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Storia: Propaganda fascista;
Diritto: Passaggio allo stato totalitario;
Finanza: Economia di guerra;
Inglese: The Dictatorship.
per colpire che per indurre a riflettere; una retorica che inaugura quella fascista, e
soprattutto mussoliniana.
Un altro punto in comune tra d’Annunzio e il PNF fu l’esaltazione dell’aggressività
imperialistica della nuova borghesia industriale, capace di far avanzare il progresso e
di imporre l’ordine sociale, minacciato dal “tumulto” delle masse popolari; un
avversione per le masse, con dichiarato disprezzo per la democrazia e per le classi
lavoratrici.
Il rapporto con il fascismo fu comunque complesso e articolato, benché
sostanzialmente organico: i fascisti in ascesa celebrarono D'Annunzio, appropriandosi
di motti e simboli del Vate, come uno dei massimi e più fecondi letterati d'Italia, ma lo
scrittore, a parte l'adesione iniziale ai Fasci di combattimento, non volle mai prendere
la tessera del Partito Nazionale Fascista, probabilmente per mantenere la sua
completa autonomia. Mussolini già all'inizio appoggiò D'Annunzio, per utilizzarne la
fama in favore del movimento in ascesa. Nel 1919, il futuro duce avviò rapidamente
una sottoscrizione pubblica per finanziare l'Impresa di Fiume che raccolse quasi tre
opo la morte di Giacomo Matteotti, rapito e assassinato da un
milioni di lire. Interessante d
gruppo di camicie nere, mentre il Fascismo si sentiva in difficoltà l'8 luglio 1924 una lettera che
'Annunzio scrisse a Mussolini:
d « Avere fede intiera nella mia lealtà e nella mia carità di patria. Il mio silenzio e il mio lavoro sono
»
oggi esempio a tutti gl'italiani. Non l'uno sarà interrotto e non l'altro
D'Annunzio, assieme a Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Pirandello, Giuseppe Ungaretti
e molti altri fu anche uno dei firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti,
pubblicato il 21 aprile 1925, un documento in cui gli aderenti esprimevano
pubblicamente il loro consenso al partito di Mussolini. Nel 1937 fu eletto Presidente
dell'Accademia d'Italia, ma non andò mai a presiedere alcuna riunione (la nomina fu
quasi imposta da Mussolini, con la contrarietà di D'Annunzio). D'Annunzio fu anche
Presidente onorario della SIAE dal 1920 al 1938. Per molti il Duce, temendo la
popolarità e la personalità indipendente del poeta, tentò di metterlo risolutamente da
parte, ricoprendolo di onori. Nel 1937-38 si oppose all'avvicinamento dell'Italia
fascista al regime nazista, bollando Hitler, già nel 1934, come "pagliaccio feroce".
Deceduto il primo marzo del 1938, ai funerali di Stato, voluti in suo onore dal regime
bandiera del
fascista, la partecipazione popolare fu imponente. Il feretro, avvolto dalla
Timavo, era seguito da una folla innumerevole, composta dagli ex legionari, dagli
ammiratori,e dai devoti alla sua gloria e alla sua fama.
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IL CONCETTO DI SUPERUOMO
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce a Röcken, presso
Lipsia nel 1844 da una famiglia umile.
Il padre, un pastore protestante, gli viene a mancare
quando Nietzsche è ancora un bambino, nel 1849.
Successivamente, l’anno seguente, la famiglia si trasferì
a Naumburg, dove il filosofo allora dodicenne riceve una
buona educazione: incominciando a comporre le prime
poesie e musiche.
A soli 24 anni, ottiene la cattedra di Lingua e letteratura
greca presso l’Università svizzera di Basilea, alla quale è
costretto a rinunciare a causa dei sempre più frequenti
problemi di salute (emicranie, nausea, problemi alla
vista), che lo inducono a una vita di solitudine e
vagabondaggio da una città all’altra, alla ricerca di uno
stato di salute, di un benessere che mai riuscirà a raggiungere.
Il nome di Nietzsche è stato associato, per lungo tempo, alla cultura nazifascista che
trovò nelle sue opere e nella sua ideologia, seppur per colpa di una mal
interpretazione, le basi per la propria “dottrina”.
Questa lettura, è stata agevolata dalle operazioni della sorella di Nietzsche, Elisabeth,
la quale ha contribuito a diffondere l’immagine del fratello come teorico e sostenitore
di una rinascita reazionaria dell’umanità, anche attraverso la manipolazione di testi
inediti del fratello, come la “Volontà di potenza” pubblicato nel 1906, nel quale il
presunto pensiero di Nietzsche assume quella fisionomia anti-umanitaria ed anti-
democratica sulla quale farà leva la lettura nazista.
Un altro episodio che mette alla gogna Elisabeth Nietzsche- Förster come una tra i
responsabili nel processo di nazificazione del pensiero del filosofo, risale al 1933,
nell’occasione in cui proprio Adolf Hitler, fece visita all’Archivio Nietzsche” accolto da
una folla plaudente e dalla sorella del filosofo che donò al futuro Führer un bastone di
proprietà del fratello, leggendogli inoltre un messaggio in cui la propria famiglia
esprimeva il loro disappunto riguardo al dilagare dello spirito ebraico in Germania .
Risulta tuttavia eccessiva la pretesa di attribuire a Elisabeth la nazificazione di
Nietzsche, come risulta esagerato definire il filosofo tedesco il “padre” dell’ideologia
nazionalsocialista, anche se comunque bisogna ammettere, che nei testi di Nietzsche
si trovino spunti antidemocratici e antiegualitari.
Un altro elemento tipico di Nietzsche che ha fornito le basi al pensiero nazista , è
quello dell’Übermensch, un concetto filosofico strumentalizzato dal partito
Nazionalsocialista, che mal interpretato,fu adoperato per esaltare ulteriormente i
dogmi del partito di estrema destra .
Secondo il proprio ideatore, il concetto di superuomo si fondava su varie “condizioni
necessarie”: Pagina
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Dio e l’oltre mondo hanno storicamente rappresentato una fuga dalla vita e una
rivoluzione contro questo mondo “In Dio è dichiarata inimicizia alla vita, alla
natura, alla volontà di vivere!..” ;
l’immagine di un cosmo ordinato e benefico è soltanto una costruzione della
nostra mente, realizzata al fine di sopportare la durezza dell’esistenza;
le metafisiche e le religioni sono decorazioni della realtà e bugie di
sopravvivenza.
Di conseguenza a queste affermazioni, appare chiaro che la “morte” di Dio costituisce
sì un trauma, ma solo in relazione a un uomo non ancora superuomo che proprio in
virtù di questo trauma può diventare tale.
La morte di Dio coincide dunque con l’atto di nascita del superuomo. Solo chi ha il
coraggio di guardare in faccia la realtà e di prendere atto del crollo degli assoluti è
ormai maturo per varcare l’abisso che divide l’uomo dal superuomo, che ha a titolo di
conquista il mare aperto delle possibilità connesse a una libera progettazione della
propria esistenza al di là di ogni struttura metafisica.
In conclusione si può definire il superuomo di Nietzsche come colui che è in grado di
accettare la dimensione tragica dell’esistenza, che accetta la sfida della vita e la
morte di Dio, che sa sopportare la perdita delle certezze assolute e della morale, e che
è in grado di procedere oltre il nichilismo, affermandosi nella società, creando nuovi
valori e rapportandosi in modo inedito alla realtà.
Adolf Hitler prese solo alcuni aspetti del filosofo, considerando unicamente quelle
tematiche affini o interpretate come tali, con le idee del proprio movimento.
Il partito di Hitler individuava nella purezza della razza il fine di tutto, una purezza che
si doveva ottenere soprattutto in due aspetti:
quello genetico (quindi caratteristiche somatiche, fisiche, ecc.)
quello culturale
Il primo punto si collega palesemente con il confronto Ariano-Superuomo, dove la
celebrazione della potenza dell’uomo, quello ariano appunto rispetto alle altre razze, è
vista come valore primario. Niente a che vedere in realtà con l’idea originale di
Nietzsche, come il progetto di Hitler di purificare la razza al fine di creare l’uomo e di
conseguenza il popolo perfetto. Hitler che considerava proprio se stesso un
superuomo voleva così mettere in pratica un’abilità posseduta, secondo il filosofo
tedesco, solo dall’übermensch, e cioè la capacità di creare nuovi valori, in questo caso
l’esaltazione della razza ariana.
Analizzando successivamente l'aspetto culturale: Hitler considerava gli ariani (la razza
Germanica) come "creatori di cultura". Vi erano poi i "portatori di cultura", costituiti
dalle razze ritenute inferiori agli Ariani che hanno appreso il sapere dagli Ariani e si
limitano semplicemente ad usarlo. Infine vi sono i distruttori di cultura, individuati
nella "razza ebraica". Forse Hitler voleva ricollegarsi al fatto che Nietzsche
considerasse gli Ebrei "il popolo di risentiti per eccellenza", ma quello del grande
filosofo non era un discorso razziale - culturale, bensì era un discorso posto in un
ambito ben diverso, ove il nichilismo creato dai falsi valori, dai "falsi idoli" posti
dapprima dal platonismo e poi dalle religioni (soprattutto quella ebraica e quella
cristiana), dovevano essere distrutti per sgombrare la mente dell'uomo e dargli così la
possibilità di esprimere liberamente i suoi impulsi vitali.
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LA SALITA AL POTERE DEL PARTITO
NAZIONALE FASCISTA
Il movimento dei Fasci di combattimento venne fondato nel 1919, a Milano, da Benito
Mussolini, socialista direttore del quotidiano del partito “l’Avanti!”. Mussolini era stato
espulso dal gruppo stesso nel 1914, per la sua posizione apertamente interventista.
Nel centinaio di persone che parteciparono alla fondazione dei Fasci, troviamo ex
socialisti, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, ex arditi, e futuristi. Un insieme
eterogeneo, accomunato dall’esperienza dell’interventismo, dal rifiuto per la politica e
i partiti tradizionali, da questo il motivo per il quale la prima denominazione dei Fasci
fu “antipartito”, che si distingueva per un programma repubblicano e anticlericale,
apparentemente ultrademocratico (rivendicava il diritto di voto per le donne,
l’abolizione del senato di nomina regia, la giornata lavorativa di otto ore, una
tassazione straordinaria dei capitali). Alle elezioni del 1919 i fascisti ottennero sui
4000 voti e nessun seggio.
Il neonato movimento fascista ebbe dunque agli albori una posizione assolutamente
marginale nella vita politica del paese. Due elementi, tuttavia, ne consentirono il
decollo:
l’abbandono dal 1920 del “sinistrismo” iniziale, “con una conversione a destra,
come organizzazione politica della borghesia produttiva e dei ceti medi che non
si riconoscevano nei partiti tradizionali”;
l’inizio delle spedizioni delle squadre d’azione fasciste nel 1920, contro
esponenti e sedi del movimento socialista. Questi episodi di violenza avvennero
nelle campagne, dove i proprietari terrieri chiesero l’aiuto delle “camicie nere”
per stroncare i movimenti contadini di rivolta. Le squadracce erano composte
soprattutto da giovani: ex combattenti, studenti e disoccupati, che si
spostavano su dei camion durante la notte con lo scopo di disarticolare e
scoraggiare il sistema sindacale e politico-amministrativo del socialismo agrario,
attraverso appunto la violenza e l’umiliazione, che consisteva anche nel
“purgare” con l’olio di ricino le vittime. Queste barbarie crebbero d’intensità nel
corso del 1921-22 arrivando sino all’occupazione di intere città (come Bologna)
nella totale indifferenza, e in alcuni casi con la collaborazione, delle forze
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dell’ordine, e della magistratura, cioè quei soggetti che avrebbero avuto il
compito di fermarli.
Dalla fine della guerra al primo governo Mussolini, cioè in circa quattro anni (1918-22),
si susseguirono sei diversi governi, dimostrando chiaramente l’instabilità politica di un
Paese, in cui i partiti per le diverse ideologie di base, non riuscivano a creare alleanze,
tali da ottenere la maggioranza in Parlamento.
Fu proprio in questa situazione, che nella classe dirigente liberale, sotto la pressione di
Giolitti che era sempre alla ricerca di una maggioranza parlamentare stabile,
guadagnò terreno l’ipotesi di un’alleanza elettorale che comprendesse i nazionalisti e
anche i fascisti.
Così nelle elezioni del 1921, precedute da una campagna elettorale insanguinata dalle
violenze squadriste, i fascisti si presentarono in una coalizione con liberali e altri