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Tesina - Premio maturità 2008
Titolo: Vedere l'invisibile
Autore: Jacopo Canestri
Descrizione: Percorso filosofico e scientifico finalizzato a scoprire dei metodi che rendono possibile la conoscenza di ciò che sfugge alla sfera sensoriale: dei metodi che rendono VISIBILE l'INVISIBILE
Materie trattate: matematica, filosofia, letterature italiana e inglese, fisica, latino,geologia,storia dell'arte
Area: umanistica
Sommario: A prescindere da qualsiasi dottrina filosofica, il fatto che percepiamo il mondo e interagiamo con esso tramite i nostri sensi, è assodato. Fin dalla nascita i sensi sono il nostro unico strumento di ricerca e d' interpretazione. Fu Aristotele a classificare le percezioni del nostro corpo in cinque grandi sfere sensoriali ognuna che risiedeva in un organo ben preciso: il tatto nella pelle, il gusto nella bocca, l'olfatto nel naso, l'udito nell'orecchio e per ultimo il senso che sfruttiamo di più per rapportarci con l'esterno, la vista che risiede nell'occhio. Il verbo "io vedo" deriva direttamente dal verbo greco "oida", traducibile come "io so", il cui tema del participio è "id-". Da quest'ultima coniugazione di "oida" si sono formati molti termini delle lingue modere tra cui la parola italiana "idea", e la parola inglese "wit", che significa intelligenza. La vista è il senso su cui facciamo maggior affidamento: non crediamo se non vediamo! Riteniamo la perdita della vista molto più penalizzante della perdita di un qualsiasi altro senso. Tutto ruota attorno al nostro occhio, un organo molto complesso e molto sensibile alla luce. Vedere significa infatti trasformare la radiazione luminosa in impulsi nervosi che il cervello può interpretare.Tutto ciò che è materiale, concreto e ha contatti con la realtà è facile da visualizzare. Basta aprire gli occhi. in|vi|sì|bi|le: agg., s.m., s.f. che sfugge alla percezione dei sensi perché escluso da qualsiasi configurazione materiale definizione dal vocabolario della lingua italiana I nostri cinque sensi sono dunque limitati. Aprire gli occhi solamente, tastare, assaggiare, annusare o aguzzare l'orecchio non sono azioni sufficienti per "scoprire" l'invisibile. Prima bisogna ideare un modo in grado di fornire una consistenza materiale al non-conoscibile, un espediente per renderlo familiare associandolo a qualcosa di facile comprensione ed effettuare così un vero e proprio transfert gnoseologico. In ausilio dei cinque sensi interviene così l'intelletto umano che riesce sempre in qualche modo a coniugare formalità e invisibilità usando svariate scorciatoie che attraversano tutti i campi della conoscenza, dalla letteratura alla scienza, dalla matematica all'arte, tutte convergenti ad un solo scopo: apprendere la realtà e la vera essenza delle cose siano esse visibili o invisibili.
Indice
Prefazione, L’intelletto come sesto senso 3
...........................................
Il deja vu della conoscenza
1. 4
Filosofia pt. prima
........................................
Oltre la razionalita: Il Simbolismo
2. 6
Letteratura italiana
.................
Le illusioni dei sensi
3. 11
Letteratura Latina
...............................................................
sogno, l’inconscio e l’immagine
4. Il 12
Storia dell’ Arte
.......................
la tecnologia come chiave di lettura
5. 18
Geologia
.................................
To photograph the states of mind
6. 22
English Literature
....................
7. 24
L’importanza di somministrare una forma Matematica
...........
Interazioni invisibili
8. 27
Fisica
....................................................................................
La fuga dalla Verita
9. 30
Filosofia pt. seconda
........................................................
Conclusione, Le dimensioni del pensiero 34
...................................................
Appendice: Le illusioni dei sensi 35
traduzione dal Latino
...............................
Bibliografia 37
......................................................................................................................................
L’intelletto come sesto senso
A prescindere da qualsiasi dottrina filosofica, il fatto che percepiamo il mondo e interagiamo con esso
tramite i nostri sensi, è assodato. Fin dalla nascita i sensi sono il nostro unico strumento di ricerca e
d’ interpretazione. Fu Aristotele a classificare le percezioni del nostro corpo in cinque grandi sfere
sensoriali ognuna che risiedeva in un organo ben preciso: il tatto nella pelle, il gusto nella bocca,
l’olfatto nel naso, l’udito nell’orecchio e per ultimo il senso che sfruttiamo di più per rapportarci con
l’esterno, la vista che risiede nell’occhio.
vedo” so”,
Il verbo “io deriva direttamente dal verbo greco “oida”, traducibile come “io il cui tema
del participio è "id-". Da quest’ultima coniugazione di “oida” si sono formati molti termini delle
lingue modere tra cui la parola italiana “idea”, e la parola inglese “wit”, che significa intelligenza.
La vista è il senso su cui facciamo maggior affidamento: non crediamo se non vediamo! Riteniamo la
perdita della vista molto più penalizzante della perdita di un qualsiasi altro senso. Tutto ruota attorno
al nostro occhio, un organo molto complesso e molto sensibile alla luce.
Vedere significa infatti trasformare la radiazione luminosa in impulsi nervosi che il cervello può inter-
pretare.Tutto ciò che è materiale, concreto e ha contatti con la realtà è facile da visualizzare.
Basta aprire gli occhi.
in|vi|sì|bi|le : agg., s.m., s.f. che sfugge alla percezione dei sensi perché escluso da qual-
siasi configurazione materiale definizione dal vocabolario della lingua italiana
I nostri cinque sensi sono dunque limitati. Aprire gli occhi solamente, tastare, assaggiare, annusare o
aguzzare l’orecchio non sono azioni sufficienti per “scoprire” l’invisibile.
Prima bisogna ideare un modo in grado di fornire una consistenza materiale al non-conoscibile, un
espediente per renderlo familiare associandolo a qualcosa di facile comprensione ed effettuare così un
transfert gnoseologico.
vero e proprio
In ausilio dei cinque sensi interviene così l’intelletto umano che riesce sempre in qualche modo a
coniugare formalità e invisibilità usando svariate scorciatoie che attraversano tutti i campi della cono-
scenza, dalla letteratura alla scienza, dalla matematica all’arte, tutte convergenti ad un solo scopo:
apprendere la realtà e la vera essenza delle cose siano esse visibili o invisibili.
Ritorna all’indice
Il deja vu della conoscenza
1.
Nella teoria delle idee, Platone afferma che l’apprendere è un ricordare, ossia un recupero di quelle
idee presenti nell’Iperuranio che risultano essere incorruttibili, ingenerate, eterne, non soggette a mu-
tamento; esse sono le conoscenze certe che nella ricerca della verità danno forma al contingente, al
mondo dell’esperienza.
La teoria delle idee, delle forme, può essere meglio compresa in termini di entità matematiche:
un cerchio, ad esempio, viene definito come una figura piana composta da una serie infinita di punti
delimitati da una circonferenza, ovvero una serie infinita di punti equidistanti da un punto dato chia-
mato centro. Tuttavia, nessuno ha mai visto tale figura, dal momento che ciò che si vede costituisce
approssimazione
una mera del cerchio ideale, la serie infinita di punti è sostituita dalla linea curva
che dà luogo al perimetro del cerchio (la circonferenza); mentre, quando i matematici definiscono il
cerchio, i punti a cui si riferiscono non sono punti spaziali, bensì punti immateriali, che non occupano
spazio (adimensionali). Nondimeno, benché la forma del cerchio non sia mai stata vista, i matem-
atici e le persone comuni sanno che cosa è un cerchio: lo dimostra il fatto che essi sanno definire tale
figura.
Per Platone, dunque, l’idea della “circolarità” esiste, ma non nel mondo fisico spazio-temporale. Essa
esiste come oggetto immutabile nel mondo delle forme o delle idee, conoscibile per mezzo della sola
ragione.
Le forme possiedono più realtà degli oggetti del mondo fisico a causa della loro perfezio-
ne e stabilità e poiché sono modelli ai quali gli oggetti del mondo materiale somigliano,
qualunque realtà essi abbiano.
La circolarità, la triangolarità sono ottimi esempi di cosa Platone intendesse per “forme”: un oggetto
assomiglia
che esiste nel mondo fisico può essere chiamato cerchio o quadrato o triangolo solo perché
(“partecipa” nel linguaggio platonico) alla forma della “circolarità” o della “triangolarità”.
Ritorna all’indice déjà vu,
Il ricordare di Platone deriva quindi da un ovvero da una sensazione di rivivere una avveni-
mento già accaduto, di rivedere una cosa già vista, che comporta una sollecitazione delle funzioni
cognitive di riconoscimento (attenzione) e recupero (memoria), di quelle forme eterne che secondo il
filosofo ognuno di noi ha visto nell’iperuranio prima di venire al mondo, ma che nell’atto della nascita
sono andate perse.
La conoscenza intuitiva, che deriva da un processo unicamente interno nella mente umana, dunque, è
inapplicabile al mondo delle idee. È più difficile cercare di spiegare a parole cosa vuol dire “circola-
rità”, con l’uso quindi dei lògoi, ossia dei discorsi che si fanno attorno ad un argomento (definizioni),
assomiglia
che disegnare una figura che alla forma di circolarità e, indurre con il “déjà vu platonico”
a un recupero dell’idea di circolarità già acquisita prima della nascita. Il tentativo è invece impossibile
quando si vuole definire con i lògoi l’idea di un colore, per esempio spiegare cosa sia il giallo, senza
collegarlo alla visione di un entità contingente che “partecipa” all’idea di quel colore: es. giallo è il
colore dei Girasoli. Due definizioni del colore giallo.
Si noti come la prima è di gran lunga più eloquente.
giàl|lo
agg., s.m. jalne, galbinus)
etimologia (fr.ant. dal lat.
Si dice di uno dei sette colori fondamentali,
tra il verde e l’arancione nello spettro visi-
bile. E’ compreso tra le lunghezze d’onda di
5800 e 5700 Å.
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2. Oltre la razionalita: Il Simbolismo
A cavallo tra fine Ottocento e inizio Novecento si sviluppa soprattutto in Francia una poetica basata
sull’intuizione e sul rifiuto del realismo, della razionalità e del metodo scientifico che fino ad allora
non erano stati in grado di descrivere a pieno idee emozioni e sentimenti; il Simbolismo, infatti fa
uso di parole in grado di descrivere immagini simboliche tali da indurre il lettore al déjà vu e, quindi,
tramite un percorso di recupero, a realizzare e a provare quei sentimenti e quelle idee che lo scrittore
simbolista aveva racchiuso dentro le pagine.
Nel Decadentismo, il movimento che adotta la poetica del Simbolismo, l’artista si trasforma nel poeta
Vate che sopra la massa è l’unico che riesce a comprendere la realtà e, secondo una concezione già
romantica della funzione del poeta, suffragata dalla filosofia idealistica, a lui solo compete il ruolo
di interprete della realtà, grazie a strumenti di conoscenza diversi e più penetranti di quelli del puro
raziocinio.
Il manifesto del Simbolismo fu pubblicato sul “Le Figaro” da Jean Moréas il 18 settembre 1886 e
aveva origini soprattutto nella poesia di Baudelaire, il quale fornì subito dopo la prima definizione
“Correspondances”
poetica di Simbolismo contenuta nel sonetto
In questo componimento la natura è rappresentata come una foresta di simboli tra loro
“corrispondenti” che racchiudono le chiavi del significato dell’universo.
Charles Baudelaire 1821 - 1867
Ritorna all’indice Corrispondenze
E’ un tempio la Natura ove viventi
pilastri a volte confuse parole
mandano fuori; la attraversa l’uomo
tra foreste di simboli dagli occhi
familiari. I profumi e i colori
e i suoni si rispondono come echi
lunghi che di lontano si confondono
in unità profonda e tenebrosa,
vasta come la notte ed il chiarore.
Esistono profumi freschi come
carni di bimbo, dolci come gli òboi,
e verdi come praterie; e degli altri
corrotti, ricchi e trionfanti, che hanno
l’espansione propria alle infinite
cose, come l’incenso, l’ambra, il muschio,
il benzoino, e cantano dei sensi
e dell’anima i lunghi rapimenti.
Charles Baudelaire
Da “I fiori del male”, “Les Fleurs Du Mal”, 1857
Traduzione di Luigi De Nardis, Milano, Feltrinelli, 1964
Ritorna all’indice
Al contrario del parnassianesimo che mirava ad una poesia di pure immagini trascurando qualsiasi
aspetto sentimentale, il simbolismo punta soprattutto a rendere palpabile ciò che non proviene da
sfere sensoriali, ovvero tenta con i simboli di evocare emozioni: con accostamenti inconsueti di parole
riesce a destare l’attenzione del lettore-spettatore che, spiazzato da una mancanza di senso a prima
vista, analizzando più a fondo il contenuto partecipa ai sentimenti dello scrittore.
In Italia Giovanni Pascoli costituisce un particolare esempio di poeta simbolista in quanto aderisce
alla poetica del Decadentismo quasi inconsapevolmente perché al contrario di Gabriele D’Annunzio,
il massimo esponente del Decadentismo e dell’Estetismo italiano, Pascoli non amava apparire ma
aspirava comunque al sublime perpetuando l’idea del poeta Vate sebbene preferisse partire dal basso
e dal quotidiano per raggiungere l’ascesi.
La figura eccezionale cui compete l’individuazione dei legami segreti tra le cose, è per Pascoli un
fanciullino, il quale nonostante abbia la stessa funzione del superuomo di D’Annunzio, sottolinea
fin da subito la sostanziale differenza tra i due letterati: Pascoli non diventerà mai veramente adulto,
non raggiungerà mai l’indipendenza di D’Annunzio perché la sua crescita si arrestò quella sera del
“X agosto” nel momento in cui la rondine che tornava al nido, cadde tra spini, uccisa. L’uccisione
X agosto,
del padre, raccontata in analogia colla morte di una rondine nel componimento se forse
non influenzò drasticamente la vita giovanile di Pascoli, che continuò a studiare al collegio di Urbino,
sicuramente a lungo andare costrinse il poeta ad instaurare un legame morboso con la famiglia che
non scioglierà mai.
Pascoli sarà sempre in cerca di un rifugio, di ciò che ha sempre rappresentato come un nido o come
una siepe che, al contrario di quella leopardiana, non risulta essere un ostacolo da superare, bensì un
luogo circoscritto che fornisce protezione e calore affettivo: la famiglia.
Il simbolismo e il legame con la natura in Pascoli sono sempre presenti, sia nella sua produzione
poetica, sia nella sua vita privata. Il Poeta traduce la sua vita in natura usando immagini ricorrenti
che rimandano a sentimenti e concetti difficilmente esprimibili altrimenti; oltre all’esempio appena
citato del nido, particolarmente interessante è l’accezione che Pascoli dà al mondo floreale. Il compito