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 autogestioni e occupazioni anno scolastico 2017

L’autunno è, per tradizione, la stagione più ‘calda’ per le scuole italiane. È il periodo delle proteste e delle manifestazioni. Ma è soprattutto il momento in cui vanno in scena autogestioni e occupazioni.

Per questo, con la fine dell’anno, si può stilare un primo bilancio di che aria tira nei nostri istituti. I due fenomeni, rispetto a dodici mesi fa, registrano un lieve calo. Perché, stando a quanto raccontano i 10mila studenti intervistati da Skuola.net, in meno di 1 caso su 5 (18%) è stata organizzata qualche forma di protesta a scuola. Ma cosa è successo durante queste agitazioni? In più della metà di questi episodi (54%), si è trattato di autogestione o cogestione. Mentre le occupazioni si sono fermate a un terzo dei casi - 31% - e quasi la metà non ha neanche partecipato. Il 15%, invece, ha assistito a proteste di altro genere.

Quando l’occupazione si trasforma in un rave party

Ma quest’anno le occupazioni scolastiche sono finite sulle prime pagine dei giornali. Le cronache riportano casi in cui l’occupazione ha trasformato la scuola in un locale notturno (con ingresso a pagamento, spaccio di stupefacenti e devastazioni). Situazioni estreme e isolate? Proprio no. Perché questo è uno scenario che si ripete in molte altre scuole. Il 60% dei ragazzi che hanno partecipato all’occupazione, riferisce che l’ingresso nell’istituto è stato permesso anche a persone esterne. E praticamente 1 su 2 (48%) sostiene che siano circolati alcolici e sostanze stupefacenti. Il 57% degli intervistati dice che, durante l’occupazione, sono state poi organizzate feste o concerti: nel 38% dei casi solo per gli studenti della scuola, nel 19% aperti anche agli esterni; in 1 caso su 2 con ingresso a pagamento.

Furti e devastazioni: ecco il lato oscuro delle occupazioni

Ma non finisce qui: il 34% dei ragazzi ha riportato episodi di furti, il 48% di atti vandalici e danni alle strutture (37% lievi, 11% gravi). Un quadro reso ancora più inquietante dal fatto che circa 9 studenti su 10 – 87% - sappiano che l’occupazione sia, già di per sé, illegale. E allora sembra quasi marginale che il 16% abbia aderito solo per divertirsi.

Non sempre l’occupazione è un successo

Al di là di questi estremi, però, ci sono da valutare anche i contenuti dell’occupazione: la didattica alternativa. E, su questo punto, i ragazzi sono divisi: solo per il 40% è stata ben organizzata, il 24% si sarebbe aspettato più partecipazione ai corsi autogestiti, 1 su 4 (25%) la giudica negativamente e 1 su 10 (11%) addirittura un fallimento. Forse perché l’atteggiamento dei professori ha un po’ spento l’entusiasmo: il 41% pare abbia subito minacce di ‘ritorsioni scolastiche’ da parte dei docenti. Insegnanti che, solo nel 16% dei casi, si sono mostrati solidali (il restante 43% si è mantenuto neutro).

L’autogestione convince di più, ma non abbastanza

Anche l’autogestione, però, non è andata come ci si aspettava. Appena meglio dell’occupazione, ma di poco: solo per il 45% di chi ha partecipato, infatti, è stata un successo; il 34%, invece, lamenta una scarsa adesione; per il 16% è stata mal organizzata; per il 5% un fallimento totale.

Reazione più morbida dei prof con chi fa autogestione

L’unico dato che separa notevolmente i due mondi è la reazione dei prof: quando c’è stata autogestione, le minacce di ritorsioni sono arrivate solo da 1 insegnate su 5, ma la stessa quota (21%) ha appoggiato l’iniziativa; la maggior parte (58%) non ha detto nulla. I motivi della protesta? Il 38% ha aderito per richiamare l’attenzione sui problemi interni alla propria scuola, il 17% per discutere dei punti critici dell’alternanza scuola lavoro, il 15% per opporsi alla ‘Buona Scuola’.

Perché non si partecipa alle proteste

E chi non ha partecipato all’autogestione né occupato? Nel primo caso è stato il divieto dei genitori la causa principale della mancata adesione (35%), seguita dalla sensazione di perdere tempo e basta (19%) e dal volersi opporre ai motivi della protesta (18). Nel secondo, invece, il 30% non partecipato semplicemente perché non è si è arrivati all’occupazione; il 23%, invece, non condivideva le ragioni che l’hanno generata.

Marcello Gelardini