
Abbiamo fatto (e speso) molto per rendere le discipline STEM attrattive nei percorsi d’istruzione secondaria e terziaria: scienze e tecnologie sono diventate molto popolari nei percorsi di formazione tecnici e professionali scolastici, molto meglio che nel resto dell’Unione Europea, ma all’università e sul fronte femminile siamo ancora indietro.
Specie nel settore delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT), un ambito strategico per la sovranità digitale italiana ed europea in cui ci sarebbe un disperato bisogno di figure specializzate, e dove proprio le ragazze rappresentano appena un’iscritta su sei.
L’Italia, quindi, può sorridere solo a metà consultando la pagella contenuta nella “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2025” della Commissione europea che certifica i passi avanti compiuti dal nostro Paese sul fronte della partecipazione agli studi in ambito STEM (acronimo di Scienze, Tecnologia, Ingegneria e Matematica), ma che allo stesso tempo evidenzia quanta strada resti ancora da percorrere per colmare un divario di genere ormai cronico.
Indice:
Oltre 3 miliardi investiti per potenziare l'ecosistema STEM
Volendo guardare il bicchiere mezzo pieno, va riconosciuto che negli ultimi anni l’Italia ha investito come mai prima d’ora nel rafforzamento dell’ecosistema STEM, soprattutto grazie alle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Parliamo di 2,1 miliardi di euro destinati alla fornitura di dispositivi digitali e alla creazione di laboratori in 100mila classi delle scuole primarie e secondarie, a cui si aggiungono 1,1 miliardi di euro stanziati dalla misura “Nuove competenze e nuovi linguaggi” per promuovere pari opportunità e parità di genere nelle discipline STEM, nelle scienze informatiche e nelle competenze multilinguistiche, con un’attenzione esplicita alle studentesse.
A tutto ciò si sommano i fondi stanziati per il “Programma nazionale Scuola e competenze 2021-2027” che ha previsto ulteriori 150 milioni di euro per il potenziamento dei laboratori professionali nelle scuole secondarie delle regioni meridionali,
A completare il quadro, c’è il successo di “Programma il Futuro”, l’iniziativa avviata nel 2014 per introdurre le basi dell’informatica a scuola, che nel solo anno scolastico 2022/23 ha raggiunto 3 milioni di studenti, 42mila insegnanti e 7.400 scuole.
STEM: bene l'IeFP ma all'università gli iscritti scarseggiano
Questo sforzo ha iniziato a dare i suoi frutti, almeno in parte. Nel 2023, infatti, nell’istruzione e formazione professionale di livello intermedio, il 44,4% degli studenti risultava iscritto a percorsi formativi STEM, una quota nettamente superiore alla media europea del 36,3% e ormai molto vicina all’obiettivo UE del 45% fissato per il 2030.
Diverso, invece, il quadro nell’istruzione terziaria, con focus sull’università, dove, in certi ambiti, c’è una vera e propria “latitanza” di studenti. In generale, la quota complessiva di iscritti a percorsi STEM si fermava al 25% nel 2023, un dato poco inferiore alla media europea (26,9%) ma ancora distante dall’obiettivo del 32% previsto per il 2030.
Il vero “buco nero” è rappresentato dal settore ICT che, con appena l’8,8% di iscritti, segna la percentuale più bassa dell’intera area UE, a fronte di una media europea del 20,3%. E di questi, le donne rappresentano appena il 15,7% delle iscrizioni nel settore.
Il gender gap nasce da lontano ed è un problema strutturale
Questo squilibrio, però, non nasce all’università né con le prime scelte di indirizzo. Le sue radici affondano molto prima nel percorso educativo. Secondo i dati TIMSS 2023, infatti, in matematica i ragazzi superano le ragazze di 22 punti già in quarta elementare; a 15 anni il gap è ancora di 21 punti (PISA 2022), un distacco superiore alla media UE, che si ferma a 17 punti.
E non si tratta soltanto di risultati scolastici. A incidere in modo determinante sono anche gli stereotipi: persino tra gli studenti con le performance migliori, i ragazzi sono due volte più propensi delle ragazze a immaginarsi, a 30 anni, in una professione scientifica o ingegneristica.
È anche per questo che molte studentesse arrivano alle STEM più tardi, maturando questa scelta solo con l’avanzare dell’età e di una maggiore consapevolezza delle proprie capacità.
Spostando, infatti, lo sguardo sul divario di genere citato all’inizio, ci si accorge come il gap assuma contorni diversi a seconda dei livelli di istruzione, pur restando una costante del sistema.
Nell’istruzione e formazione professionale la distanza più marcata: solo il 19,1% degli iscritti STEM nell’IFP è costituito da donne. Un dato migliore rispetto alla media UE (15,4%), ma ancora lontano dal target europeo del 25%.
Nello stesso anno preso in esame, poi, la partecipazione femminile complessiva nelle STEM universitarie risultava più elevata, attestandosi al 36,9% (un dato che, in questo caso, si avvicina al target europeo del 40%).
Il risultato, ad ogni modo, è un numero ridotto di (potenziali) laureati in queste discipline. Non sorprende, allora, che anche il tasso di laureati STEM in Italia risulti inferiore agli standard europei: 18,5 laureati ogni 1.000 abitanti tra i 20 e i 29 anni, contro una media UE di 23.