una scuola dove questi 40enni non conoscono il mondo del digitale, hanno paura di Facebook e spesso non sanno cosa sia Twitter. Insomma, vengono da una scuola piena di polvere. Pensa che quando sono diventato insegnante io, la prima cosa che mi hanno insegnato è stata "prendi le programmazioni, cancella la data e metti il tuo nome". Purtroppo la cosa peggiore in Italia è che i maestri non hanno maestri. Gli insegnanti arrivano a scuola senza nessuno che gli dica come fare, e questo è terribile. Così spesso i prof sono meno aggiornati dei ragazzi e loro se ne accorgono.

Eppure, 9 diplomati su 10 raccontano a Skuola.net di avere almeno un prof nel loro cuore...
Certo perchè, come dice Mattia, un mio studente con il quale ho scritto il mio ultimo libro, la scuola è una comunità, una delle poche, insieme allo stadio, nella quale è possibile incontrarsi e stare insieme. Ed è vero: non ci si ritrova più in piazza, non ci si ritrova più da nessuna parte, per cui la scuola è un grande momento per stare gomito a gomito nel banco e, in qualche modo, gomito a gomito con l'insegnante, anche con il più antipatico. Io, per esempio, sono diventato amico della mia prof di Filosofia così come il prof di matematica che mi metteva sempre 2 è rimasto comunque nel mio cuore. Perchè? Perchè è la persona con la quale ho condiviso quello che non capivo e che forse lui non insegnava per nulla bene. La scuola è una casa. Ciò che la salva è proprio questo: sentirsi ancora in comunità, avere la possibilità di confrontarsi e di vedere il professore, non come un amico, ma sicuramente come una persona di riferimento. Oggi, i giovani che persone di riferimento hanno? Nessuna: non hanno un politico, una bella testimonianza, niente. Ecco perchè spesso i loro unici riferimenti restano proprio i loro professori.

Serena Rosticci