
Oggi ho intervistato Franco Montanari, studioso dell'antichità, professore ordinario all'Università di Genova nella facoltà di Studi Umanistici che ha pubblicato numerosi corsi di greco antico anche se, la sua opera omnia, resterà sempre il dizionario (cui è legato il cognome).
L'intervista era in cantiere da un po' di tempo e, appena ho ricevuto le risposte, le ho quasi "assaporate". Colpa della mia curiosità.
1. Quanto tempo ha impiegato a redigere un dizionario di lingua greca antica?
Sei anni, dal settembre 1989, quando iniziò il lavoro, al settembre 1995, quando uscì la prima edizione. E' un tempo normalmente ritenuto breve per fare un dizionario del tutto nuovo. Bisogna però aggiungere che ho lavorato con una équipe non piccola. Non siamo più nell'epoca in cui simili grossi lavori erano fatti da uno o due studiosi, le esigenze attuali (di ogni genere) richiedono un lavoro di équipe: un'équipe che bisogna mettere insieme e guidare in tutte le fasi del lavoro.
2. Il GI è uno dei dizionari più amati dai classicisti. Perché pensa che abbia riscosso un tale successo?
Devo dire che, almeno in parte, io stesso sono stato sorpreso dal successo del GI. Evidentemente, il bisogno di un nuovo dizionario del Greco antico era molto avvertito, come sento spesso ripetere dagli studiosi anche fuori d'Italia. Forse l'aspetto più notevole è quello internazionale, dato che del GI è uscita un'edizione in Greco moderno nel 2013 e una in Inglese nel 2015, mentre una in tedesco sarà pubblicata nel 2017. E' la prima volta nella storia che un dizionario nato e realizzato in Italia viene ripreso così ampiamente nel resto del mondo, e forse la cosa più significativa (credo) è che ne sia stata fatta un'edizione in Inglese (realizzata presso il Center of Hellenic Studies di Washington, un centro della Harvard University): di norma, siamo piuttosto noi Italiani che importiamo e traduciamo dall'estero. In concreto, penso che il GI abbia alcune frecce al suo arco, che cerco di riassumere in breve, anche se non è facile senza diffondersi in spiegazioni più articolate. In un vocabolario bilingue si possono individuare tre fattori: 1) la lingua da tradurre e comprendere, nel nostro caso il Greco antico; 2) la lingua che traduce e spiega, nel nostro caso l'italiano o un'altra lingua moderna; 3) il layout grafico. Fattore 1 - La ricerca sul Greco antico fa progressi, di cui bisogna tenere conto: per il GI ho puntato sulle competenze specifiche dei vari collaboratori. E' impossibile qui dare un'idea generale, ma un dato voglio menzionarlo: pochi sanno che si scoprono continuamente nuove parole del Greco antico, grazie sia alla prima edizione di testi prima sconosciuti che a rinnovate edizioni di testi già conosciuti. E poi ci sono gli studi sulla lingua, la storia, la civiltà materiale eccetera eccetera. Insomma, anche per una lingua non più usata (ma tutt'altro che morta…) le novità da studiare e prendere in considerazione non sono pochi, specialmente se sono passati diversi decenni. Affidare vari settori del vocabolario a esperti di quel settore è stato abbastanza complicato da gestire, ma ha dato buoni frutti. Fattore 2 - La lingua con la quale un vocabolario "parla" ai suoi utilizzatori è di primaria importanza. Quando un vocabolario invecchia, invecchia anche la lingua moderna con la quale esso traduce e spiega: l'italiano di oggi non è certo più quello degli anni Cinquanta, e lo stesso vale per le altre lingue moderne. Rinnovare questo aspetto è decisivo, soprattutto per i giovani. Fattore 3 - Il layout grafico deve essere adatto ai gusti e alle tendenze dei tempi: oggi i libri si presentano in un modo molto diverso rispetto a qualche decennio fa. Anche questo è un aspetto in evoluzione ben più rapida rispetto al passato: per gli strumenti didattici e le opere di consultazione ci vuole un'attenzione particolare anche a questo aspetto (come si presenta la pagina, aiuti grafici all'uso, espedienti che rendono l'opera user-friendly e così via). Ecco, credo che sia stato importante, per non dire decisivo, tenere conto in modo equilibrato e armonico, ma anche efficace e profondo, dell'insieme di questi tre elementi.
3. Qual è la parte più gratificante del lavoro di stesura del vocabolario?
Leggere e interpretare i testi, come sempre nel nostro lavoro di studiosi. E poi vedere l'opera crescere, prendere forma, riempirsi di contenuti sempre più cospicui; e alla fine vederla partire per la pubblicazione, quando siamo costretti a dire che è chiusa, che non tocchiamo più niente, che l'opera è finita, anche se non vorremmo accettarlo perché sappiamo bene che potremmo migliorarla all'infinito e che troveremo presto qualcosa che avremmo voluto cambiare. Questo momento finale dà le vertigini.
4. Ha sempre pensato di diventare ciò che oggi? Oppure l' idea è nata nel tempo?
Se intendi diventare un filologo classico, è quello che avevo in mente una volta fatta la scelta, dopo il Liceo Classico, di iscrivermi a Lettere, indirizzo classico. Mi sono iscritto a Pisa, come allievo interno della Scuola Normale Superiore, e da allora ho puntato a questa carriera professionale. Se invece intende il fatto di diventare autore di un vocabolario di greco, cioè un lessicografo specializzato nel Greco antico, le cose stanno diversamente. Non ci pensavo affatto, è stato l'Editore - la Loescher di Torino - a contattarmi, dicendo in buona sostanza: secondo noi c'è bisogno di un nuovo vocabolario del Greco antico; a noi piacerebbe pubblicarlo e secondo noi lei è la persona giusta per affrontare l'impresa; se accetta, le metteremo a disposizione le risorse necessarie per mettere in piedi una équipe di lavoro. Ci ho pensato qualche giorno e poi ho accettato. E' stata certo una svolta nella mia vita, ma voglio sottolineare che io non mi sento essenzialmente e specificamente un lessicografo, un autore di vocabolari: mi sento invece in primo luogo un filologo classico, uno studioso di letteratura greca, che studia e interpreta la civiltà letteraria della Grecia antica, e che in quanto tale (oltre a varie altre cose, come una Storia della Letteratura Greca e svariati saggi scientifici) ha fatto anche un vocabolario della lingua che studia e che insegna.
5. Il liceo classico sta migliorando (fonte: MIUR) circa il numero degli iscritti. Cosa risponde a coloro che giudicano la cultura scientifica onnipotente e considerano "inutile" quella umanistica?
Potrei limitarmi a fare le mie più sentite condoglianze a loro e a quelli che gli vanno dietro: rinunciare a Omero e Virgilio, ai grandi lirici greci e latini, a Eschilo Sofocle Euripide, a Platone, Aristotele, Seneca e via esemplificando mi sembra un suicidio collettivo. Ma non succederà, gli anticorpi ci sono anche contro queste derive: se malauguratamente arriva il Medio Evo, poi c'è il Rinascimento. Più concretamente, sfiderei i paladini della contrapposizione fra utile e inutile, ovviamente schierati dalla parte dell'utile, a darmi una definizione di "utile", possibilmente univoca e accettata da tutti. Cosa significa "utile", in che senso una cosa è utile e un'altra inutile? E' utile mettere su un'autostrada con il limite di velocità a 130 Km/h un'auto che può andare a 300 Km/h? E invece è inutile Sofocle, che per esempio nell'Antigone ci fa riflettere sul rapporto fra diritto naturale e diritto positivo, un problema che l'umanità non risolverà mai, e che oggi interessa per esempio la legislazione sul fine-vita o sulle unioni civili? E se poi questi ragionamenti non bastano, allora direi: lasciate perdere, del resto per chi non è abituato, pensare è sconsigliato.
6. Molti ragazzi, come me, si sono iscritti con la bramosia di voler apprendere latino e greco. Pensa che i giovani stiano riscoprendo il valore delle lingue antiche?
Spero proprio di sì: sapere, capire, pensare esercitano una bella attrattiva, laddove c'è un cervello sveglio.
7. Quale suggerimento, da docente universitario e studioso di collaudata esperienza, vuole dare ai neo-classicisti?
Seguire il vostro cuore e il vostro intelletto, e tenetevi le ali che molti cercano di tarparvi, anzi di tarparci.
8. Greco e cultura scientifica: sono due mondi opposti come credono alcuni?
Assolutamente no! Gli studi umanistici e quelli scientifici non sono e non devono essere visti in contrapposizione, bensì in cooperazione: sono prodotti dell'intelletto umano e mirano alla formazione dell'uomo.
9. Come si sente a sapere di essere eterno nella cultura italiana, visto che il GI è destinato a "vivere" per sempre? Si sente gratificato?
Certamente sì, ma ridimensionerei un poco questo aspetto, e non parlerei di eternità. Come i precedenti, anche il GI prima o poi tramonterà e sarà sostituito da un altro vocabolario. Certo, resterà nella storia, come appunto quelli dei secoli passati: e questo in effetti fa bene al mio orgoglio.
E non restano più scuse: se professate che la scienza sia diametralmente opposta alla formazione classica, non potrete persuadere coloro che (mi auguro) sopportino le vostre risposte tipo: "quelle materie sono lingue morte, meglio la fisica" ; "cosa studi quelle inutilità" ecc.
Anche le più grandi mente scientifiche (Bill Gates, Mark Zuckerberg, Enrico Fermi) sono stati orgogliosi della loro formazione. Usa questi esempi quando qualcuno cerca di sentirsi superiore, sicuro che la sua conoscenza sia utile.
A esser matematici utile si traduce in ciò che è spendibile nel mondo del lavoro, subito: ma pochi sanno che eccellere in ciò che si ama dà la sicurezza in ambito professionale.
Articolo scritto da Alessio Cozzolino con le risposte di Franco Montanari.