Matteo Bortone
Autore
prof universitario americano scopre chi usa ChatGpt per fare i compiti

Un professore universitario americano, stanco di leggere elaborati che definiva “abomini senz’anima”, ha deciso di agire per smascherare quegli studenti che chiedevano aiuto a ChatGPT per svolgere i compiti assegnati. 

Oggi l'Intelligenza Artificiale, infatti, rappresenta una risorsa. Ma, in certi casi, può diventare una tentazione irresistibile per risparmiare tempo. Trasformando un supporto in un vero e proprio abuso

La trappola diabolica messa a punto dal docente per incastrare gli alunni che delegavano il pensiero al bot - una specie di Cavallo di Troia - ha rivelato un dato allarmante: circa il 40% della sua classe utilizzava l'intelligenza artificiale per svolgere gli esami.

Così, dopo lo smascheramento, l'insegnante ha preso una decisione radicale: eliminare i compiti a casa e tornare alla scrittura a mano, con carta e penna, almeno in classe.

Indice

  1. I sospetti: prosa robotica e punteggiatura impeccabile
  2. La trappola del prof: una richiesta assurda
  3. I risultati: 4 su 10 beccati in fallo
  4. L'analisi: i risvolti sociali della scoperta
  5. La soluzione: il ritorno a carta e penna

I sospetti: prosa robotica e punteggiatura impeccabile

Il professore, forte di un decennio d’insegnamento, aveva infatti notato un cambiamento radicale a partire dalla primavera del 2023. Improvvisamente, gli elaborati dei suoi studenti avevano perso i classici errori di sintassi o le incertezze tipiche di chi sta imparando.

Al loro posto, invece, erano comparsi un uso eccessivo di elenchi puntati, una prosa robotica e una punteggiatura sospettosamente impeccabile. Un altro segnale d’allarme, poi, era l'abuso del trattino lungo, una finezza retorica rara tra le matricole.

Il professore ha spiegato l'origine della sua iniziativa: “I rilevatori anti-plagio tradizionali erano inutili”, in quanto, “segnalavano falsi positivi o si lasciavano sfuggire testi palesemente generati“. Per questo, ha deciso di non arrendersi, escogitando un piano ispirato alla storia greca.

La trappola del prof: una richiesta assurda

Per avere una prova inconfutabile dei supi sospetti, il docente ha avuto un’idea alquanto geniale. Per il saggio finale del corso, incentrato sul libro “Gabriel’s Rebellion” dello storico Douglas Egerton, ha preparato una trappola subdola.

All’interno della traccia del compito ha inserito una stringa di testo, un comando specifico progettato appositamente per le IA come ChatGPT. Questa istruzione era persino mimetizzata o resa invisibile - usando caratteri bianchi o molto piccoli - alla lettura veloce dell'uomo.

Il comando, in concreto, imponeva all’IA di inserire nella risposta un riferimento preciso ma totalmente errato. Nello specifico, si richiedeva agli studenti di analizzare il libro da una prospettiva marxista: un approccio storicamente impossibile per il periodo trattato. 

La logica dietro il "trucchetto" era lineare: uno studente che avesse letto il libro e scritto il saggio di suo pugno non avrebbe mai obbedito a quell’istruzione nascosta e anacronistica. Un’IA, al contrario, ci sarebbe caduta. E, come volevasi dimostrare, è successo.

I risultati: 4 su 10 beccati in fallo

Quando il professore ha corretto i compiti, i risultati sono stati scioccanti. Su 122 compiti consegnati, la trappola è scattata in ben 33 casi. Tanti gli elaborati che contenevano la prova inconfutabile dell’uso dell’IA.

Ma il docente non si è fermato qui. Ha anche inviato un’email a tutta la classe annunciando di aver individuato i bari e offrendo una possibilità di clemenza parziale a chi avesse confessato spontaneamente.

In seguito a questo ultimatum, altri 14 studenti hanno ammesso l’uso di ChatGPT o di strumenti simili. Cosicché, sommando i colti in flagrante (i 33) e i confessi (i 14), una percentuale massiccia - circa il 39% della classe - aveva barato.

L'analisi: i risvolti sociali della scoperta

Il caso è diventato virale sul web, non solo per il trucco tecnologico, ma per la profonda analisi che il professore ha fatto dopo aver raccolto le confessioni degli studenti.

Innanzitutto, l'insegnante ha riscontrato che oggi la scrittura è vista dai giovani come “prodotto” e non come processo. Per molti studenti, poi, l'istruzione è diventata puramente “transazionale”. Non vedono il saggio come un esercizio per imparare a pensare, ma come un ostacolo burocratico da superare per ottenere il “pezzo di carta”.

L’IA, quindi, diventa uno degli strumenti, attualmente il più efficiente, per produrre il “prodotto” richiesto con il minimo sforzo.

A braccetto con questa visione, c'è anche una crescente “sindrome dell’impostore”, generata sempre dalla tecnologia. Uno dei punti più toccanti delle conclusioni del docente è incentrato, infatti, sull’autostima: il professore sostiene che l’IA stia alimentando un circolo vizioso di insicurezza, con gli studenti che leggono i testi generati da ChatGPT, sintatticamente ineccepibili, e si convincono che la loro scrittura “imperfetta” e umana non sia all’altezza.

“Hanno paura di non essere abbastanza bravi”, riflette il professore. Ma evitando di scrivere, si negano l’unica strada per imparare a farlo bene: la pratica.

Infine, c'è da considerare una crescente esternalizzazione del pensiero. Scrivere, spiega il docente, non è solo mettere parole in fila: scrivere è pensare. Delegare a un bot il riassunto e l’opinione significa consegnare a una macchina il processo cognitivo di comprensione e analisi critica: “Stanno esternalizzando la loro stessa umanità e la loro capacità di giudizio”, conclude il prof.

Alla fine, a detta dell'insegnante, il tutto si può sintetizzare in un paradosso disarmante: il libro parlava della rivolta di schiavi del 1800, i cui protagonisti lottavano per la libertà e morivano per il diritto di leggere e scrivere. Oggi invece, gli studenti, liberi e con accesso all’istruzione, usano le macchine più avanzate per evitare di leggere e scrivere, affidando a un algoritmo la storia di chi ha sacrificato la vita per quel diritto.

La soluzione: il ritorno a carta e penna

La conseguenza più duratura di questa storia, ora, guarda al futuro. L'episodio ha segnato la fine della fiducia del prof nei compiti svolti a casa dagli studenti. L’insegnante ha, infatti, deciso di attuare quello che in gergo accademico americano si chiama il ritorno ai “Blue Books”, ossia:

  • Niente più saggi a casa: il docente non assegnerà più tesine o recensioni da svolgere nel tempo libero, quando cioè l’uso di ChatGPT è incontrollabile.

  • Scrittura in presenza: d’ora in poi, gli studenti dovranno scrivere i loro saggi in classe, sotto la sua stretta sorveglianza.

  • A mano e con limite di tempo: l’elaborato dovrà essere scritto a mano, su carta e penna, con un limite di tempoc prestabilito.

  • Niente tecnologia: sarà vietato l’uso di qualsiasi dispositivo elettronico durante lo svolgimento degli esercizi.

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