
Una studentessa ha raccontato di aver rinunciato alla gita scolastica perché il fidanzato non avrebbe accettato di non poterla geolocalizzare dal telefono durante quei giorni. “Però lui mi ama”, avrebbe aggiunto la ragazza, spiegando la decisione di restare a casa.
L’episodio è emerso nel corso di un convegno pubblico tenuto in provincia di Modena e dedicato a bullismo, violenza di genere e femminicidi, promosso dalla sezione locale della Croce Blu. Durante l’evento, sono state condivise diverse testimonianze che hanno restituito un quadro complesso delle dinamiche che coinvolgono molti adolescenti.
Tra queste, quella di un’altra giovane che ha raccontato: “Grazie alla scuola ho scoperto che io sono una ragazza libera e che il mio corpo è solo mio. Ma sa una cosa, preside? Io ora tornerò a casa e come ogni giorno dovrò lavare, pulire e cucinare per i miei otto fratelli. So anche che dovrò sposare un mio cugino pakistano come me. Lei, preside, ora cosa fa per me?”.
Indice
Il convegno e le figure coinvolte
Al confronto hanno partecipato professionisti che lavorano quotidianamente con ragazzi e famiglie: una dirigente scolastica di Busto Arsizio, uno psicologo e psicoterapeuta, una rappresentante del Comitato Scientifico della Fondazione Cecchettin e un referente del Movimento Nazionale Antibullismo “Ma Basta”. L’incontro è stato moderato da un giornalista attivo per Rai, Start Magazine e Ristretto Italiano.
Il sottotitolo scelto per l’iniziativa “Tutti sanno ma pochi parlano”, ha sintetizzato lo spirito della giornata, focalizzata sui segnali troppo spesso ignorati o non denunciati, che emergono nei rapporti affettivi e nelle dinamiche di prevaricazione tra giovani.
Come riportato da 'OrizzonteScuola', la dirigente scolastica - Amanda Ferrario, preside dell'Istituto Tosi di Busto Arsizio - ha insistito sulla necessità di coinvolgere anche le famiglie: “Bisogna lavorare con i genitori che non devono invitare i figli a farsi i fatti propri, poiché i valori che trasmettiamo a scuola svaniscono se poi i ragazzi a casa ricevono messaggi diversi”.
Bullismo, social e segnali che non vanno sottovalutati
Nel corso della mattinata è stato affrontato soprattutto il tema del bullismo, che secondo gli esperti si è trasformato profondamente con l’avvento dei social network. “Il bullismo si perpetra soprattutto alle medie", spiega la dirigente scolastica, "l’uso sconsiderato e non responsabile dei social in età precoce è una vera emergenza”.
La dirigente ha descritto un quadro complesso: “Il bullismo non è così evidente e proprio per questo è difficile da scoprire, si verifica nei momenti non vigilati, negli spogliatoi, durante la pausa in mensa”. Ha poi aggiunto come i ragazzi tra i 10 e i 15 anni vivano con intensità le questioni legate all’identità, con il rischio di sentirsi costantemente inadeguati.
Particolare attenzione è stata posta anche a certe piattaforme frequentate dagli adolescenti, come Roblox. “Ci sono sfide e giochi che spesso sono pericolosi come non mangiare per giorni per infine sottoporsi a esercizi fisici con i quali spesso perdono i sensi, o mettendosi un cellophane intorno al collo per sfidare la morte”.
La voce degli esperti
Lo psicologo e psicoterapeuta intervenuto al convegno ha sottolineato quanto spesso si arrivi tardi: “Lo psicologo parte sempre in salita", ha commentato, "ci si accorge della situazione quando i fatti sono già avvenuti e hanno già avuto il loro impatto”.
Ha poi spiegato la natura intenzionale dei comportamenti di prevaricazione: “Il bullismo è un comportamento antisociale che richiama il nonnismo della leva militare e il bullo non agisce mai per caso, agisce con intenzione e individua la vittima commettendo azioni che ne compromettono l’autostima”. Il professionista ha raccontato anche come alcune ferite restino profonde nel tempo: “Io ho adulti di 50-60 anni che hanno avuto episodi delle medie e che non riescono ancora a narrare”.
Un fenomeno che parla di libertà, controllo e fragilità
Le testimonianze raccolte durante l’incontro hanno evidenziato situazioni molto diverse tra loro, unite però da un filo comune: la difficoltà di molti giovani a riconoscere i confini tra affetto, controllo e dipendenza emotiva, e l'incapacità di denunciare ciò che gli accade, o che vedono accadere.