
Quando oggi pensiamo alla marcia su Roma immaginiamo una folla inferocita di gente nelle piazze, intenta a prendersi il potere con la forza.
Eppure – come ci insegnano i libri di storia – le cose non andarono proprio così. A quella marcia Mussolini nemmeno partecipò e le famose “camicie nere” si fermarono a 100 chilometri dalla Capitale. Non ci furono scontri di alcun tipo, fu l'allora Re Vittorio Emanuele III a consegnare il potere ai fascisti. La marcia su Roma è l'anno zero del fascismo, ma cosa successe davvero in questo giorno di 100 anni fa? Facciamo un po' di chiarezza.
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Le cause storiche e sociali della Marcia su Roma
Per comprendere questo episodio è utile fare un piccolo passo indietro. L'Italia si affacciava agli anni '20 dilaniata dalla Prima Guerra Mondiale. Nonostante infatti il Paese fosse tra i vincitori della guerra, le conseguenze economiche – e di riflesso sociali – dividevano l'Italia. La guerra aveva di fatto accelerato la crisi dello Stato liberale e smascherato l'incapacità della politica di dare risposte concrete alle masse di contadini e operai che chiedevano migliori condizioni di vita e salari più alti. Crisi economica, povertà, sfiducia verso le istituzioni: in questo contesto il fascismo trovò terreno più che fertile.Alla mancata annessione di Fiume e della Dalmazia aveva provocato la nascita di molti movimenti nazionalisti, tra i cui esponenti il più famoso era il poeta Gabriele D'Annunzio. Fu proprio lui a coniare il termine “vittoria mutilata”, in riferimento al mancato “trofeo” di guerra, e ad occupare la città di Fiume nel 1919: in quell'occasione si parlò per la prima volta di un'ipotetica marcia su Roma. Erano però gli anni del cosiddetto “biennio rosso” (1919-1920), caratterizzati da forti disordini, dovuti a scioperi e proteste. In questo scenario, fu facile per Mussolini e i suoi soffiare sul vento delle malcontento, rivendicando un'Italia nazionalista e militarista. Alle elezioni del 1921, Mussolini e altri 34 fascisti riuscirono a farsi eleggere in Parlamento, e fu proprio tra quegli scranni che il “Duce” cominciò a tessere la trama del futuro colpo di Stato.
28 ottobre 1922: la Marcia su Roma
Il 24 ottobre del 1922, a piazza Plebiscito a Napoli, Mussolini annunciò la marcia su Roma. “O ci daranno il governo o ce lo prenderemo calando su Roma” disse il Duce ai suoi. Il piano iniziale prevedeva di occupare i punti strategici di ogni città: stazioni, poste, prefetture, radio e giornali. L’obiettivo? Isolare le singole città, così che non potessero comunicare col ministero dell’Interno e col governo centrale. Fu così che l'allora Presidente del Consiglio, Luigi Facta, proclamò lo stato d'assedio.Per chi non lo sapesse, lo stato d'assedio era (ed è) una misura d'emergenza eccezionale. Lo stato d'assedio avrebbe comportato due cose: la sospensione momentanea della Costituzione e l'assunzione dei poteri civili da parte dell'autorità militare. Il Re Vittorio Emanuele III decise però di non firmare il decreto, temendo di scatenare una guerra civile e non avendo particolare fiducia nell'esercito italiano. In una Roma affollata di fascisti, il 30 ottobre 1922, il re convocò Benito Mussolini e gli conferì l'incarico di formare il nuovo governo.