
Da acuto testimone delle attese, dei desideri ma anche delle paure dell’uomo contemporaneo, Eugenio Montale è uno dei più grandi poeti della letteratura italiana del Novecento. A differenza degli autori a lui coevi, ha sempre rifiutato la visione materialistico-positivistica della realtà, sostenendo invece che l’esistenza umana oscilla inesorabilmente tra il mal di vivere e la speranza di una fuga data all’atteso miracolo. Il Nobel per la letteratura nasceva a Genova esattamente 125 anni fa, nel 1986. Ecco le frasi e le poesie più belle dell’autore.
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Eugenio Montale, oggi l’anniversario della sua nascita
Oggi si festeggia il 125esimo compleanno di Eugenio Montale, attento testimone degli eventi più funesti del ventesimo secolo e critico osservatore dei tratti salienti della condizione umana di ogni tempo. Per l’occasione Google ha pensato di ricordare il poeta con un doodle. Chi effettua delle ricerche oggi sulla piattaforma di Mountain View vedrà infatti una illustrazione del poeta che scrive e sullo sfondo un panorama che richiama “Ossi di Seppia”.
Eugenio Montale, la vita e le raccolte più celebri
Eugenio Montale nacque nel 1896 a Genova. Dopo aver frequentato l’Istituto Tecnico Commerciale interruppe gli studi per dedicarsi alla musica e al canto lirico. Rifiutò anche di lavorare nella ditta di famiglia per impegnarsi nella letteratura e studiare i poeti simbolisti francesi e i grandi filosofi Nietzsche e Schopenhauer. Nel 1925 pubblicò la raccolta “Ossi di seppia” e il saggio “Stile e tradizione” dove inizia a prevalere il senso di smarrimenti di fronte agli arcani e misteriosi meccanismi dell’esistenza umana. Dopo il trasferimento a Firenze pubblicò la raccolta di poesie “Le occasioni”, nella quale riflette sulla solitudine dell’uomo e sul senso di sconfitta. Dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale la sua esistenza diventa più conflittuale e nei suoi scritti prevalgono immagini tragiche, piene di dolore e di desolazione. Dopo la morte della morta ricerca nella scrittura il ricordo nostalgico dell’amata perduta. Nel 1975 riceve il premio Nobel per la Letteratura e muore nel 1981 a Milano.
Eugenio Montale, le poesie più belle
Ecco una nostra selezione delle poesie più belle di Eugenio Montale, che abbiamo pensato di elaborare in occasione dei suoi 125 anni.
Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso il male di vivere ho incontratoera il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Meriggiare pallido e assorto
Meriggiare pallido e assortopresso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.
Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.
Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
Gloria del disteso mezzogiorno
Gloria del disteso mezzogiornoquand'ombra non rendono gli alberi,
e più e più si mostrano d'attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.
Il sole, in alto, - e un secco greto.
Il mio giorno non è dunque passato:
l'ora più bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.
L'arsura, in giro; un martin pescatore
volteggia s'una reliquia di vita.
La buona pioggia è di là dallo squallore,
ma in attendere è gioia più compita.
Felicità raggiunta
Felicità raggiunta, si camminaper te sul fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Se giungi sulle anime invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
e' dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case
Non recidere, forbice, quel volto
Non recidere, forbice, quel volto,solo nella memoria che si sfolla,
non far del grande suo viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala… Duro il colpo svetta.
E l'acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.
Paolo Ferrara