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Sintesi
Storia: Crisi del 1929 cause, sviluppi e conseguenze

Inglese: "The Grapes of Wrath" di John Steinbeck

Filosofia: Karl Marx

Storia dell'arte: American Gothic di Grant Wood

Italiano: Cinema
Estratto del documento

Flusso di capitale per debiti di guerra 1919-1929 (in milioni di dollari)

La soluzione non era però semplice: una prima contraddizione era costituita dalla

fragilità economica tedesca che era uscita dalla guerra stremata. I paesi vincitori

e in particolare gli Stati Uniti si erano resi conto allora della necessità di

sostenere l’economia tedesca con massicce esportazioni di capitali. Tali

finanziamenti avevano portato alla formazione di un triangolo finanziario, nel

quale gli Stati Uniti sostenevano con i loro capitali l’economia tedesca; la

Germania dedicava gran parte delle proprie risorse a pagare le riparazioni a

Francia e Gran Bretagna, e queste a loro volta utilizzavano tali capitali per pagare

i propri debiti di guerra. Questo triangolo poteva sussistere solo fin quando gli

Stati Uniti fossero stati disponibili a esportare i propri capitali in Germania, ma si

rivelò un pericoloso meccanismo di diffusione della crisi, quando la mancanza di

risorse finanziarie americane interruppe l’intero circuito internazionale. La

seconda contraddizione insita nella scelta di penalizzare lo Stato tedesco era data

dal fatto che le pressioni di Francia e Gran Bretagna costringevano la Germania a

una aggressiva politica di esportazioni per potersi procurare la valuta necessaria

ai pagamenti. Ciò da un lato aveva finito con il creare un pericoloso concorrente

per le potenze vincitrici e dall’altro aveva provocato una riduzione, anziché, un

ampliamento dei loro mercati. Il secondo elemento di fragilità del sistema

economico internazionale consisteva nell’assenza di una credibile autorità

finanziaria internazionale e di un efficace sistema di norme, garantito da un

paese-guida capace di assumersi responsabilità generali e pronto a operare in

caso di emergenza. La nazione che aveva rivestito per lungo tempo questo ruolo

era stata la Gran Bretagna, che però era uscita irrimediabilmente indebolita dalla

guerra. Il primato avrebbe dovuto passare in quegli anni agli Stati Uniti, che dal

punto di vista produttivo, nell’economia internazionale occupavano una posizione

di assoluto predominio già a partire dall’inizio del secolo. Ma a questa posizione di

primato economico non corrispondevano sul piano dell’ordinamento monetario e

finanziario internazionale, responsabilità proporzionate. Nel sistema economico

internazionale gli Stati Uniti occupavano una posizione secondaria rispetto alla

Gran Bretagna. Ciò era dovuto a motivi sia politici sia tecnici: sul piano politico,

gli anni immediatamente successivi alla fine della guerra avevano visto negli Stati

Uniti il prevalere delle forze “isolazioniste”, contrarie a un coinvolgimento nella

politica europea. Gli Stati Uniti avevano perciò mantenuto una posizione

marginale nelle varie conferenze internazionali destinate a definire l’assetto

monetario e finanziario post-bellico. Sul piano tecnico-bancario poi mancava negli

Stati Uniti un organismo centrale capace di regolamentare l’insieme dell’economia

in accordo con il governo. L’assenza di una guida economico-finanziaria si

rifletteva in maniera drammatica sul sistema monetario internazionale, reso

quanto mai rigido e vulnerabile dalla scelta di non abbandonare del tutto il

sistema aureo, ma di correggerlo semplicemente. Nella conferenza di Genova del

1922, fu definito un sistema misto, rimasto noto come gold exchange standard:

fermo restando l’impegno delle varie banche centrali a dare oro in cambio della

propria valuta ai paesi che ne avessero fatto richiesta, ci si accordava di

immagazzinare nelle riserve delle stesse banche centrali, non solamente oro ma

anche un’altra valuta: la sterlina. Questo atto affidava alla finanza britannica un

ruolo di regolatore dell’economia internazionale che essa non era più in grado di

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rivestire e contribuì a far ruotare l’intero sistema monetario internazionale

intorno alla moneta di una paese relativamente debole, incapace di assumere su

di sé quelle responsabilità generali, che un’economia complessa come quella della

prima guerra mondiale veniva imponendo. Ma gli Stati Uniti, il cui intervento

nella guerra era stato determinante, uscirono dal conflitto più forti che mai.

Mentre le nazioni europee erano impegnate a combattere, gli USA, infatti, avevano

esportato i loro prodotti agricoli e industriali in tutta l’Europa. Nel dopoguerra

s’impegnarono poi, come detto, a sostenere ingenti finanziamenti per risollevare le

industrie delle nazioni impegnate nella guerra.

Per l’America gli anni venti furono un’epoca di incredibile espansione economica.

La densità della popolazione nelle grandi città aumentò sia a causa dell’ondata

migratoria proveniente dall’Europa sia per la crescita industriale che spinse molti

contadini ad abbandonare la campagna. Il Governo, favorendo il Business,

diventò lo strumento di industriali e banchieri che lo sfruttarono per accrescere i

propri guadagni. Questo stato di cose aveva provocato una difforme distribuzione

della ricchezza.

Tra il 1923 e il 1929, infatti, gli Stati Uniti avevano conosciuto uno sviluppo

economico di dimensioni

straordinarie, caratterizzato da un

elevato tasso di incremento del reddito

nazionale e da un aumento continuo

della produttività per operaio. Fattore

trainante era stata la diffusione su

larga scala di nuovi prodotti di

“consumo durevole” (automobili,

elettrodomestici, radio..), favorito da

una politica a bassi tassi di interesse

che aveva permesso a un gran

numero di persone di acquistare

questi beni con pagamenti rateali,

mutui e altre facilitazioni. Un

incremento della produzione si ebbe                                                              Una  delle  prime  Ford  T  1

anche nel settore agricolo in cui, grazie

alla disponibilità delle banche, i

contadini poterono ingrandire i loro poderi e acquistare macchinari per

aumentare la produttività della terra.

Durante questo periodo conosciuto come “The Roaring Twenties”, ovvero “Gli Anni

Ruggenti”, in America regnava una grande fiducia e tutto lasciava presagire che la

macchina produttiva non si sarebbe arrestata. Questo ottimismo si manifestò

soprattutto in borsa, che era diventata la sede di movimenti speculativi di

gigantesche dimensioni. La spirale speculativa non era sottoposta a freni né a

controlli. Ogni giorno veniva scambiati quattro, cinque milioni di titoli da più di

un milione di giocatori fra piccoli risparmiatori e speculatori di professione, che

passavano da un titolo all’altro rincorrendo nuovi previsti rialzi. I risparmiatori e

gli imprenditori, infatti, confidavano sul fatto che le azioni, acquistate a un certo

valore, potessero fruttare ingenti guadagni se rivendute a distanza di tempo per

un valore superiore a quello di acquisto. Sembrava essersi innescato un circolo

virtuoso: l’alta produttività permetteva di risparmiare forza lavoro e quindi

mantenere stabili i salari; la stabilità di questi favoriva la stabilità dei prezzi e dei

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prodotti, e quindi la propensione agli investimenti che, a loro volta, permettevano

di elevare ulteriormente la produttività. Ma tra la tendenza all’espansione della

produzione e la stabilità dei salari vi era una contraddizione insanabile. Gli

investimenti e l’aumento della produttività portavano infatti a un continuo

incremento della produzione cui non corrispondeva una proporzionata crescita

del potere d’acquisto dei lavoratori e alla lunga il limitato potere d’acquisto delle

masse fin’ per costituire un freno all’espansione.

Intanto le economie europee davano segnali di ripresa, riportando gli scambi al

periodo dell’anteguerra. Di conseguenza la produzione americana risultò ben

presto sproporzionata non solo alla richiesta dell’Europa ma anche della stessa

America. Molti prodotti restarono invenduti nei magazzini, moltissime industrie

fallirono poiché i proprietari non erano più in grado di sanare i debiti che avevano

contratto con le banche pochi anni prima. Per lo stesso motivo anche gli

agricoltori furono costretti a lasciare le proprie terre; fallirono infine numerose

banche e i piccoli risparmiatori per paura di perdere i propri guadagni affidati alle

banche, si affrettarono a prelevarli, provocando una crisi di liquidità. Il ritiro del

denaro dal mercato provocò il fallimento di molte banche che trascinarono nella

crisi le industrie nelle quali avevano investito.

A differenza di quanto accadde nella crisi

economica di fine Ottocento, quando la

sovrapproduzione si era interamente scaricata

sui prezzi e sui profitti, ora la reazione dei

sistemi economici industrializzati all’eccesso di

capacità produttiva consistette nel contrarre la

produzione e nel sostenere i prezzi. Questa scelta

ebbe come conseguenza una caduta verticale

della produzione industriale e una crescita

abnorme della disoccupazione. Si decise dunque

di bloccare gli investimenti e di ridurre la

produzione, tagliando cioè l’offerta pur di

                           Wall  Strett,  29  ottobre  1929     sostenere i prezzi. Queste scelte si scaricarono

prevalentemente sulla classe operaia e sui ceti meno protetti, che videro un netto

peggioramento delle loro condizioni di vita. Il blocco degli investimenti e della

produzione si tradusse in un drastico aumento della disoccupazione che impedì

agli operai occupati di difendere i propri livelli salariali. Inoltre, a fronte

dell’aumento della disoccupazione o della diminuzione dei salari, il loro potere

d’acquisto non fu neppure bilanciato dalla caduta dei prezzi. Questo processo

ridusse ulteriormente la domanda, acuendo il problema della sovrapproduzione.

Gli sforzi dei banchieri e degli agenti di cambio per contenere il crollo (in un solo

giorno furono infatti venduti 13 milioni di azioni a costo ribassato) furono vani.

Tutti coloro che avevano impegnato i loro capitali nelle operazioni in borsa

finirono sul lastrico e persero il lavoro in seguito alla chiusura di numerose

aziende. L’effetto fu drammatico: giovedì 24 ottobre 1929 si tolsero la vita ben 11

persone. 7  

 

Le risposte di breve periodo

Per uscire dalla crisi i governi dei paesi maggiormente coinvolti

misero in atto una serie di misure per rilanciare la produzione.

Esse furono sostanzialmente improntate a elevare barriere

protezionistiche sempre più rigide, per scoraggiare la concorrenza

internazionale e garantire all’industria nazionale u mercato

interno protetto; lo stato assunse il ruolo di supremo regolatore, Il  presidente  Hoover  

attraverso la leva della spesa pubblica. Gli Stati Uniti furono i

primi ad adottare queste misure: nel 1930, il presidente repubblicano Herbert

Hoover, profondamente legato alla dottrina del liberismo economico classico,

decise un forte rialzo delle tariffe doganali, con il risultato di paralizzare il

commercio internazionale e in particolare le esportazioni europee. A questa

decisione si adeguarono altri paesi con il risultato di acuire la segmentazione del

mercato mondiale in tanti mondi chiusi quanti erano i singoli mercati nazionali.

Sul piano dei rapporti politici internazionali, la frantumazione del mercato

mondiale ebbe conseguenze drammatiche. Per tutte le potenze il principale

rimedio all’inflazione divenne l’espansione, per la quale non vi erano che due

strade praticabili: o ritornare a una politica di aggressività imperialistica, che

consentisse ai singoli stati di allargare il proprio mercato protetto, oppure tentare

di creare le condizioni per una ripresa del commercio internazionale. La prima

strada sarebbe stata imboccata dai regimi autoritari di destra, dando il via nel

1935, a una nuova fase di espansionismo imperialista. L’altra via presupponeva o

un accordo internazionale vincolante o l’affermarsi sulla scena mondiale di una

nuova potenza-guida in grado di prendere il posto della Gran Bretagna: il che non

poteva avvenire se non attraverso uno scontro diretto tra i diversi aspiranti

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