
Produttore, rapper, hitmaker. Sick Luke, al secolo Luca Antonio Barker, è l’uomo dietro la colonna sonora di un’intera generazione. Dalla Dark Polo Gang alle collaborazioni con Sfera Ebbasta, Lazza, Blanco, Capo Plaza, fino al suo ultimo progetto, "Dopamina", che ha scalato le classifiche e riunito amici, famiglia e gli artisti più rilevanti della scena musicale italiana.
Ospite della seconda stagione di Wannabe, il vodcast YouTube targato Skuola.net, Luke si racconta tra passato e futuro, carriera e paternità, musica e verità. E sì, anche un po’ di autoironia: "Sono cotto, ma sto nel chilling".
Indice
Dalla Dark Polo Gang al suono di una generazione
Quando nel 2016 iniziano a girare ovunque i meme “quando senti Sick Luke Sick Luke…”, capisce che qualcosa è davvero cambiato. Il suo nome, o meglio il suo producer tag, era diventato un segnale. Un avvertimento sonoro: stava per arrivare un banger, cioè un pezzo pronto a far saltare tutto nelle cuffie di mezza Italia.
Da allora, Sick Luke è stato la spina dorsale della Dark Polo Gang, l’architetto sonoro di un linguaggio nuovo che ha trasformato la trap italiana in un fenomeno culturale. E oggi, a distanza di anni, quell’onda non si è spenta.
Sulla sua eredità: "La trap l’ho portata io in Italia, quel sound crudo non c’era". E se un giorno suo figlio gli chiedesse cos’è stata, lui risponderebbe fiero: "È una storia lunga. Sono stato io".
Fiducia, solitudine e la scuola lasciata presto
“Ho sempre creduto in me stesso. Gli haters? Gente che scrive invece di fare”. L’autostima di Luke non è posa, ma un muscolo allenato negli anni in cui nessuno ci credeva davvero.
Mentre molti suoi coetanei pensavano a università e carriere sicure, lui infatti lascia la scuola per inseguire un’idea precisa: la musica come mestiere. “Facevo il DJ per sette ore, prendevo cinquanta euro, ma non mi importava. Sapevo che era la mia strada”.
Nonostante la fama di producer dei record, Luke racconta però di essere sempre stato “molto solo”: “Ho tanti amici, ma mi fido poco. Trust nobody, me lo sono tatuato a diciott’anni”. Anche se oggi, forse, non lo rifarebbe. E confessa: “Da bambino ero un po’ cattivo”.
Oggi, comunque, quella solitudine è diventata maturità. E si scioglie ogni volta che parla di Teseo, suo figlio: “Per i miei trent’anni non volevo Ibiza o champagne. Volevo solo andare in montagna, in bici con lui. È stato il mio sogno”.
“Dopamina”: la famiglia, la scena, la fame
Il suo ultimo disco, “Dopamina”, è un concentrato di energia e affetti. Oltre a essere stato il primo album più ascoltato su Apple Music, il secondo su Spotify, il quarto al mondo nel weekend di uscita.
Dentro, 13 tracce e 18 collaborazioni, da Blanco a Lazza, da Capo Plaza a Duke Montana, fino a quella più personale: la copertina con Teseo. “La mia preferita ora è Mayday, con Capo Plaza. Mi piace perché inizia in un modo e diventa tutta un’altra storia”, racconta. “Il feat a cui tengo di più è quello con Alfa: ha scritto la canzone più importante, dedicata proprio a Teseo”.
E se potesse aggiungere una collaborazione internazionale extra? “Una con Kanye West. Magari dopo averci litigato”.
Trap e realtà: il confine tra racconto e imitazione
Negli ultimi anni la trap è finita spesso sotto accusa, soprattutto per i testi considerati violenti. Luke, dal canto suo, la difende con lucidità: “Il rap è come il cinema. In Scarface Tony Montana è finzione. Così è la musica: una storia, non un manuale di comportamento”.
Ma non si nasconde: “Oggi vedo ragazzi più violenti, hanno fatto ‘l’upgrade cronaca nera’. Noi al massimo ci menavamo, ora c’è chi porta le cose troppo oltre”.
Per lui la differenza è tutta lì: raccontare non significa incitare. “C’è chi parla di certe cose e chi le fa davvero. Io preferisco raccontare. Dr. Dre, per dire, ha fatto un disco che si chiama The Chronic, ma non fumava”.
Il mestiere del producer
Entrando più nello specifico del suo lavoro, il producer, Luca fa notare come, oggi, seguire questa strada significa dover convivere con una doppia sfida: gli artisti e l’algoritmo. “Un disco da producer non è mai facile”, spiega. “Devi sentire decine di artisti, ricevi mille no, incastrare le agende di tutti. Non è mai la priorità per un rapper. Ma se vuoi farlo, ti butti e basta”.
E sull’intelligenza artificiale? “Se serve, in futuro la userò. Magari per un sample. Ma non potrà mai sostituire un producer vero”. Il motivo? “I producer forti hanno un’anima. L’AI può rifare quello che esiste, ma non può inventare un suono nuovo. Noi sì”.
“Wannabe Kanye West”
Quando gli viene chiesto “Chi vuoi diventare?”, Luke scrive e cita, di nuovo, Kanye West e spiega: “Mi ispira il suo modo di reinventarsi, di non ripetersi mai. E quella follia geniale che lo porta a credere in sé stesso anche facendolo sembrare pazzo, a volte”.
Dietro il nome Sick Luke, dunque, resta quel ragazzino di tredici anni che smanettava sui programmi di produzione con un solo desiderio: fare musica, non per arrivare ma per restare.