
È il riconoscimento più politico e più divisivo tra i Nobel, quello che ogni anno misura lo stato di salute del mondo più che quello della diplomazia. E mai come nel 2025, con un Medio Oriente ancora molto fragile e una guerra in Ucraina che non accenna a chiudersi, l’attesa è carica di implicazioni.
Venerdì 10 ottobre alle 11, il Comitato norvegese del premio annuncerà il nome del vincitore del Nobel per la Pace 2025, l’unico assegnato fuori dalla Svezia.
Nel frattempo circolano indiscrezioni, ipotesi e anche qualche provocazione. Tra queste, quella che riguarda Donald Trump, tornato a rivendicare il ruolo di “pacificatore” dopo l’intesa fra Israele e Hamas. Ma la sua candidatura, più che un atto formale, resta per molti una mossa politica.
Trump e il ritorno del sogno Nobel
L’ex presidente americano ha ripreso a parlare di sé come di un possibile premiato, rivendicando di aver “posto fine a sei o sette guerre” durante il suo mandato. A sostenerlo ci sarebbero governi come quello israeliano e pakistano, oltre al deputato repubblicano Darrell Issa, che ne ha formalizzato la candidatura.
L’Israeli Hostages Families Forum ha addirittura invitato il Comitato a premiarlo per la “leadership straordinaria” mostrata nel tentativo di liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas. Eppure, anche stavolta, i tempi giocano contro di lui: la scadenza per le candidature era fissata al 31 gennaio, ben prima degli ultimi sviluppi diplomatici in Medio Oriente.
Trump continua a ripetere che “non gli daranno mai il Nobel, anche se ha risolto otto guerre”, ma l’argomento convince pochi a Oslo. Il Comitato, storicamente restio a riconoscere figure fortemente politiche, tende a privilegiare percorsi di pace lunghi e documentati, lontani dal clamore mediatico.
Come funziona davvero il Nobel per la Pace
Il Premio Nobel per la Pace viene assegnato ogni anno dal Comitato norvegese, composto da sei membri designati dal Parlamento di Oslo. Le nomination arrivano da una platea ristretta: parlamentari, accademici di discipline giuridiche e umanitarie, ex vincitori, direttori di centri di ricerca e ONG internazionali.
Quest’anno sono 338 le candidature ufficialmente registrate, tra persone e organizzazioni. I nomi, per regolamento, resteranno segreti per cinquant’anni, ma molte candidature vengono rese pubbliche da chi le propone, alimentando un gioco di voci e previsioni.
Il premio, consegnato il 10 dicembre a Oslo, è stato attribuito 105 volte dal 1901 e conta tra i vincitori Malala Yousafzai, Narges Mohammadi, Barack Obama, Desmond Tutu e persino l’Unione europea, premiata nel 2012 per “aver trasformato un continente di guerra in un continente di pace”.
I nomi più accreditati del 2025
Al di là del “caso Trump”, anche quest'anno l’attenzione si concentra su profili dal peso morale marcato. In testa, secondo molti osservatori, Yulia Navalnaya, vedova di Alexei Navalny e simbolo della resistenza al regime russo. C’è poi Irwin Cotler, giurista canadese che ha difeso Nelson Mandela e fondato il Raoul Wallenberg Centre for Human Rights, punto di riferimento internazionale nella lotta alle persecuzioni.
Tra i possibili riconoscimenti collettivi si citano Medici Senza Frontiere e il World Food Programme, impegnati nei teatri di crisi in Medio Oriente e Africa.
Ma nella rosa informale figurano anche Francesca Albanese, giurista italiana e relatrice ONU sui territori palestinesi occupati, e Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, da anni voce costante a favore della diplomazia multilaterale.
Più defilata, ma suggestiva, la candidatura dell’artista Michelangelo Pistoletto, che ha fatto della sua opera “Terzo Paradiso” un progetto di riconciliazione simbolica tra natura e tecnologia.
Un premio che riflette le tensioni del mondo
Nelle scelte del Nobel per la Pace, i segnali contano quanto i meriti. Il Comitato tende a valorizzare chi costruisce ponti invisibili, più che chi occupa i riflettori della scena politica. È per questo che molti analisti escludono un premio “di potenza” e si aspettano piuttosto un riconoscimento che parli di resilienza civile, di solidarietà e di difesa dei diritti umani.
A Oslo, domani mattina, si saprà se prevarrà la logica del messaggio o quella dell’efficacia diplomatica. Ma, in ogni caso, il Nobel per la Pace 2025 sarà lo specchio più fedele del nostro tempo: frammentato, inquieto, in cerca di una tregua che valga davvero il nome del premio.