
Quella che fino a pochi anni fa sembrava una frontiera irraggiungibile per le macchine è stata appena superata. L’ennesima. Due dei principali laboratori mondiali di Intelligenza Artificiale – Google DeepMind e OpenAI – hanno, infatti, raggiunto un risultato che mette sullo stesso piano, per la prima volta, una mente artificiale e i migliori cervelli umani nel campo della matematica: hanno superato con successo le Olimpiadi Internazionali di Matematica.
Sul banco di prova, sei problemi di altissima complessità, sottoposti agli stessi criteri di valutazione riservati agli studenti. E, udite udite, entrambi i modelli di IA hanno centrato il punteggio necessario per ottenere una medaglia d’oro.
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Quando l’IA ragiona (davvero)
A colpire, oltre al risultato in sé, è il modo in cui è stato raggiunto tale traguardo. I modelli non hanno semplicemente “calcolato”, ma letto, interpretato e risolto i problemi in linguaggio naturale, come farebbe un partecipante umano.
Il modello sperimentale di OpenAI (della serie o1/o3) ha guadagnato l’attenzione pubblica grazie a un post su X, ma a ottenere il riconoscimento ufficiale è stato Gemini Deep Think, sviluppato da DeepMind, l’unico a iscriversi formalmente alla competizione secondo le regole stabilite.
Questo significa che siamo davanti a modelli ormai generalisti, capaci di ragionare in contesti astratti, senza istruzioni specifiche e secialistiche. Un passaggio fondamentale, che allontana sempre più gli assistente automatizzati con cui abbiamo avuto a che fare sinora dalle macchine che sanno pensare con logica umana, sempre più presenti in futuro.
Due strategie, un solo risultato
Le due aziende hanno seguito strade diverse per raggiungere lo stesso obiettivo.
OpenAI ha scelto il metodo multi-agent consensus: diversi agenti propongono soluzioni alternative, poi si confrontano internamente per selezionare la più solida. Una sorta di dibattito interno tra intelligenze artificiali, se vogliamo.
DeepMind, invece, ha puntato su un approccio chiamato parallel reasoning: il modello esplora più linee di pensiero in parallelo, per poi convergere su una soluzione finale.
In entrambi i casi, comunque, si tratta di processi di riflessione iterativi, non di risposte istantanee. L’IA non si limita a emulare, ma sviluppa percorsi logici autonomi, ampliando così le possibilità di utilizzo in ambiti dove il ragionamento è più importante della velocità.
L’IA non rimpiazza, collabora
Nonostante l’impatto mediatico, l’obiettivo dichiarato dai ricercatori non è però quello di sostituire gli esseri umani, ma di creare strumenti che possano affiancare matematici, scienziati e studiosi di ogni sorta.
DeepMind ha parlato apertamente di sistemi di supporto alla ricerca, capaci di affrontare problemi complessi che oggi restano irrisolti. In questo senso, la matematica diventa il terreno ideale per mettere alla prova le capacità dell’IA: è rigorosa, ma lascia spazio all’intuizione, al percorso creativo, alla strategia.
Le macchine, almeno sulla carta, non hanno fantasia, ma sanno imparare a costruire la logica che porta a una scoperta. Che non sia proprio questo l’embrione della creatività?
Il confronto con gli umani resta aperto
L’esperimento, in ogni caso, non cancella del tutto il vantaggio umano. Un esempio è arrivato dalla AtCoder World Tour Finals 2025, competizione di programmazione svoltasi a Tokyo. Qui, un giovane sviluppatore polacco, Przemysław Dębiak, ha superato – seppur di poco – il modello proposto da OpenAI in una lunga gara di ottimizzazione.
Un risultato che per ora ci teniamo stretto: l’ingegno umano mantiene ancora margini di superiorità, soprattutto in contesti dove conta la capacità di adattamento e la comprensione del contesto.
Insomma, la sfida è aperta. Quello che è certo è che le regole del gioco stanno cambiando.