
La sintesi dei primi giorni di lavori, pubblicata lunedì 4 dicembre, non utilizza l'espressione “uscita” dai combustibili fossili, in particolare in materia di petrolio e gas. Eppure durante il vertice di apertura dei negoziati, che ha riunito a Dubai l’1 e il 2 dicembre circa 140 leader mondiali tra cui Giorgia Meloni, sono state decine gli interventi che hanno evidenziato la necessità di “allontanarsi” da queste energie, ricordando che il cambiamento climatico è causato principalmente dal loro utilizzo. Ma nel suo testo, la presidenza emiratina si limita a riferire che i 22 capi di Stato e ministri riuniti sabato nel corso di una tavola rotonda, "hanno sottolineato la possibilità di ridurre le emissioni in tutti i settori".
Il sultano sotto il mirino delle critiche
Un pessimo segnale in vista dell'accordo definitivo, che conferma i timori di chi si oppone all'organizzazione della COP28 a Dubai. Gli Emirati Arabi Uniti sono infatti uno dei primi dieci paesi produttori di petrolio al mondo. A suscitare polemiche è lo stesso presidente della COP28. Il sultano Al Jaber è il capo dell’ADNOC, il colosso petrolifero degli Emirati Arabi Uniti. Viene regolarmente accusato di voler ridurre a parole le emissioni di gas serra senza fare nulla per una rapida uscita dai combustibili fossili e facendo affidamento su tecnologie che non sono ancora state provate su larga scala.Di fronte alla protesta suscitata dal rapporto, Sultan Al Jaber è stato costretto a chiarire la sua posizione sui combustibili fossili: “Ho detto più e più volte che la riduzione e l’uscita dai combustibili fossili sono inevitabili”. Con questa dichiarazione tuttavia di fatto non si esprime tra le due opzioni (riduzione e uscita), che continuano ad essere oggetto di lunghi e puntigliosi dibattiti nei corridoi e nelle sale riunioni della COP28. Queste due strade – riduzione o uscita – saranno al centro della prima bozza del testo che la conferenza dovrà produrre entro la sua conclusione, in teoria il 12 dicembre, sotto forma di “valutazione globale” dell’Accordo di Parigi del 2015.
Uscita o riduzione?
Per ora ognuno mantiene le proprie posizioni. Le nazioni insulari e diversi paesi dell’America Latina (Colombia, Perù, Cile, ecc.) difendono fortemente l’obiettivo di riduzione di 1,5° anziché di 2° come chiede l’Europa. Altri paesi sviluppati, produttori di idrocarburi (Stati Uniti, Canada, Australia, Norvegia), sono favorevoli all’uscita dalle fossili, ma con meno entusiasmi rispetto al passato. Anche la maggior parte dei paesi africani è favorevole all’uscita dai combustibili fossili, ma a condizione di poterne beneficiare per un periodo molto più lungo rispetto ai paesi già sviluppati. Cina e Russia si sono opposte a qualsiasi menzione dei combustibili fossili nel testo. Proprio come l'Arabia Saudita, il principale esportatore mondiale di petrolio.