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flavia intervista progetto ape"Sono dovuta andare incontro a due ricoveri, parecchie diagnosi sbagliate, decine di medici e di visite in centri diversi prima di riuscire a capire quale fosse veramente il problema. Mi sentivo quasi inutile, non ascoltata, come se tutto il mondo non credesse a me e a ciò che dicevo di provare". Sono le parole di Flavia, studentessa 15enne che ormai da quasi due anni convive con edometriosi e adenomiosi e a 14 anni ha ricevuto la diagnosi.

La storia della ragazza è al centro del progetto “Comprend-endo”, un'iniziativa dell'Associazione Progetto Endometriosi (APE) dedicata alle ragazze dalla terza alla quinta superiore delle scuole di tutta Italia per promuovere momenti formativi e permettere alle giovani donne di fare prevenzione. L'obiettivo è quello di portare l'attenzione sulle “malattie femminili invisibili”: un tema ancora oggi sottovalutato e poco conosciuto, non solo dalle dirette interessate ma anche dai sanitari.

Endometriosi: oltre 3 milioni donne affette dalla patologia

Dalla vulvodinia all'endometriosi: si tratta di patologie che nella maggior parte dei casi colpiscono le donne in giovane età – ma non solo - spesso costrette ad affrontare lunghi percorsi, contrassegnati da diagnosi spesso errate. La storia di Flavia è solo la punta di un iceberg, il Ministero della Salute stima infatti almeno 3 milioni (dati sottostimati) di donne interessate da queste patologie, con il picco che si registra nelle donne di età compresa tra i 25 e i 35 anni. In generale, l’endometriosi è una malattia infiammatoria cronica che colpisce in Italia circa il 10% della popolazione femminile in età fertile.

I sintomi più diffusi sono: forti dolori mestruali ed in concomitanza dell’ovulazione, cistiti ricorrenti, irregolarità intestinale, pesantezza al basso ventre, dolori ai rapporti sessuali, infertilità nel 35% dei casi. Si tratta di malattie invalidanti a tutti gli effetti la cui diagnosi però può arrivare anche a distanza di anni, il più delle volte con gravi ripercussioni psicologiche per la donna. Ecco perché la storia di Flavia – così come tante altre - può accendere i riflettori sulla tematica, favorendo una sensibilizzazione collettiva circa queste patologie: di seguito l'intervista alla giovane studentessa condotta da “APE”.

Quando hai avuto i primi sintomi e cercavi la diagnosi, quali emozioni hai provato?
”Quando ho avuto i primi sintomi, mi ricordo che l’unica cosa che riuscivo a pensare era “perché?”. Non avevo idea da cosa fossero dati, non sapevo se fosse colpa mia, se magari ci fosse qualcosa di sbagliato nel mio stile di vita… Cercare la diagnosi è stato frustrante come nient’altro in vita mia. Io e mia madre, che mi ha sempre supportata e accompagnata ad ogni visita, abbiamo passato in ospedale una quantità di ore incredibile. Sono dovuta andare incontro a due ricoveri, parecchie diagnosi sbagliate, decine di medici e di visite in centri diversi prima di riuscire a capire quale fosse veramente il problema. Mi sentivo quasi inutile, non ascoltata, come se tutto il mondo non credesse a me e a ciò che dicevo di provare”.

Quando il tuo dolore ha finalmente avuto un nome, invece, come ti sei sentita?
”Sicuramente mi sono sentita in parte sollevata dal fatto di sapere, finalmente, cos’era che mi provocava tutto quel dolore e quel disagio. Mi sono sentita anche sollevata perché finalmente qualcuno mi aveva dato la prova che non mi stavo inventando o immaginando niente, era tutto vero. Era lì. È stata proprio questa una parte difficile da accettare: il fatto di avere un problema. Spesso ero (e sono ancora) invidiosa, invidiosa degli altri, invidiosa di tutti coloro che riescono a vivere una vita normale. Ho avuto la diagnosi quando avevo quattordici anni, e credo che tutti possano immaginare come può essere scoprire di avere una malattia cronica a quest’età.

Ma, anche dopo la diagnosi, ho continuato a sentirmi non capita. Dai medici, si, ma anche dai miei stessi amici e coetanei. Ho iniziato a chiudermi in me stessa, a vergognarmi della mia malattia, a cercare di far finta che non avevo nulla di diverso da loro. Questo, ovviamente, non era vero. Ero, e sono ancora, molto diversa da loro. Sono diversa perché non riesco a stare seduta più di un’ora su una sedia senza avere un dolore lancinante al retto. Sono diversa perché se esco di casa anche solo un giorno, poi non riesco ad alzarmi dal letto per i successivi tre giorni. Sono diversa perché non posso neanche pensare di andare a mangiare fuori senza che il mio utero decida di farmi tornare a casa prima di aver finito la cena. Credo che ciò che la maggior parte delle persone (non affette da endometriosi o da altre malattie croniche) non capisce, è quanto sia difficile accettare la malattia, accettare di non poter essere in grado di fare ciò che gli altri fanno con facilità, accettare di doversi portare un peso del genere per tutta la vita”.

Quando hai partecipato all’incontro dell’A.P.E. organizzato dalla scuola, cosa hai pensato? Cosa pensi che un’adolescente si aspetti da un’associazione di volontariato per endometriosi?
”Quando ho partecipato all’incontro dell’A.P.E., mi ricordo di essere stata felice. Ero felice del fatto che, grazie a quell’incontro, tante altre ragazze avrebbero avuto la possibilità di scoprire la loro endometriosi senza dover passare attraverso il lungo percorso di diagnosi al quale la maggior parte delle donne affette da endometriosi devono andare incontro. Credo che ciò che un’adolescente si aspetta da un’associazione di volontariato per endometriosi sia sostegno. Accettare di avere una malattia cronica, specialmente a quest’età, non è semplice. Non è stato semplice per me, e io dopotutto avevo comunque la mia famiglia che mi ha sempre supportata ed aiutata. Purtroppo, non tutte hanno questa fortuna, molte si ritrovano da sole (emotivamente e non), con una diagnosi tanto sudata in mano, senza avere la minima idea di cosa fare o a chi rivolgersi per aiuto. Certo, i ginecologi possono (e non sempre) dare un aiuto a livello strettamente medico, ma quando si parla di aiuto psicologico, credo un’associazione costituita da donne che hanno passato esattamente la stessa esperienza sia fondamentale”.

Cosa vorresti che ginecologi e infermieri non dimenticassero? Cosa ti aspetti da loro?
”Credo che tutte noi ragazze e donne affette da endometriosi possiamo concordare sul fatto che il problema è principalmente uno: non c’è l’ascolto. Vorrei che i medici si ricordassero che l’endometriosi è una malattia estremamente soggettiva, e che se non si ascoltano e non si dà credito alle parole delle pazienti, la diagnosi sarà difficilissima da trovare, così come sarà difficile formulare qualunque altra terapia in grado di aiutare le pazienti ad affrontare tutti i sintomi che l’endometriosi comporta. Ogni donna è un essere umano con le sue emozioni, la sua storia e, ovviamente, la sua endometriosi. Non tutte le donne sono uguali, non tutti i corpi sono uguali, non tutte le endometriosi sono uguali. Anzi, sono tutte diverse. Ciò che desidero veramente, dal profondo del mio cuore, è che i medici smettano di trattarci come bambole che vanno ricucite, senza ascoltare e senza neanche cercare di capire come una quattordicenne potrebbe sentirsi appena essere uscita dalla sala operatoria, con davanti persone sconosciute, durante il periodo della pandemia, a 250km da casa.

Capisco che non tutti riescono a capire cosa stanno passando gli altri, anzi, per la maggioranza può essere particolarmente difficile, ma ciò che chiedo è di almeno provare ad ascoltare. Un medico, quando si ritrova davanti una ragazza di quattordici anni che non riesce a vivere la sua vita come un’adolescente normale a causa del dolore, invece di sbatterla fuori dalla porta allo scadere dei quindici minuti concessi, dovrebbe fermarsi un attimo e ragionare sul fatto che in quei quindici minuti sta decidendo il futuro della sua vita. Non è poco. Perciò per favore ascoltate sempre, dedicate tempo alle persone, perché un minuto di ascolto in più può veramente fare la differenza. Vorrei ringraziare l’A.P.E. per l’attività che svolge, perché con il suo lavoro riesce ad aiutare tantissimo le pazienti, spesso anche di più rispetto ai medici. Ciò che fa la differenza è proprio il fatto che le donne dell’A.P.E. hanno anni di esperienza riguardo l’endometriosi (e non parlo di esperienza medica, ma di esperienza vissuta sulla propria pelle) e proprio per questo riescono a dare consigli pratici e tanto tanto tanto supporto psicologico che aiuta le ragazze ad affrontare la malattia. Grazie Apine!”.

Data pubblicazione 8 Novembre 2022, Ore 16:05 Data aggiornamento 8 Novembre 2022, Ore 16:10
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