Sintesi
MONDO VERO E MONDO APPARENTE:
PRATICHE, POLITICHE E FILOSOFIE DELLA VERITA'











































SOMMARIO

LA VERITÀ:l'importanza della ricerca e della rappresentazione...................pag.4

I. LO GNOSTICISMO: LA VERITÀ CHE SALVA .....................................pag.7

II. NIETZSCHE E IL NAUFRAGIO DELLA VERITÀ..................................pag.10

III. KANDINSKIJ: L'ARTE AL DI LÀ DEL VERO.......................................pag.16

BIBLIOGRAFIA...........................................................................pag.21


































LA VERITÀ: LA RICERCA E LA RAPPRESENTAZIONE


<<L'uomo cerca la “verità”: un mondo che non si contraddica,
che non illuda, non cambi,un mondo vero,
un mondo in cui non si soffra>>
Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi

Che cos'è la verità? Perchè l'uomo necessita di dare una risposta a quest' eterna domanda che risuona come un tocco di campana assordante lungo tutta la storia dell'umanità? Perchè proviamo il bisogno di cercare la verità, di possederla? Sono queste domande alle quali risulta impossibile fornire una semplice, ma soprattutto unica, risposta data la “materia” trattata.
<<Noi siamo invitati a parlare della verità.[...] Quando si vuole parlare della verità, magari si vuol dire che cos'è la verità e magari ci si mette anche a fare propaganda in favore della verità, cerchiamo quindi tutti di salvaguardare il nostro essere “invitati”>>1: è dalle parole del noto filosofo Emanuele Severino che vorrei partire per costruire il mio personale “invito” a considerare il ruolo che la verità ha avuto nello sviluppo della cultura occidentale.
Ma qual è la funzione della verità nella storia della nostra civiltà?
Sempre secondo Severino : <<nella storia dell'Occidente, la verità ha avuto il compito di essere un “rimedio”[...] che la verità abbia avuto il compito di salvare dal dolore non è affatto riduttivo! Però il senso che la verità può avere non si deve dedurre dal senso che la verità ha avuto nella cultura occidentale>>2.
Si è parlato dunque di una verità come farmaco, come rimedio al dolore insito nell'esistenza umana, ma soprattutto di una “ricerca della verità”. Il concetto di verità nel nostro linguaggio quotidiano indica infatti qualcosa di assoluto, di concluso, di irreversibile, tutte qualità che si trovano in netta contrapposizione al nostro Io, alla nostra esperienza che normalmente viene vissuta e considerata come qualcosa di relativo.La verità diventa dunque, nel senso comune del termine, qualcosa di atemporale, che cade al di fuori della storia e della nostra vita, qualcosa di distante che va appunto cercato: <<Si dice che l'uomo cerca la verità: si pensa che la verità sia altrove, perchè se la cerchiamo non è qui con noi. Allora ci mettiamo in cammino per cercarla.[...] Laggiù c'è la verità, e noi ci diamo da fare per raggiungerla. Proviamo a riflettere su ciò che implica questa immagine del cammino che si deve percorrere per raggiungere la verità. Se io domando: questo cammino, che deve arrivare alla casa della verità, questo cammino è compiuto nella verità?[...] Se noi ci mettiamo nella prospettiva dominante, in cui la verità è qualche cosa che va ricercato, accostato, a cui ci si debba avvicinare, noi non la troveremo mai. L'alternativa è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo. Nell'altro modo il discorso è chiuso, e non arriveremo mai ad una verità lontana>>3.
Non sempre, però, la verità richiede una ricerca: la verità come rivelazione è una delle concezioni più diffuse nella storia della filosofia. L'esempio più evidente è costituito dal Cristianesimo che identifica la verità con la rivelazione del Verbum o Logos che è la prima immediata e perfetta manifestazione dell'Essere, cioè Dio (concetto che è diventato tema delle numerose speculazioni nella filosofia patristica e in quella scolastica).
<<Il Cristianesimo attribuisce alla fede i caratteri che la filosofia greca ha attribuito a quella che Aristotele chiamava la “filosofia prima”, la “proto-philosophia”, cioè verità. Anche Aristotele pensa: l'innegabile, l'indubitabile, il certissimo, l'assolutamente indiscutibile. Tutti questi tratti, tutti questi elementi, il Cristianesimo li attribuisce alla fede.[...] Chi crede è assolutamente certo, crede di affermare qualche cosa di assolutamente innegabile>>4.


E' attraverso le parole di uno dei padri della scolastica, Sant’Agostino d'Ippona, che possiamo meglio comprendere l'importanza teologica che sta all'interno dell'identità tra Dio e Verità:
<<Comprendi dunque, se lo puoi, o anima tanto appesantita da un corpo soggetto alla corruzione e aggravata da pensieri terrestri molteplici e vari; comprendi, se lo puoi, che Dio è Verità. È scritto infatti che Dio è luce (1Gv 1,5), non la luce che vedono i nostri occhi, ma quella che vede il cuore, quando sente dire: è la Verità. Non cercare di sapere cos'è la verità, perché immediatamente si interporranno la caligine delle immagini corporee e le nubi dei fantasmi e turberanno la limpida chiarezza, che al primo istante ha brillato al tuo sguardo, quando ti ho detto: Verità. Resta, se puoi, nella chiarezza iniziale di questo rapido fulgore che ti abbaglia, quando si dice: Verità. Ma non puoi, tu ricadi in queste cose abituali e terrene.>>5.
Parlando di religioni della verità “rivelata”, è d'obbligo citare lo gnosticismo. Ho deciso di prendere in considerazione alcuni passi significativi tratti dai Vangeli Gnostici: questi famosi e affascinanti scritti risalenti al 120 d.C., offrono un interessante visione su quelle forme antiche di Cristianesimo che si sono perdute nel tempo con l'affermarsi dell'ortodossia. Nel pensiero gnostico infatti la verità ha funzione fondamentalmente salvifica, una salvezza che però non salva dal dolore di cui parla Severino, ma dalla schiavitù dell'ignoranza che rende l'uomo prigioniero.
La nozione cristiana della verità cominciò a entrare in crisi con l'avvento del pensiero moderno, ad opera dei tentativi di Cartesio da una parte, e dell'empirismo dall'altra, di escludere dall'orizzonte della verità tutto ciò che non potesse essere dimostrato logicamente, o verificato sperimentalmente.
Al di là della speculazione positivista, il momento di totale rottura con tutte le nozioni di verità precedentemente fornite nella storia della filosofia vede come protagonista il pensatore tedesco Friedrich Nietzsche il quale, pronunciando le famose parole: <<Dio è morto>>, intraprende l'azione di distruzione di tutti i valori su cui si fonda la cultura europea, in primis il Dio cristiano, iniziando così l'opera di trasvalutazione che vedrà la fine della verità e l'avvento del Superuomo nell'orizzonte della storia dell'umanità. Significative si dimostrano nuovamente le parole di Severino: <<Sono duecento anni che il nostro tempo sta allontanandosi da Dio. Oggi, ad esempio, si pensa che il Cristianesimo sia in rimonta. Vent'anni fa si pensava al Cristianesimo come a un grande fenome in declino; oggi invece è in rimonta, ma nonostante questo andamento sinusoidale, la direzione generale, la tendenza fondamentale del nostro tempo, è verso il declino di tutte le grandi forme della civiltà.[...]Non sono io che credo che la verità e Dio siano soffocanti. Io vi ricordo che l'età contemporanea è radicata in questa convinzione.>>6.
Tra le opere di Nietzsche ho scelto di analizzare “La Gaia Scienza” e “L'Anticristo”, quest'ultimo in particolare costituisce infatti un importante confutazione del Cristianesimo,un attacco ai suoi più celebri protagonisti (ad esempio l'apostolo Paolo) e soprattutto alla sua promessa di una vita ultraterrena. Il contrapporre al mondo sensibile, definito “apparente”, un mondo ultraterreno considerato “reale” è infatti per Nietzsche la vecchia menzogna che a partire da Platone (il mondo vero è quello delle Idee) passa attraverso la religione cristiana e giunge fino ai giorni nostri. La trasvalutazione dei valori assume quindi un ulteriore significato: eliminare questa contrapposizione, poiché esiste solo un mondo e questo è quello in cui si svolge la nostra vita. Il “rimanere fedeli alla terra” è il comandamento di Zarathustra, un comandamento che spazza via ogni forma di idealismo platonico e/o cristiano.
Per quanto concerne l'ambito artistico, la discussione sulla rappresentazione della verità all'interno dell'opera è di centrale importanza. Sappiamo che nella storia dell'arte la rappresentazione della natura che circonda l'artista è stata oggetto di infinite speculazioni che hanno portato ad altrettante infinte risposte: si pensi alle teorie che sono state alla base di movimenti artistici come l'impressionismo, il cubismo... La rottura fondamentale con la rappresentazione della verità naturale avviene però con Kandinskij. Sarebbe forzato affermare che il pensiero di Nietzsche abbia fortemente influenzato l'arte astratta del pittore russo poiché sappiamo, grazie anche ai scritti teorici che l'artista ci ha lasciato,in primis “Lo spirituale nell'arte”, che il suo modo di fare arte non è dettato dall'istinto: esiste in Kandinskij un preciso sistema ideologico e perchè no, filosofico che permette di affermare che ogni sua singola opera è frutto di una profonda riflessione. La scelta di rappresentare un mondo “spirituale” sembrerebbe, giustamente, totalmente opposta a quella del filosofo tedesco: ma ciò che Kandinskij ammira e forse prende anche come modello non è il contenuto della filosofia di Nietzsche, ma semmai il valore estrinseco del gesto rivoluzionario. Se Nietzsche infatti ha rappresentato un momento di frattura totale con la tradizione filosofica precedente, Kandinskij lo è altrettanto stato in campo artistico.
E' inevitabile costatare come la verità, nonostante costituisca nell'immaginario collettivo un ente assoluto, diventi più che altro una risposta che ogni singolo individuo si fornisce autonomamente: se per il Cristiano la verità è la fede, per il Nichilista d'impronta nietzschana invece la verità, in quanto va lore, non esiste. Si rivelano ancora una volta suggestive le riflessioni di Severino a tal proposito: <<La verità non è mai stata trovata perchè la possediamo già da sempre. Non è che sia, ripeto, quella casa laggiù in cui si debba entrare.[...]E' forse il linguaggio che la occulta?[...] La verità è come il cielo: se un cacciatore pensa agli uccelli e spara agli uccelli, non vede il cielo. Ma il cielo splende sempre al di sopra della sua testa. Lui crede di non veder altro che i volatili, le migrazioni degli uccelli e magari pensa a un cielo e “Chissà mai quando lo vedrò!Chissà mai se lo troverò!”. No, il cielo è qui da noi. Noi siamo nel cielo.>>7.


































LA veritÀ che salva: lo gnosticismo



La conoscenza gnostica.
Con gnosi (dal greco gnosis, <<conoscenza>>) si intende in generale una forma di conoscenza religiosa che di per sé salva. Essa non dipende da un oggetto particolare, in quanto ha in se stessa il suo valore e il suo fondamento. E', quindi, conoscenza totale, in grado di trascendere la dicotomia soggetto-oggetto, anzi, ogni dicotomia, perchè conoscenza assoluta dell'assoluto. Conoscenza salvifica che, per la sua stessa natura, si oppone alla fede, la gnosi si radica nell'esperienza, genericamente umana, di divisione e di scissione: tra sé e il mondo, tra sé e Dio, tra sé e sé nel senso dell'io empirico. Con il suo carattere di globalità e di assolutezza, la conoscenza gnostica si pretende in grado di superare queste opposizioni, recuperando l'integrità minacciata, restaurando l'unità perduta. Lo gnostico è, dunque, colui che, in virtù di un'illuminazione e di una rivelazione è in grado, ritrovando il proprio sé, di superare definitivamente le lacerazioni presenti, ristabilendo l'identità originaria e, con ciò, facendo coincidere arché e telos, inizio e fine, del proprio essere.

Le fonti dello gnosticismo
Cronologicamente, la prima forma storicamente compiuta e documentata di gnosi è lo gnosticismo, un movimento religioso sorto tra I e II secolo d.C e fiorito tra il II e il III. Nella storia dello studio dello gnosticismo è fondamentale il dicembre del 1945: due contadini scoprono per caso, scavando nel cimitero di Nag Hammadi (Alto Egitto), una giara contenente tredici codici. I papiri rimasero nascosti per lungo tempo dopo il ritrovamento e in seguito ad una complessa vicenda, dopo esser stati dispersi, furono recuperati e messi a disposizione degli studiosi. I testi contenuti nei codici sono, per la maggiorparte, scritti gnostici fino ad allora sconosciuti, ma includono anche tre opere appartenenti al Corpus Hermeticum ed una parziale traduzione della Repubblica di Platone. Si ipotizza che tali codici appartenessero alla biblioteca di un monastero della zona, e che i monaci li abbiano nascosti per salvarli dalla distruzione, quando si cominciò a considerare lo gnosticismo come un'eresia. La scoperta di Nag Hammadi ha avuto conseguenze sconvolgenti, che ancora si manifestano: non solo per quel che significa in sé il ritrovamento di alcuni fra i testi religiosi più alti che conosciamo, ma perchè con essi affiorava una ricchissima testimonianza diretta della Gnosi, che ha costretto a mutare molte delle idee acquisite.
Tra le fonti indirette si citano le confutazioni da parte di alcuni Padri della Chiesa che combatterono lo gnosticismo come eresia cristianana, e Plotino. Il fondatore del neoplatonismo nel suo famoso trattato delle Enneadi (II,9) confutò lo gnosticismo in modo radicale, dimostrando peraltro una profonda comprensione del sistema del pensiero che combatteva e che risulta ancora oggi di fondamentale importanza per una sua migliore comprensione.

Il mito gnostico
La concezione del mondo e del suo creatore nel pensiero gnostico è pessimistica: il demiurgo o artefice divino ( evidente ripresa dell'artefice divino del Timeo platonico, ma insieme rilettura negativa del Dio creatore dell'Antico Testamento), considerato un dio ignorante o malvagio viene opposto al Dio buono assolutamente trascendente, sconosciuto e inconoscibile se non mediante la rivelazione della gnosi. Intorno a questo nucleo dualistico, che oppone il mondo di tenebre creato dal demiurgo al mondo superiore e luminoso della pienezza divina o pleroma, si costruisce il mondo variegato della mitologia gnostica. A differenza delle mitologie caratteristiche delle religioni del mondo antico, essa è contraddistinta dal racconto di una vicenda che all'origine conosce la pienezza di un mondo divino, il quale in seguito a un <<incidente>> interno alla vita stessa del pleroma (incidente variamente interpretato e che nella sua versione più nota si configura come colpa commessa dall'ultimo degli eoni emanati dalla coppia primordiale, in genere identificato con la Sophia dell'epinoia), dà origine al mondo della deficienza e del vuoto, cosmico e umano.
Questa mitologia è contraddistinta da una forte impronta escatologica poichè il mondo demiurgico materiale è destinato alla distruzione, cui potrà sopravvivere soltanto la materia spirituale che si sarà dimostrata in grado di riconoscere la propria vera natura e origine. In conclusione, la mitologia gnostica non fa che narrare allo gnostico le vicende del vero dio, ricordandogli le sue origini, esplicitando le cause dell'oblio che lo ha precipitato in questo mondo di tenebre e di morte, indicandogli nel contempo, proprio attraverso questa <<ricerca del tempo perduto>> che la gnosi rende possibile la via di salvezza.
La gnosi è, per la dialettica interna che la caratterizza, una forma tipica del processo autoredentivo. In questo senso, non sono pochi i testi gnostici in cui il processo salvifico messo in opera dalla gnosi è un processo di autoconoscenza, di conoscenza cioè della propria realtà divina.
Occorre infatti sottolineare che la salvezza della gnosis non è universale: nel testo gnostico intitolato “Vangelo di Verità” viene descritto il processo di emanazione dal divino che può essere riassunto con il seguente schema:


Padre e Logos che si trovano nel Pleroma

eoni

uomini gnostici

Gli uomini infatti venivano classificati in:
• ilici o terreni
• psichici che credevano nel Demiurgo, ma ignoravano l'esistenza di un mondo spirituale superiore a lui
• gnostici o spirituali che erano dotati della scintilla divina e pertanto erano gli unici che potevano fare ritorno al Logos poichè non erano nient'altro che emanazioni di esso.
A questo proposito si legga nel Vangelo di Verità:
<<Gesù Cristo non venne per tutti, ma solo per coloro che erano nell'oscurità a motivo dell'oblio, cioè per gli eoni decaduti; illuminò, indico la via, insegnò la verità ai sapienti; ma suscitò anche odio>>1.
L'odio che il Logos suscita è quello dell'errore che <<si adirò contro di lui, lo perseguitò, lo maltrattò, lo annichilì. Fu inchiodato a un legno, divenne frutto della conoscenza del Padre>>2: in seguito alla morte il Logos si riveste della sua incorruzione e ritorna al Pleroma.
La verità, dunque, diventa l'unica via di salvezza per lo gnostico, un “rimedio” da contrapporre all'ignoranza del mondo del demiurgo:
<<Quanto a noi, ognuno scavi fino alla radice del male che è in lui, lo sradichi dal suo cuore fino alla radice. Ma esso sarà sradicato, se noi lo riconosceremo. Se, invece, lo ignoriamo si radicherà in noi e produrrà i suoi frutti nel nostro cuore. Esso impera su di noi. Siamo suoi schiavi, ci rende prigionieri, sicché facciamo ciò che non vogliamo e non facciamo ciò che vogliamo. Esercita un grande potere perchè non l'abbiamo scoperto. Fintanto che esiste, è operante. L'ignoranza è la madre di ogni male. L'ignoranza si risolverà in morte, perchè quanti provengono dall'ignoranza non erano, non sono, non saranno. Ma quelli che sono nella verità saranno perfetti, quando sarà rivelata tutta la verità. La verità, infatti, è come l'ignoranza: nascosta, rimane in se stessa; manifesta e riconosciuta, è glorificata, essendo tanto più forte dell'ignoranza e dell'errore. Essa dà la libertà. Il Logos ha detto: <<Se voi conoscerete la verità, la verità vi farà liberi>>. L'ignoranza è schiava. La gnosi è libertà. Se conosciamo la verità, troveremo in noi stessi i frutti della verità. Se ci uniamo a essa, porterà il nostro Pleroma.>>3.



La teologia gnostica e i Vangeli
Non esiste a tutt'oggi un accordo né sulle origini dello gnosticismo né sul modo di intendere il rapporto tra momento cristiano e momento non cristiano. E' certo, d'altra parte, che gli gnostici cristiani sono stati, in ordine di tempo, i primi teologi cristiani, i primi pensatori, cioè, ad applicare sistematicamente le categorie filosofiche del pensiero greco, in particolare nella sua versione platonica: <<I vangeli gnostici sono meditazioni sul Logos, sul suo messaggio, sulle reazioni che suscita in ogni credente, specie se intellettuale. Presuppongono nei lettori una conoscenza accurata del kérygma e della didaché, cioè sia dell'annunzio cristiano sia dei suoi primi sviluppi>>4.
Secondo il filologo italiano Luigi Moraldi, tra i più significativi esegeti dei Rotoli del Mar Morto e di Nag Hammadi, non è possibile stabilire se questi “intellettuali cristiani” conoscessero i nostri quattro vangeli canonici: <<A una prima lettura parrebbe di sì. Ma studi più attenti gettano molti dubbi sulla prima impressione. D'altronde, ognuno dei nostri Vangeli richiede un esame particolare.[...] Non v'è dubbio che gli autori gnostici conoscevano quella che si suole chiamare “tradizione giovannea” e “tradizione sinottica”, in forme che nel periodo in cui furono scritti i Vangeli gnostici non avevano ancora l'ufficialità che fu loro riconosciuta poco dopo.>>5.
La differenza notevole tra gli scritti gnostici e i vangeli canonici riguarda l'atmosfera: i primi affrontano direttamente il lettore in prima persona e lo pongono di fronte a ragionamenti, non a narrazioni, spesso incitandolo ad arrestare la lettura con pause di riflessione.
Lo gnosticismo si presenta dunque come uno degli aspetti più affascinanti rimasto in ombra dopo la costruzione, all'interno della religione cristiana, di un ordine ortodosso: ancora oggi la polemica è estremamente viva e lo studio di questi testi costituisce l'oggetto di grandi controversie. Molto inchiostro è stato versato su questo tema: dalle interpretazioni di tendenza rosacrociana, all'accusa di omertà religiosa, gli studiosi continuano ad interrogarsi sull'effettivo impatto rappresentato da tale scoperta.1




























NIETZSCHe, IL NAUFRAGIO DELLA VERITà



Presentazione
Come si è già accennato nell'introduzione, Friedrich Nietzsche costituisce un momento di svolta nel panorama filosofico: per la sua opera di demolizione di convinzioni consolidate, si é imposto come uno dei "maestri del sospetto" nel pensiero del '900. Più propriamente egli si propone una trasmutazione di tutti i valori, non volendo restare nel nichilismo, che aveva implacabilmente smascherato, e tanto mano nella decadenza a cui oppone decisamente la sua potenza. Il suo compito costruttivo non é stato però eseguito oppure é stato male inteso: ha dovuto pertanto subire tutta una serie di interpretazioni che non gli hanno reso giustizia (specie da parte del Nazismo). Forse é più opportuno lasciare a N. la sua provocante e insoddisfatta inattualità. Il suo pensiero ha influenzato gli ambiti più disparati, dalla letteratura alla musica, dalla pittura e arte espressionistica alla riflessione sociologica fino alla utilizzazione politico-ideologica.

Alle origini della morale
Per comprendere la morale, Nietzsche la sottopone ad un'analisi genealogica, ovvero un'analisi storica che scopra le orgini delle idee morali e ne risostruisca le trasformazioni. Ben presto il filosofo tedesco si rende conto che le idee di “buono” e “cattivo” cadono al di fuori della sfera naturale: in natura, infatti, il divenire è di per sé innocente, quindi la morale è il prodotto di fattori <<umani, troppo umani>>. L'uomo si attribuisce delle qualità puramente immaginarie, la stessa credenza di una libertà del volere è pura illusione: in base ad essa si crede che esistano azioni morali di cui ciascuno sarebbe responsabile. Ma su cosa si fonda questa credenza? Secondo gli uomini l'agente che compie un'azione ha il totale controllo su di essa, pertanto le conseguenze che derivano dall'azione stessa vanno imputate all'agente. Nello sviluppo di un'azione, però, entrano in gioco fattori non riducibili alla stessa conoscenza, fattori che sfuggono all'agente: sotto questa nuova prospettiva è facile comprendere come la scelta di compiere una determinata azione non è mai del tutto consapevole e libera.
Se dunque non siamo coscienti delle infinite implicazioni che derivano dal nostro agire, qual è il motore che sta alla base dell'azione?
Secondo Nietzsche l'agente compie un'azione solamente sulla base di un principio del piacere: egli ha come scopo il procurare piacere a se stesso. Questo impulso al piacere individuale non corrisponde però alla realizzazione di un piacere collettivo: infatti quando un'azione è dannosa per noi, riteniamo che l'agente l'abbia compiuta con lo specifico intento di recarci dolore, e inevitabilmente ci sentiamo inondati da un insaziabile desiderio di vendetta. L'errore che sta alla base della morale è dunque proprio l'assumere come unità di misura l'effetto di un'azione sugli altri, mettendo in secondo piano l'agente stesso. Da questo errore trae origine l'idea che le regole della morale siano stabilite dalla società e che l'interesse generale debba prevalere su quello individuale:

“La lode delle virtù è la lode di qualcosa che è in privato dannoso- la lode degli impulsi che tolgono all'uomo il suo più nobile egoismo e la forza della suprema cura di se medesimo. L'educazione procede sempre in questo modo: attraverso una serie di allettamenti e di vantaggi cerca di determinare il singolo a un certo modo di pensare e d'agire che una volta diventato abitudine, istinto e passione, è contrario alla sua ultima utilità, ma che ciò nonostante domina in lui e sopra di lui <<per il bene comune>>.[...]Se avrà successo l'educazione, ogni virtù dei singoli sarà un' utilità pubblica e un privato svantaggio nel senso del massimo obiettivo privato, ma probabilmente sarà già un declinare dello spirito e del senso, oppure perfino il prematuro tramonto.[...]Il prossimo loda il disinteresse perchè per il suo tramite ottiene vantaggi![...]La massima <<devi abdicare te stesso e offrirti in sacrificio>>, per non mettersi in contrasto con la sua propria morale, dovrebbe essere stabilita solo da un essere che con ciò rinunziasse egli stesso alla sua utilità e che esigendo il sacrificio dei singoli provocasse forse la sua stessa distruzione.”1

Come si è potuto comprendere dalle parole del filosofo tedesco, la morale, nel corso della storia umana, ha sempre rappresentato una forma di costrizione esercitata sull'individuo.
Sotto quest'ottica anche il Cristianesimo, che ha costruito una propria morale, diventa oggetto di studio. Nietzsche interpreta la religione cristiana come l'erede del platonismo: alla base di questa convinzione vi sono infatti le analogie tra le tesi fondamentali dei due pensieri.

Platonismo Cristianesimo
Netta distinzione tra il mondo intelligibile e il mondo sensibile Netta distinzione tra mondo terreno e mondo ultraterreno (Regno dei Cieli)
Superiorità del mondo intelligibile, considerato come il fondamento della verità e del valore, sul mondo sensibile, ridotto a semplice apparenza. Superiorità del Regno dei Cieli, considerato come luogo eterno in cui si svolgerà la “vera” vita dell'uomo, sul mondo terreno, ridotto a pura condizione di “passaggio”.
Distacco dal mondo sensibile come condizione per accedere al mondo intelligibile. Distacco dalle cose terrene, dagli impulsi vitali, dalle passioni, come condizione per accedere, attraverso la fede, nel Regno dei Cieli.

La morale cristiana si delinea, dunque, come una morale della rinuncia, del risentimento. In base a essa, le azioni sono avvertite dal soggetto non come manifestazioni della sua forza e della sua accettazione della vita, ma soltanto come reazioni contro ciò che è esterno e contro gli altri. Coloro che si conformano alla morale del risentimento riescono a dire sì alla vita soltanto perchè attribuiscono ad altri la colpa della propria infelicità.
Dal risentimento si sviluppa il senso di colpa: è significativo come nel Cristianesimo il Dio (che è per definizione creditore) si sacrifichi per l'uomo (debitore): con l'apparizione del Dio cristiano, dunque, fa la sua comparsa il senso di colpa che l'uomo prova a causa di “una colpa commessa nei confronti di Dio”. Questo sentimento di colpa si comporta come un muro di gomma nei confronti degli istinti umani: essi vengono infatti indirizzati verso l'interno, evitando accuratamente che si sfoghino sugli altri. Con il Cristianesimo trionfa una nuova malattia: la sofferenza che l'uomo impartisce a se stesso. Il fine della moralità è riposto nell'infelicità terrena a scapito di una felicità ultraterrena.
Per Nietzsche la religione cristiana ha spostato il centro di gravità della vita umana in una dimensione ultraterrena, facendo sì che la vita sia concepita come qualcosa di essenzialmente <<immorale>>:

“Se si trasferisce il centro della gravità della vita non nella vita, ma nell’<<al di là>>- nel nulla- si è tolto il centro di gravità alla vita in generale. La grande menzogna dell’immortalità personale distrugge ogni ragione, ogni natura nell’istinto- tutto quanto negli istinti è benefico, promotore di vita, mallevadore dell’avvenire, desta ormai diffidenza. Vivere in modo che non ha più alcun senso vivere, questo diventa ora il <<senso>> della vita...[...] Urge una sola cosa: che ognuno , in quanto <<anima immortale>>, sia allo stesso livello di ogni altro, che nell’insieme di tutti gli esseri viventi la <<salvezza>> di ogni individuo possa rivendicare un’importanza eterna, che piccoli baciapile, e mentecatti per tre quarti, possano immaginarsi che a cagion loro le leggi della natura vengono costantemente infrante.[...] Concedere l’<<immortalità>> a ogni Pietro e Paolo, è stato fino a oggi il più grande e il più maligno attentato all’umanità nobile.”2

Secondo il filosofo, il Cristianesimo rappresenterebbe il nichilismo passivo, il più forte “no” alla vita che sia mai stato pronunciato.
Questo nichilismo non caratterizza solamente i credenti, ma anche l'Europa contemporanea a Nietzsche: un'Europa che ha radici profondamente cristiane e che si manifestano nelle tendenze democratiche e socialistiche.

La trasvalutazione dei valori, la morte di Dio
L'analisi della morale ha messo in luce gli errori che la rendono possibile, ma se la morale costituisce il maggior pericolo per la vita e per l'uomo, come è possibile sradicarla?
In “Umano, troppo Umano” Nietzsche formula una serie di alternative:

“Non si possono capovolgere tutti I valori? Ed è forse bene il male? E' Dio solo un'invenzione e una finezza del diavolo? E' forse tutto in ultima analisi falso? E se noi siamo ingannati, non siamo per ciò stesso anche ingannatori? Non dobbiamo anche essere ingannatori?”

La trasvalutazione di tutti i valori (Umwertung) può avvenire solamente se si sfutta l'impulso dell'uomo teoretico alla verità. La verità infatti è sempre stata sfruttata o meglio, mascherata, a partire da Platone a dalla fede cristiana, per giustificare cose che in realtà erano pure menzogne, sfruttando il fascino che da sempre essa esercita sull'uomo:

“Esso (il cristianesimo, ndR) soprattutto sa che è in sé completamente indifferente il fatto che una cosa sia vera o no, ma che è estremamente importante, invece, fino a che punto sia creduta.”33

Sfruttando proprio il fascino della Verità, l'uomo teoretico smaschera come errori le stesse “verità” su cui si fonda la morale tradizionale: in primo luogo l'idea stessa di verità, e poi la giustizia, l'amore per il prossimo, l'amore per Dio. Liberarsi dall'errore infatti, non significa sostituirlo con un'altra presunta verità: liberarsi dall'errore significa soprattutto liberarsi dalla credenza erronea che esista la verità:

“E per quanto riguarda il nostro futuro: difficilmente ci troveranno ancora sui sentieri di quei giovinetti egizi che la notte rendono insicuri i templi, abbracciano le statue e attraverso ciò vogliono strappare i veli, mettere a nudo e in chiara luce tutto quanto è tenuto coperto, e non senza ragione. No, questo cattivo gusto, questo volere la verità, la" verità ad ogni costo", questa farneticazione da adolescenti nell'amore della verità, ci sono venuti in uggia: per questo siamo troppo esperti, troppo rigorosi, troppo gioiosi, troppo bruciati, troppo profondi...Non crediamo più che verità resti ancora verità, se le si tolgono i veli di dosso; abbiamo vissuto abbastanza per creder in questo.[...]Si dovrebbe onorare maggiormente il pudore con cui la natura si è nascosta sotto enigmi e variopinte incertezze. Forse la verità è una donna, cha ha buone ragioni per non fare vedere le sue ragioni.”4

Il processo di liberazione dall'errore giunge a compimento con l'ateismo assoluto: non si tratta di dimostrare che Dio non esiste o di prescrivere l'eliminazione di Dio dalla vita, quanto il prendere atto del declino inarrestabile della fede in Dio e della necessità di liberare l'umanità dal senso di colpa. Nella “Gaia Scienza” prima, e nel “Così parlo Zarathustra” dopo, Nietzsche afferma che Dio è morto:

“Avete sentito di quell'uomo folle che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: <<Cerco Dio! Cerco Dio!>>? - E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. <<Si è forse perduto?>> disse uno.<<Si è smarrito come un bambino?>> fece un altro. <<Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato?E' emigrato?>> gridavano e ridevano in una grande confusione. L'uomo folle balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: <<Dove se n'è andato Dio?>> gridò <<ve lo voglio dire! L'abbiamo ucciso, voi e io!Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all'ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strofinare via l'intero orizzonte? Che mai facemmo per sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov'è che si muove ora? Dov'è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all'indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dallo strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo ancora nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino a oggi si è dissanguato sotto i nostri coltelli, chi detergerà da noi questo sangue?[...]Non è troppo grande per noi la grandezza di questa azione? Non ci fu mai un'azione più grande, e tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, a una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!>>”5

Cosa significa però l'affermazione: “Dio è morto”?
Secondo alcuni, tra i quali figura Giovanni Vattimo, autore del saggio “Il soggetto e la maschera”, si tratterebbe di una presa d'atto storica, altri, come Nicola Abbagnano sostengono invece che si tratti di una tesi metafisica. La difficolta d'interpretare la morte di Dio, sta alla base stessa dei differenti stati d'animo che essa stessa suscita in Nietzsche:

“In realtà, noi filosofi e <<spiriti liberi>>, alla notizia che <<il vecchio Dio è morto>>, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presagio, di attesa, finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così <<aperto>>.”6

Alla luce di quest'affermazione sembrerebbe che la morte di Dio costituisca la totale liberazione dal bisogno di verità, ma sempre nella Gaia Scienza si legge:

“Un giorno il viandante sbattè la porta dietro di sé, si arrestò e pianse. Poi disse: <<Questa inclinazione, questo impulso verso il vero e il reale, il non apparente, il certo, mi fanno rabbia! Perchè questo battitore fosco e impetuoso segue proprio me? Vorrei riposarmi, ma non me lo concede. Quante sono le cose che mi seducono all'indugio! Per me ovunque vi sono giardini d'Armida: e quindi sempre nuove lacerazioni e nuove amarezze del cuore! Devo muovere ancora in avanti il piede, questo stanco piede ferito: e poiché devo, ho spesso uno sguardo irato per le più belle cose che non mi seppero trattenere- perchè non mi seppero trattenere!>>”7

E' chiarificatrice l'analisi che Stefano Peverada nel suo “Nietzsche e il naufragio della Verità” fornisce riguardo l'aforisma precedente:

“Il non riuscire ad evadere in tal modo dalla prigione dei concetti (sentiti sempre come criterio del vero e del falso) comporta quell'insufficienza generale del metodo di osservazione storica che già Vattimo notava con precisione nel termine da lui privilegiato dello “smascheramento”.[...]Se l'uomo, l'animale pensante, si definisce esaurientemente come l'ente che interpreta (valuta), ogni valutare abbisogna però di un orizzonte del valore e dell'interpretazione, che orienti e stabilisca il pensiero interpretante. Questo orizzonte era stato da sempre già deciso nella modalità dell'adeguazione del pensiero e dell'essere sotto il dominio dell'idea del vero”8
E' innegabile che Nietzsche abbia vissuto in maniera drammatica la questione della Verità, la stessa immagine dell'uomo folle, che nonostante affermi che sia morto Dio, lo cerca ancora, è estremamente emblematica: <<Se l'enigma dei secoli è stato risolto, perchè lo cerca ancora?>>9
La risposta viene fornita nel celebre “Così parlo Zarathustra”: il profeta persiano è il “senza dio” per eccelenza, per egli “Dio è una supposizione”, caduta la quale non c'è più nulla da temere né ci sono speranze ultraterrene da nutrire.

<<Io vi scongiuro, o miei fratelli, restate fedeli alla terra, e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranze ultraterrene![...]Oggi la colpa più spaventosa è peccare contro la terra e apprezzare più le viscere dell'imperscrutabile che il senso della terra!>>10

Con la morte di Dio crollano dunque i valori che dicevano “no” alla vita e cade anche la supposizione che gli uomini siano tutti uguali. Zarathustra può, quindi, completare il suo annuncio in questi termini: <<Morti sono tutti gli dei: ora vogliamo che il superuomo viva>>.
Il Superuomo (übermensch) è l'uomo che va oltre se stesso così come è stato e com'è, soltanto per portare finalmente l'uomo attuale in quella sua essenza che ancora gli manca e stabilirlo in essa.
Ciò che Zarathustra insegna è una nuova volontà, la volontà libera, capace di creare il nuovo: emerge in questo frangente il tema della volontà di potenza.
La volontà di potenza è una forza, una prerogativa di tutti gli esseri viventi. Essa è alla base di ogni azione e corrisponde alla quantità di energia accumulata che tende ad estrinsecarsi, potenziarsi ed accrescersi incessantemente. E' il “sì” alla vita proferito in maniera incondizionata poichè l'accetta sotto tutti i suoi aspetti. Il superuomo è dunque colui che riesce a realizzare il continuo oltrepassare messo in opera dalla volontà, creando se stesso per mezzo di essa.
Nel suo dispiegarsi, però, la volontà incontra un ostacolo: il tempo, o meglio, l'irreversibilità del tempo. Ma se la volontà avvertisse il tempo come una sua limitazione, non sarebbe più libera e perciò non sarebbe volontà di potenza. Per essere libera dal tempo, la volontà deve affermare: <<Così io volli che fosse>>: in questo modo il passato, l'eterno scorrere del tempo, si adeguano alla volontà. L'altro insegnamento di Zarathustra è infatti proprio l'eterno ritorno di tutte le cose.
Ma che significato ha l'eterno ritorno dell'uguale?

“Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: <<Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni cosa indicibilmente piccola e grande della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione, e così pure questo ragno e questo lume di luna tra gli alberi e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre capovolta, e tu con essa, granello di polvere!>>. Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immane in cui questa sarebbe stata la tua risposta : <<Tu sei un dio, e mai intesi cosa più divina!>>? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda che ti porresti ogni volta e in ogni caso: <<Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?>> graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che quest'ultima eterna sanzione, questo suggello?”11

Solo se sì pienamente felici si può volere questa ripetizione eterna e soltanto con l'eterno ritorno dell'uguale che si supera totalmente il nichilismo passivo.
Per volere non solo il proprio futuro, ma anche il proprio passato occorre sostituire alla concezione lineare e progressiva del tempo, una concezione ciclica. Quest'ultima porta a riconoscere e ad accogliere ogni momento come avente in se stesso un significato e, quindi, a volere che esso ritorni per l'eternità. Volendo l'eterno ritorno di tutto ciò che accade, il superuomo dimostra di accettare la vita in tutti i suoi aspetti e, conseguentemente, il suo essere libero da ogni gioco di creazione e distruzione. Nietzsche è dunque il più ferreo necessitarista: il senso delle cose coincide col fatto che esse sono e che torneranno ad essere. Alla filosofia del Novecento, Nietzsche ha lasciato in eredità questa concezione di attesa cieca del significato, del senso: egli è, come il suo Zarathustra, <<uno che vede e vuole e crea, egli stesso un futuro e un ponte verso il futuro>>.
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