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Sintesi
Italiano: Pirandello (concetto di forma, maschera, maschera nuda, accenni alla novella "Il treno ha fischiato"); Pascoli (teoria del fanciullino)

Filosofia: Soren Kierkegaard (categoria della disperazione); Arthur Schopenhauer (mondo come rappresentazione e Volontà); Karl Marx (accenni a “Il Capitale” e teoria del feticismo delle merci); Friedrich Nietzsche (critica allo storicismo); Jean-Jacques Rousseau (concezione dell’infanzia e analogia tra il “buon selvaggio” e il Piccolo Principe)

Letteratura inglese: William Wordsworth (conception of the Child and “My heart leaps up”)

Greco: mito platonico del Fedone
Estratto del documento

Istituto d’Istruzione Superiore “G.C.Tacito”

Liceo Classico

“IL VIAGGIO DEL PICCOLO PRINCIPE:

PARODIA DEL MONDO DEGLI ADULTI E

RISCOPERTA DI SE’ NEL FANCIULLINO CHE E’ IN NOI”

Alunna: Falciatori Samantha

3°PN

a.s. 2009-2010

Tesina di Samantha Falciatori, Liceo Classico “G.C.Tacito” di Terni

vanitoso e ubriacone: lampionaio:

Soren Kierkegaard Luigi Pirandello

della (concetto di forma,)

(categoria

disperazione) maschera,maschera

avido uomo d’affari: nuda,accenni alla

Karl Marx novella “Il treno ha

a “Il Capitale” fischiato”)

(accenni

e teoria del feticismo

delle merci) geografo:

Friedrich Nietzsche

monarca assoluto: (critica allo storicismo)

Arthur Schopenhauer

(mondo come

rappresentazione e

Volontà) PARODIA DEL MONDO DEGLI ADULTI

(esplicazione ed analisi delle metafore del libro)

IL VIAGGIO DEL “PICCOLO PRINCIPE”

di Antoine de Saint-Exupèry

RISCOPERTA DI SE’ NEL FANCIULLINO CHE E’ IN NOI

Jean-Jacques Rousseau:

concezione dell’infanzia e analogia

tra il “buon selvaggio” e il Piccolo

Principe Giovanni Pascoli:

teoria del Fanciullino William Wordsworth:

conception of the Child

(“My heart leaps up”)

mito platonico del Fedone

Tesina di Samantha Falciatori, Liceo Classico “G.C.Tacito” di Terni

“Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupèry, pubblicato nel 1943, sembra essere un racconto per

bambini ad una superficiale lettura; in realtà è un racconto autobiografico, è la grande metafora

esistenziale di una condizione di estraneità nei confronti di una società borghese nei cui valori dell’utile

e del pragmatismo non c’è identificazione. Ad una tale società l’autore-narratore-protagonista oppone il

regno dell’innocenza infantile e della capacità di confidare nei sentimenti. L’obiettivo di questa tesina è,

dunque, quello di dimostrare, attraverso l’opera di Saint-Exupèry ed esplicando man mano le metafore

del libro, lo scarto tra la potenza infantile e l’impotenza adulta, tra la purezza di uno sguardo semplice,

incontaminato,e per questo più profondo,sulla realtà e il determinismo sociale, che imponendo modelli

di vita borghese e una forte rigidità di pensiero decreta la morte del bambino che ogni individuo è stato.

Per svolgere questa tesina ho fatto principalmente riferimento al testo “Il Piccolo Principe”, edito da

Bompiani, e ad un saggio psicanalitico su tale opera di Eugen Drewermann, “L’essenziale è invisibile-

una interpretazione psicanalitica del Piccolo Principe”, edito da Queriniana.

“Tutti i grandi sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)”

Dalla dedica de “Il Piccolo Principe”all’amico Leon Werth

Sin dalla sua pubblicazione, “Il Piccolo Principe” è stato tradotto in oltre 180 lingue, comprese il

congolese, il sardo, il toba (lingua indigena dell’Argentina settentrionale) e il latino. E’ un testo

universale, persino più letto e tradotto di “Pinocchio”. Forse perché a parte la totale assenza di morali

consolatorie, nonché di precetti salvifici, il racconto affonda in tali varchi della psiche da legare

saldamente l’immaginazione del lettore all’universo umano. Infatti, Saint-Exupèry, planando sopra lo

sfascio del genere umano (lui, pilota di guerra), ha compreso che la delusione e il conformismo che la

società stratifica attorno all’identità individuale affonda le radici già nell’età infantile, nel sogno negato

del bambino. Infatti, sin dalle prime righe de “Il Piccolo Principe”, l’autore-narratore dà una breve

presentazione di sé: all’età di 6 disegnò un boa che ingoiava un elefante,

ma gli adulti lo scambiarono per un cappello.

Disegnò allora il boa dall’interno,ma agli adulti appariva sempre un

cappello.

“Questa volta mi risposero di lasciare da parte i boa,sia di fuori che di dentro,e di applicarmi invece alla

geografia,alla storia,all’aritmetica e alla grammatica. Fu così che rinunciai a quella che avrebbe potuto

essere la mia gloriosa carriera di pittore.”

In una società capitalista conta ciò che è pratico: i numeri, le cose concrete e funzionali. L’adulto,che

incarna i valori di una tale società, ha delle aspettative sul bambino e tenta di conformarlo sin da piccolo

a quei valori, reprimendo le sue naturali tensioni. Tale tematica è ampiamente trattata dal filosofo

francese Jean-Jacques Rousseau, nella sua opera “Emilio”, che già nel 1762 si impegnava a liberare il

bambino dalla tirannide delle aspettative dell’adulto, in modo che le sue facoltà si potessero sviluppare

liberamente e secondo i tempi dovuti. Per questo proponeva un rinnovato impegno educativo,

attraverso metodi che permettano al bambino di conservare e sviluppare le sue capacità naturali, in

netta opposizione alla pratica pedagogica tradizionale tesa a soffocare e deviare quelle attitudini con

ostacoli che impediscono alle potenzialità individuali di dispiegarsi. Ma non solo. Da “Il Piccolo

Principe” emerge una concezione dell’infanzia del tutto compatibile con quella del filosofo francese,

ossia una concezione in cui il bambino non è contaminato da leggi e stereotipi sociali, ma continua a

guardare il mondo con ingenuità e a seguire il suo istinto senza porsi limitazioni. Si può ipotizzare

un’analogia tra il “nobile selvaggio” di Rousseau e il Piccolo Principe: il selvaggio è una figura

mitizzata,espressione di qualcosa di perduto e non riconquistabile, così come il Piccolo Principe

rappresenta l’infanzia, quel mondo cioè destinato a svanire per sempre nel momento in cui l’individuo

viene rovinosamente risucchiato nelle spire di una società utilitaristica.

Tesina di Samantha Falciatori, Liceo Classico “G.C.Tacito” di Terni

E’ quanto accade all’autore Saint-Exupèry, la cui aspirazione alla pittura venne stroncata sul nascere.

Fin da subito, dunque, appare evidente l’omologia tra l’autore e il narratore, nonché protagonista

deserto

delle vicende, il quale è un pilota precipitato con il suo aereo nel del Sahara.[1]. Qui, nel

tentativo di riparare il motore del suo velivolo, viene avvicinato da un bambino, da un Piccolo Principe

che gli chiede di disegnargli una pecora. Il pilota, non essendogli stato permesso di sviluppare da

bambino la sua vocazione al disegno, disegna l’unica cosa che sa fare: il boa che mangia l’elefante.

“No,No! Non voglio l’elefante dentro il boa,voglio una pecora!”

Là dove gli adulti hanno visto solo un cappello, il Piccolo Principe vede la verità, perché mantiene

l’infantile prospettiva della semplicità che prevale sulla ragione e penetra più a fondo di essa.

Soddisfatta la prima richiesta, il Piccolo Principe chiede all’aviatore di disegnare una museruola per la

pecora, per evitare che divori la cosa più preziosa che ha, la Rosa. E’ a questo punto che questo

bizzarro principe rivela qualcosa di sé: infatti, egli proviene da un minuscolo pianeta, l’asteroide B 612,

invaso da enormi baobab che con le loro invadenti radici rischiaro di distruggere l’asteroide; per questo

quotidianamente il Piccolo Principe estirpa tutte le erbacce. Ma non sono i pericolosi baobab a

spingerlo a lasciare il suo pianeta, bensì il rapporto contrastivo ed esasperante con la sua Rosa, un fiore

egocentrico, superbo e ingrato che con il suo comportamento feriva il Piccolo Principe e lo faceva

sentire in colpa. Così egli reagisce nell’unico modo possibile per non soffrire: lo abbandona,

intraprendendo un viaggio interstellare che lo porta a visitare numerosi pianeti. Tutto ciò, in realtà, non

è altro che una metafora del difficile travaglio che un bambino vive nel diventare grande: l’asteroide B

612 rappresenta il rassicurante mondo dell’infanzia;i baobab,che minacciano questo piccolo e fragile

mondo,con la loro tentacolare espansione, rappresentano gli adulti e i loro implacabili valori; la Rosa

rappresenta la madre di Exupèry, che crescendolo da sola lo ha inconsciamente oppresso con la sua

figura [2]; il viaggio interplanetario rappresenta, infine, il viaggio che il bambino compie quando è

costretto a entrare nel mondo sociale[3].

Si tratta di un viaggio tortuoso, che porta il Piccolo Principe a visitare sei pianeti: in realtà, questo

viaggio metaforico è il pretesto per una precisa e implacabile parodia del mondo degli adulti. Su ogni

pianeta, infatti, egli incontra un adulto, un tipo umano, uno stereotipo che rispecchia un aspetto del

“mondo dei grandi”. monarca assoluto

Il primo pianeta è abitato da un : su questo piccolo pianeta su cui non vive

nessun altro all’infuori di lui, egli regna nella convinzione di essere il re dell’universo intero, nonostante

non ci sia nessuno a sapere della sua esistenza. Questa metafora dell’onnipotenza umana nasconde

invece la paura dell’impotenza, della nullità e della totale insignificanza. In realtà dietro la sua ostentata

autorevolezza e intolleranza alla disubbidienza, si cela proprio l’impotenza di un adulto che non ha

rappresentazione

nessuna della realtà. Con il termine rappresentazione si fa riferimento al pensiero

filosofico di Arthur Schopenhauer, dove per rappresentazione si intende una rappresentazione

mentale del mondo fenomenico di cui si ha esperienza e, quindi, è relazione tra soggetto e oggetto. Il

monarca non ha rappresentazione della realtà perché non la conosce, non si relaziona con essa ed è

vittima inerme di quel principio cosmico, irrazionale ed eterno, che Schopenhauer indica come Volontà.

Una Volontà tirannica, essenza nascosta delle cose, che strumentalizza e schiavizza l’uomo per

affermare se stessa: l’uomo si illude di essere libero, di poter conseguire un suo desiderio, appagato il

quale, però, verrà sostituito da un altro e così via all’infinito. Esso è prigioniero della Volontà, così

come lo è il monarca assoluto, che non riuscirà mai a soddisfare pienamente la sua volontà di dominio

Lo stesso Antoine de Saint-Exupèry fu pilota di professione e il 30 Dicembre del 1935 precipitò davvero nel

[1]-

deserto del Sahara nel tentativo di superare il record di volo da Parigi a Saigon. Vagò nel deserto per 4 giorni

prima di essere salvato da un beduino,che lo strappò da una morte certa. Cfr “Wind,sand and stars”,di Antoine de

Saint-Exupèry .

[2]- Il padre di Exupèry morì quando lui aveva 4 anni.

[3]- Sei anni rappresentano l’età in cui un bambino inizia a frequentare la scuola elementare,a entrare in contatto

diretto con il mondo e a relazionarsi con altri individui.

Tesina di Samantha Falciatori, Liceo Classico “G.C.Tacito” di Terni

sull’universo. vanitoso

Il secondo pianeta è abitato da un che vive nell’attesa di qualcuno che lo ammiri,

nell’eterno egocentrico bisogno di riconoscimento e ammirazione che porta null’altro che rifiuto e

disprezzo. Il vanitoso è metafora delle cose effimere che sono divenute i valori dominanti in una

società in cui gli applausi, nonché l’apparire, contano più della riflessione, nonché dell’essere. Con il suo

superbo atteggiamento, il vanitoso si condanna ad un mondo di spietata solitudine e all’inimicizia

dell’altro, che prima o poi lo porteranno alla consapevolezza di vivere una vita senza senso in cui non

gli è dato realizzarsi. Cadrà in uno stato di disperazione, esito condiviso anche dall’abitante del terzo

pianeta. ubriacone

Il terzo pianeta è, infatti, abitato da un , un uomo che non sopporta più la vista di sé e che

invece di indagare i motivi dell’odio di sé preferisce dimenticarsi e annientarsi nelle nebbie dell’alcol.

“Bevo per dimenticare che ho vergogna di bere”

La delusione per l’impossibilità di raggiungere la propria grandezza porta alla perdita di sé, alla

disperazione. Quindi, sia il vanitoso che l’ubriacone trascorrono una vita priva di senso e, seppure il

vanitoso si è illuso di vivere una vita gratificante, la disperazione sarà il suo esito naturale. Il concetto di

disperazione è una delle categorie fondamentali del pensiero esistenzialista di Soren Kierkegaard,

secondo cui essa rappresenta la condizione inevitabile che il Singolo sperimenta nel momento in cui

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