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7 ottobre

Quella mattina, alle prime luci dell'alba, il 7 ottobre 2023 è entrato nella storia, ma nel modo più drammatico e violento possibile. È, infatti, il giorno in cui il conflitto tra Israele e Hamas ha subito una brusca e terrificante accelerazione, lasciando il mondo intero col fiato sospeso.

Alle 6:29, la vita lungo il confine tra la Striscia di Gaza e Israele è cambiata per sempre. Una pioggia di razzi ha invaso il cielo dello Stato ebraico, ma quello era solo l'inizio di qualcosa di molto peggio. In poche ore, l'attacco sferrato dal gruppo terroristico di Hamas, chiamato “Operazione Diluvio di al-Aqsa”, prevedeva anche un’infiltrazione di massa via terra.

Circa 6mila miliziani armati sono penetrati nei confini attraverso ben 119 varchi aperti dalla barriera, prendendo di mira non solo obiettivi militari, ma principalmente i kibbutz, comunità agricole vicine al confine, come Nir Oz e Kfar Aza, inclusi i tanti ragazzi che stavano partecipando a un festival musicale. 

Indice

  1. L'inizio della guerra
  2. La risposta di Israele
  3. Gli ostaggi

L'inizio della guerra

L’attacco è stato brutale e mirato contro la popolazione civile. Colpiscono ancora oggi le immagini di terrore dei circa 3.000 giovani radunati al festival musicale supernova, luogo dove i miliziani di Hamas hanno ucciso ben 364 partecipanti.

Il bilancio di quella singola giornata è stato spaventoso: 1200 i morti in totale. Tra le vittime si contano 859 civili israeliani e centinaia tra soldati e forze dell'ordine. Sono state anche raccolte numerose e drammatiche testimonianze di abusi e violenze inflitte a donne israeliane. Oltre al massacro, i miliziani hanno portato via più di 250 persone rapite, il cui destino è diventato un’incognita angosciante.

Hamas ha dichiarato che l'attacco era una risposta alle azioni israeliane nella Moschea al-Aqsa di Gerusalemme e alle violenze nei campi dei rifugiati in Cisgiordania. Non a caso, questa data è coincisa con il cinquantesimo anniversario dello scoppio della guerra arabo-israeliana del 1973.

La risposta di Israele

Lo Stato ebraico è stato colto di sorpresa e la sua risposta è arrivata con ore di ritardo, non prima delle 10 del mattino, con i primi attacchi contro la Striscia di Gaza.

La reazione istituzionale è stata immediata e ferma. Poco dopo le 11:30, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato che il Paese era in guerra.

Nel pomeriggio, per far fronte all'emergenza e lanciare la controffensiva, sono stati mobilitati 360mila riservisti dell'esercito, che si sono aggiunti ai soldati già in servizio. Le forze israeliane hanno ripreso terreno solo a metà giornata, ma è servito fino al 10 ottobre perché l'esercito dichiarasse di aver riconquistato tutte le aree attaccate da Hamas.

La risposta militare israeliana, che si è prolungata per i due anni successivi e prosegue ancora oggi, ha avuto un impatto devastante a Gaza, distruggendo gran parte delle infrastrutture civili essenziali per la vita nella Striscia e causando oltre 67mila morti e 167mila feriti, ma studi indipendenti stimano che il bilancio potrebbe essere molto più pesante.

Gli ostaggi

Resta ancora vivo, in ogni caso, il dramma degli ostaggi, iniziato il 7 ottobre, ancora adesso uno snodo cruciale del conflitto. Dopo il massacro, più di 250 israeliani erano stati portati nella Striscia di Gaza. Oggi, a due anni di distanza, rimangono 48 ostaggi prigionieri nelle mani di Hamas, che potrebbero essere rilasciati grazie all’accordo di pace del presidente USA Donald Trump.

Di questi, Israele ritiene che 20 siano vivi, anche se, come ha sostenuto Trump, "il numero potrebbe essere inferiore". Purtroppo, di almeno 26 è stato confermato il decesso. Finora, 140 persone sono state rilasciate vive tramite scambi o accordi. Inoltre, 58 corpi sono stati rimpatriati.

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