Mika
di Mika
Immagine autore
6' di lettura 6' di lettura
L'Hip Hop è morto? articolo
Everybody sounds the same, commercialized the game
Reminiscin' when it wasn't all business

Quando Nasir Jones rivelò quello che sarebbe stato il titolo del suo prossimo album, il mondo dell'hip hop si spaccò in due: chi pensava che Nas stesse parlando a sproposito e cercando facile pubblicità, e chi diceva "era ora che qualcuno se ne accorgesse".

Alcuni addirittura hanno criticato Nas per essere uno dei principali responsabili della commercializzazione dell'hip hop, un fatto per alcuni evidenziato dalla presenza di un guest star come Will.i.am dei Black Eyed Peas proprio sulla traccia che dà il titolo all'album. Nas ormai non ha timore di avventurarsi in universi musicali disparati, ma è d'obbligo notare che l'elemento dominante di tutti i suoi lavori è quello lirico, e Hip Hop is Dead non fa eccezione.

Fin dai tempi di Illmatic questa dicotomia ha seguito Nas ovunque andasse: tutti continuavano ad aspettare un altro capolavoro che potesse eguagliare il suo debutto, non rendendosi conto che si trattava di un'impresa quasi impossibile per qualsiasi rapper. Nas continuò invece ad evolversi come rapper, mantenendo i suoi testi su livelli altissimi, ma spostandosi musicalmente verso uno stile più commerciale.

"L'hip hop è morto, e tutti i presenti sono responsabili per la sua morte" così si presentò Nas ad una conferenza stampa poco prima dell'uscita dell'album. Di fatto, non si è mai sottratto dal suo stesso atto di accusa; se ha scagliato la prima pietra, l'ha scagliata anche contro se stesso. Hip Hop Is Dead è anche un album di contraddizioni, forse il più eclettico mai pubblicato da Nas sia per contenuti che per sound. Il rapper di Queensbridge alterna senza sforzo le sue varie personalità, quella del profeta di strada, del poeta, dell'attivista politico e del gangsta. Stesso discorso per il lato musicale, che incorpora campionamenti di James Brown, Iron Butterfly (di nuovo), Eric B., Carmine Coppola, Diana Ross, Marvin Gaye e Nat King Cole. C'è addirittura una traccia a cappella (Hope) che testimonia ulteriormente l'intento di Nas di riportare al centro della scena le rime e la voce, restituendo all'elemento rap tutta la sua potenza.

E' anche l'album di Nas con il maggior numero di collaborazioni di rilievo: il già citato Will.i.am su Hip Hop is Dead, la moglie Kelis su Not Going Back, Snoop Dogg su Play on Playa, The Game e Dr. Dre su Hustlers, Kanye West su Still Dreamin e l'ex arcinemico (ora CEO) Jay-Z su Black Republican. Sorprendentemente, tutti questi guest star non riescono a mettere in ombra Nas e le sue rime; Mr Jones è al top per tutti i 60 minuti dell'album, e sforna strofe di prim'ordine, alcune indubbiamente tra le migliori dai tempi del suo debutto.

Hip Hop is Dead non è Illmatic, il che non dovrebbe stupire visto che la frase compare ogni volta che si paragona qualsiasi album di Nas al suo leggendario debutto. La produzione, in generale di buon livello, non riesce sempre a rendere giustizia alle rime di Nas, e forse alcuni beat meritavano più attenzione. Ci sono comunque dei pezzi molto riusciti, come Where Are They Now, che utilizza un campionamento di James Brown, Blunt Ashes e l'epica Black Republican. Hip Hop is Dead si piazza comunque sul podio dei migliori CD in una discografia illustre, grazie anche alla controversa riflessione sulla presunta morte dell'hip hop.

Appena sentito il titolo del CD, molti rapper (specialmente del Sud, come Young Jeezy, Ludacris e Trick Daddy) l'hanno presa sul personale e hanno criticato le affermazioni di Nas. Altri, come KRS-One e Ghostface Killah, si sono dichiarati d'accordo con lui. Nessuno può negare che ci sia stata decadenza dei contenuti e della potenza sociale dell'hip hop. Qualcuno indica gli omicidi di Tupac e Biggie Smalls come l'inizio di questa decadenza, in quanto ha segnato l'inizio della popolarità del rap a livello globale; altri vanno più indietro e criticano l'avvento del gangsta rap. D'altro canto, è innegabile che MC come MF Doom, Papoose e Ghostface, solo per nominarne alcuni, continuano a dimostrare che l'hip hop è vivo e vegeto. Ci sono ovviamente anche quelli (molti) che sviliscono l'arte in nome delle vendite, ma è un fenomeno che è sempre esistito, e che si è amplificato a dismisura con il successo mondiale dell'hip hop a partire dalla fine degli anni '90: pensate a gruppi come Gangstarr e A Tribe Called Quest, che non hanno mai riscosso grande successo commerciale, e oggi sono considerati leggende.

E' chiaro che Nas, almeno in parte, vuole provocare: Hope contiene l'ennesima contraddizione, la frase "hip hop will never die". Alla fine, Nas dipinge un'immagine in cui tutte le contraddizioni e le dicotomie finiscono per formare una visione unica, uno sguardo quasi passionale alla scena moderna per dimostrare che in realtà lui è ancora innamorato della sua arte, e a scapito del titolo, Hip Hop is Dead non fa altro che donarle nuova linfa vitale.