
E se il 43% degli adulti ha raggiunto un livello di istruzione secondario superiore o post-secondario non terziario, ovvero il diploma o una specializzazione post-diploma (dato leggermente superiore alla media dell'OCSE pari al 42%), il restante 37% non ha conseguito neppure un titolo di studio secondario superiore.
I laureati crescono. Ma rimane l’ombra della dispersione scolastica
Le cose vanno un po’ meglio se ci si concentra sulle fasce di età più giovani, peraltro quelle su cui hanno il maggior impatto le politiche educative attuali. Qui la quota di laureati sale: nel 2021 erano il 28% della popolazione tra i 25 e i 34 anni, con un tasso di crescita notevole nell’ultimo ventennio, partendo dal 10% del 2000, per passare al 21% del 2011, fino ad arrivare al dato dell’anno scorso. Peccato che il ritmo con cui cresce il nostro Paese è nettamente più lento del resto del gruppo: a livello di area OCSE, tra il 2000 e il 2021, la percentuale di giovani tra i 25 e i 34 anni con un livello di istruzione terziaria è aumentata in media di 21 punti percentuale. Per capirci in Francia, Regno Unito e Spagna circa la metà dei giovani, nella stessa fascia d’età, è in possesso di un titolo di studio di livello terziario. Anche perché da quelle parti da decenni esistono percorsi alternativi all’università tradizionale che concorrono a innalzare la quota di studenti con tale livello di istruzione. Da noi questi percorsi, gli ITS, esistono da poco più di una decade.Un panorama, questo, ulteriormente aggravato dal dato relativo a chi interrompe gli studi molto prima del consigliato. Sebbene, infatti, terminare le scuole superiori sia considerato il livello minimo per avere una proficua partecipazione al mercato del lavoro, qui da noi quasi 1 giovane su 4 “abbandona” prima del diploma di maturità o di altri titoli assimilabili (l’ultima rilevazione ci dice che sono il 23%); quando la media OCSE è nettamente più bassa (14%).
La laurea, in Italia, “conviene” meno che in altri Paesi
Le “colpe” di questa situazione, però, non vanno addebitate solamente a uno scarso attaccamento degli italiani agli studi e alla formazione. Perché, in teoria, a un livello di istruzione più elevato dovrebbe corrispondere un miglioramento delle prospettive occupazionali. Ed, effettivamente, anche in Italia è così. Nel 2021 il tasso di occupazione dei 25-34enni laureati è stato di 6 punti percentuali superiore rispetto a coloro che possedevano un titolo di studio secondario superiore o post-secondario non terziario e di ben il 20% superiore a quello di coloro di che avevano un titolo di studio inferiore al secondario superiore (terza media). Se non fosse che, a livello OCSE, il tasso di “assorbimento” da parte del mercato del lavoro dei 25-34enni laureati è stato superiore, rispettivamente, di 8 e 26 punti percentuale.A completare, se quanto detto sinora non bastasse, anche le scarse opportunità sul versante del vantaggio - in termini di stipendio - che un titolo di studio più alto riesce a dare. Nell'area OCSE, in media, i lavoratori tra i 25 e i 64 anni con un livello di istruzione secondaria superiore o post-secondaria non terziaria guadagnano il 29% in più rispetto ai lavoratori con un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore, mentre quelli con un livello di istruzione terziaria guadagnano circa il doppio. Ma l’Italia, invece, naviga sotto media: nel 2018, da noi, i lavoratori con un titolo di studio secondario superiore guadagnavano il 27% in più rispetto a quelli con un titolo di studio inferiore al secondario superiore, mentre quelli con un titolo di studio terziario hanno guadagnato il 76% in più (ma il basso numero di laureati annacqua un po’ il vantaggio).
Investiamo meno degli altri in istruzione, università e ricerca. Ma la differenza si riduce nella spesa pro-capite
Tra le cause di una situazione abbastanza deprimente c’è sicuramente un problema di investimenti. Tutti i Paesi dell'OCSE destinano una quota consistente del loro prodotto interno lordo agli istituti di istruzione: nel 2019, ultimo dato disponibile, la spesa media ammontava 4,9% del PIL. In Italia, invece, ci si è fermati 3,8% (con un calo, tra il 2008 e il 2019 dello 0,1%). Inoltre, sempre in Italia, la spesa pubblica per l'istruzione da primaria a terziaria, settore della ricerca incluso, è stata pari al 7,4% della spesa totale; un valore nettamente inferiore alla media dell'OCSE (10,6%).Anche se, va detto, molto dipende anche da quanto viene speso pro-capite. E, qui, il nostro Paese non è messo così male: i Paesi dell'OCSE, per i vari livelli di istruzione, spendono in media 11.990 dollari per studente. L’Italia, nel 2019, ne spendeva 10.902, con una spesa cumulativa per l'istruzione di uno studente, da 6 a 15 anni, di 105.754 dollari (leggermente superiori ai 105.502 della media OCSE). Visti i non lusinghieri risultati in termini di apprendimenti, probabilmente i soldi spesi in istruzione non sono investiti benissimo.