CristinaLegnini
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A 18 o 19 anni gli italiani affrontano il cosiddetto esame di maturità, ma la maturità vera arriva a quarant'anni. Questo dato emerge dal rapporto “Il Divario generazionale tra conflitti e solidarietà. Generazioni al confronto” presentato dalla Fondazione Bruno Visentini il 22 marzo a Roma.

Ma che vuol dire "maturità"?

L'Italia è un paese per vecchi. L'età adulta arriverebbe una volta finiti gli studi, trovato un lavoro stabile e messo al mondo un figlio prendendosi la responsabilità di una nuova generazione. Se nel 2004 l'età adulta arrivava a 30 anni, dal rapporto della Fondazione Bruno Visentini emerge che nel 2017 arriva a 40 anni e nel 2030 andrà sempre peggio. La colpa è del "divario generazionale", da cui lo studio è partito: il cosiddetto “Indice di Divario Generazionale”, messo a punto dai ricercatori del “ClubdiLatina” nel 2014, individua dodici “indicatori” del gap tra generazioni come la disoccupazione, salute, legalità, accesso al credito. I giovani italiani crescono in una società gestita a misura delle generazioni precedenti: in particolare quella dei nati tra il 1946 e il 1965. Lo dimostra anche l’indicatore della ricchezza: sono più abbienti, lo resteranno fino alla fine. Ad influire negativamente sulla situazione c’è il dato dell’età media del cittadino. “Nel 2030 – il punto più lontano nel tempo a cui arriva il nostro indicatore – l’Italia sarà il secondo Paese più vecchio del mondo. Il cittadino medio italiano avrà 51 anni. Il Paese sta invecchiando anagraficamente e questo rende tutto più difficile”, spiega professore Luciano Monti, condirettore scientifico della Fondazione Bruno Visentini e docente LUISS.

Come ridurre il divario generazionale

Lo studio ha anche analizzato le principali le principali esperienze di riduzione del divario generazionale, sia italiane che europee. Due direzioni sarebbero possibili: la prima è una rimodulazione dell’imposizione fiscale in funzione dell’età “a parità di reddito una persona più avanti negli anni e finanziariamente più stabile verserebbe un’aliquota più alta del giovane” spiega Monti. La seconda misura è un contributo di solidarietà temporaneo da parte della generazione più matura che gode delle pensioni più generose: "Un patto generazionale". Due milioni di persone posizionate nella fascia apicale verrebbero chiamate a sottoscrivere un patto che andrebbe ad alimentare un fondo per le politiche giovanili.

Cristina Legnini

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