
Il 26 febbraio 2011 il corpo senza vita di Yara Gambirasio, 13enne di Brembate di Sopra, in provincia di Bergamo, è stato rinvenuto in un campo aperto a Chignolo d'Isola. Il ritrovamento ha aperto le porte a uno dei casi di cronaca nera che più hanno segnato l'Italia: già da mesi si erano perse le tracce della giovane ginnasta, scomparsa nel novembre 2010, e il caso aveva tenuto banco per diverso tempo.
Dopo la tragica scoperta, la vicenda ha assunto tinte sempre più fosche e ancora oggi non mancano dubbi circa la dinamica dell'omicidio di Yara.
All'epoca, nel 2018, è stato condannato all'ergastolo Massimo Giuseppe Bossetti, riconosciuto come unico colpevole della morte della ragazza. Ma sono molti i tasselli che mancano all'appello, come anche suggerisce la nuova docuserie di Netflix 'Il caso Yara oltre ogni ragionevole dubbio'.Leggi anche:
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La scomparsa di Yara Gambirasio
Il 26 novembre 2010 Yara Gambirasio scomparve nel nulla. La giovane, che all'epoca aveva 13 anni, come ogni venerdì si stava recando presso il centro sportivo del suo paese, dove era solita allenarsi nella ginnastica ritmica. Erano circa le 17:30 quando si persero le tracce della ragazza: nelle ore successive – come riporta 'Fanpage' – si agganciò a diverse celle telefoniche, prima a quella Ponte San Pietro in via Adamello, poi alle 18:49 la cella di Mapello, a tre chilometri da Brembate di Sopra. Da lì in poi non si ebbero più notizie di lei, e scattò la denuncia per sequestro di persona.
Il ritrovamento del corpo
Tre mesi dopo la sua scomparsa, il cadavere della ragazza fu ritrovato in un campo di Chignolo d'Isola, sempre in provincia di Bergamo. Sul corpo furono rilevati numerosi colpi di spranga, un trauma cranico, una profonda ferita al collo e almeno sei ferite da arma da taglio. A ritrovare le spoglie della giovane fu un aeromodellista in maniera del tutto casuale.
La prova del DNA e l'ignoto 1
Fu così che iniziarono gli esami per arrivare all'identità del killer della ragazza. Sugli slip e sui leggins della stessa furono individuati aloni con dna maschile. Proprio quel Dna, estratto attraverso otto kit diversi, diede un risultato univoco: il famoso Ignoto 1. Gli esami vennero mandati in America, dove il team di tecnici stabilì che molto probabilmente l'assassino aveva gli occhi azzurri. Si risalì così a Giuseppe Guerinoni, autista di autobus di Gorno deceduto nel 1999, identificato come il padre naturale di "Ignoto 1". Dopo molti tentativi, poi, gli inquirenti rintracciarono anche Ester Arzuffi, la donna ritenuta madre dell'ignoto 1. Solo in seguito, tramite un controllo stradale, si risalì a Massimo Bossetti, uno dei due figli della donna il cui dna corrispondeva con quello rinvenuto sul corpo della giovane Yara.
Chi è Massimo Bossetti
Bossetti, che all'epoca aveva 44 anni, era sposato e padre di tre figli, e lavorava come muratore a Mapello. Fu arrestato il 16 giugno 2014 in seguito alla prova del dna. Il 26 febbraio 2015, poi, la Procura della Repubblica di Bergamo chiuse ufficialmente le indagini, indicandolo come unico colpevole e chiedendone il rinvio a giudizio. Dal canto suo, l'accusato si dichiarò subito innocente, e anche sua moglie sostenne che il marito era con lei in casa la sera del delitto. Inoltre gli avvocati della difesa contestarono fermamente la prova del dna, sottolineando la mancanza di dna mitocondriale nella traccia esaminata.

La dinamica dell'omicidio di Yara
La versione ad oggi più convincente per gli inquirenti è che la giovane conoscesse bene il suo assassino. Uscita dagli allenamenti, sarebbe salita in macchina del killer, e quindi portata in un posto isolato. Lì sarebbe stata seviziata, accoltellata e stordita con tre colpi alla testa e lasciata morire di freddo. Nella mano destra stringeva arbusti tipici della zona, sotto le unghie e persino nel braccialettino di stoffa che portava sono attaccate le spine di quel campo. Sul corpo fu trovata anche una X, che all'inizio si pensava fosse un simbolo di una qualche setta satanica.
Il processo e la sentenza di Massimo Bossetti
La vicenda processuale che vide Bossetti protagonista fu piuttosto lunga. Il primo luglio del 2016 la Corte d'Assise di Bergamo condannò il presunto killer all'ergastolo, privandolo inoltre della responsabilità genitoriale sui tre figli. Il processo d'appello, svoltosi nel giugno del 2017, confermò la sentenza del primo grado di giudizio, giudicando Bossetti colpevole e condannandolo all'ergastolo. Infine, il 12 ottobre 2018 è arrivata anche la conferma della Corte di Cassazione alla condanna all'ergastolo. Una sentenza lunga ben 155 pagine, dove l'accusa smonta le diverse versione della difesa, puntando tutto sulle tracce di dna analizzato. Per i giudici, infatti, "numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sugli slip della vittima, e quelle dell'imputato" e quindi ha "valore di prova piena". Riguardo il movente, anche qui i diversi gradi di giudizio sono stati univoci, ed è stato riscontrato in un "contesto di avances a sfondo sessuale".
In seguito, i vari tentativi di Bossetti e dei suoi legali di riaprire il caso caddero nel vuoto. Il 3 giugno 2021 tutte le istanze dai legali di Bossetti sono state rigettate dalla Corte d’Assise di Bergamo: la difesa chiedeva infatti di potere rianalizzare i reperti delle indagini, confiscati dopo la sentenza definitiva, al fine di una possibile revisione del processo. Ma i reperti di dna non erano più fruibili. Viceversa, di recente, il 13 maggio per l'esattezza, i legali del condannato hanno potuto visionare i reperti che nel 2018 hanno portato alla sentenza.
"Nel primo scatolone erano contenuti i vestiti, quindi gli slip, i leggins, la maglietta, il giubbotto, le calze e le scarpe. Erano conservati dentro dei sacchetti. La cosa che mi ha particolarmente colpito è stata la qualità di conservazione, che è molto buona. – spiega ancora il legale – Quindi, il nostro consulente, Marzio Capra ha potuto esaminarli e vedere che ci sono tracce ulteriori che si potrebbero analizzare. E questo è molto positivo per noi".