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Filosofia - Freud, il pensiero di Warburg
Ilaria Menin 5C
ABY WARBURG
il pensiero di un grande del
ventesimo secolo
Indice
p. 2 Gli scopi di Aby Warburg e la concezione dell’arte
romantica
p. 3 La dissertazione su Botticelli
p. 5 Il frammento sulla “Ninfa”
p. 10 Il pathos classico e i suoi pericoli
p. 12 La teoria della memoria sociale
p. 17 Freud e l’arte
p. 21 La vita dei simboli
p. 24 Uno sguardo a Max Ernst
P. 26 Bibliografia 1
1. Gli scopi di Aby Warburg e la concezione dell’arte romantica
Aby Warburg fu uno dei più grandi storici e critici d’arte del Novecento tedesco che
amava definirsi “amburghese di cuore, ebreo di sangue, d’animo Fiorentino”. Il
problema a cui dedicò il lavoro della sua vita e la sua biblioteca era quello del ruolo
dell’antichità all’interno dell’arte del Rinascimento. Warburg ebbe la grande possibilità
di trascorrere un periodo a Firenze con il docente di Storia dell’arte a Breslavia, August
Schmarsow. Quest’ultimo assegnò a Warburg il compito di approfondire lo stile dei
rilievi nella scultura fiorentina. Sebbene, secondo il punto di vista di Vasari e dei
preraffaeliti, la storia della pittura fiorentina costituisse uno stabile progresso verso il
dominio della rappresentazione naturalistica, al contrario Warburg sosteneva come
questi stessi bassorilievi esibissero una tale esuberanza negli ornamenti floreali e negli
espedienti decorativi tanto da allontanarli da un aspetto puramente e semplicemente
naturale e tanto da contraddire il corso del naturalismo progressivo, infatti colpivano il
giovane ricercatore come dei manierismi. Un ulteriore elemento che sembrava
contraddire il dogma di una crescente fedeltà alla natura era la tendenza degli artisti
fiorentini ad indulgere nell’esagerazione del movimento del drappeggio. Secondo
Warburg, le opere di Botticelli, uno dei più grandi artisti del Rinascimento italiano,
tendono a rappresentare la fugacità e i manierismi attraverso i drappeggi che donano
movimento alle vesti dei personaggi. La deviazione dalla direttrice del progresso
doveva affondare le radici nella nuova mentalità del periodo. “Se è certo che, dall’inizio
del Quattrocento in poi, l’esigenza dominante nella rappresentazione della figura
umana fu quella della fedeltà alla natura, è lecito considerare ogni deviazione arbitraria
da questa fedeltà – avvenga essa attraverso la frequente ripetizione di motivi
individuali, o sia costituita dall’innaturale distorsione di un oggetto – come il risultato di
desideri insoddisfatti provocati dalla visione del mondo di quel periodo, e rivolti al
1
godimento della vita […] ”. Secondo Warburg, prima del Quattrocento l’arte aveva la
funzione di illustrare delle leggende; il 16 febbraio 1889 Warburg scrisse: “buono e
cattivo corrispondevano all’accettazione o al rifiuto delle esigenze ecclesiastico-
2
religiose ”. Nel XV secolo, grazie al progresso in favore del naturalismo, l’arte cessò di
essere uno strumento passivo e subordinato alla Chiesa, per diventare uno strumento
di riconciliazione con la vita. Secondo Warburg, questo nuovo obiettivo divenne la
causa della deviazione dal progresso in favore di uno spiccato naturalismo.
Warburg sottolineò con molta enfasi anche l’influenza dell’antichità classica, con la
quale il Rinascimento condivideva l’espediente dell’abbigliamento ondeggiante. In
questo Warburg cercò un orientamento in un saggio scritto da uno dei principali storici
dell’arte tedeschi, ossia Anton Springer, il quale arrivò alla conclusione che non c’è una
profonda differenza tra gli atteggiamenti medievali e rinascimentali verso l’antichità
classica: entrambi traggono dalle opere classiche qualunque cosa si riveli adatto per i
loro scopi. Nel frammento del 4 aprile 1889, Warburg afferma che la pittura,
riproducendo consapevolmente la vita come è vissuta, cessa di dare un giudizio morale
precostituito. Riconciliati con la vita in quanto tale, gli uomini cominciano a scegliere
1 Entwurf zur Botticelli-Dissertation, Aby Warburg una biografia
Bonn, 28 aprile 1889 in H. Gombrich,
intellettuale, 1970, tr. it. a cura di Alessandro Dal Lago e Pier Aldo Rovatti, Feltrinelli, Milano 2003, p. 49.
2 Fragmente, 16 febbraio 1889 in H. Gombrich, ivi p. 49. 2
più rigorosamente tra le forme di vita che li circondano. Inoltre egli individua le
caratteristiche che assumeva il drappeggio all’interno dell’arte fiorentina tra il 1400 e il
1550:
1. Il drappeggio in movimento è considerato e impiegato come uno strumento
d’intensificazione della caratterizzazione psicologica;
2. Nella pittura fiorentina tra il 1450 e il 1500 si compie il tentativo di giustificare il
movimento del drappeggio rappresentando le stesse figure in movimento;
3. Dopo il 1500 il drappeggio è usato di nuovo come mezzo di caratterizzazione
3
psicologica .
Presentò queste formulazioni al suo maestro Justi, molto reazionario e conservatore,
che le guardò con scetticismo poiché lontane dal suo pensiero cauto e molto scolastico.
Può darsi che a lungo andare lo scetticismo di Justi abbia spronato Warburg ad
accumulare prove concrete e ad abbandonare le astrazioni evoluzionistiche.
2. La dissertazione su Botticelli (1888-1891)
Attraverso il saggio su Botticelli Warburg risolse il problema che lo aveva colpito a
Firenze: il bisogno di spiegare l’evidente deviazione dal cammino del progresso verso il
naturalismo rappresentato dai dettagli ornamentali dello stile di Botticelli. Egli rivolse la
sua attenzione su due capolavori mitologici: la Primavera e la Nascita di Venere.
Attraverso l’analisi di questi capolavori, Warburg oltrepassò i convenzionali problemi
stilistici poiché ora si interessava alle ragioni che avevano spinto Botticelli a
rappresentare dei temi particolare in questa particolare maniera. Nella sua ricerca finì
per scoprire che Botticelli e i suoi mecenati immaginavano l’antichità da ciò che
leggevano in Ovidio e nei suoi imitatori rinascimentali. Warburg scoprì che Poliziano
nella ‘Giostra’ aveva raffigurato la nascita dal mare della dea dell’amore e risultò che in
questo aveva copiato un’analoga descrizione di bassorilievi immaginari che si può
trovare nella storia di Fetone raccontata da Ovidio. Dunque Botticelli non poteva aver
inventato questi temi, ma era stato consigliato da qualche umanista erudito; e solo il
mecenate poteva essersi rivolto a questi consulenti quando aveva commissionato il
lavoro. L’interesse di Warburg era tutto rivolto alla fase un cui questi capolavori di
opere d’arte erano stati concepiti, quando cioè il mecenate, l’artista e l’umanista si
consultavano sul modo migliore di realizzare la nuova impresa. Pensò, inoltre, che
Poliziano avesse convinto Botticelli ad aggiungere vari contrassegni dell’immaginazione
classica, derivanti anche dalle opere di Ovidio dov’era evidente la predilezione per
drappeggi ondeggianti e chiome fluenti. Un analogo interesse per il movimento è
evidente tra i sarcofaghi e i bassorilievi neo-attici. Tuttavia il ruolo dell’antichità è
esplicitamente confinato a quel rigoglio ornamentale che l’artista, in base ai consigli
ricevuti, aveva inserito nei suoi dipinti, allo scopo di conformarli all’idea delle figure
classiche corrente negli ambienti colti; Botticelli dunque è criticato per aver ceduto alle
pressioni dei consulenti allontanandosi in questo modo da una fedele rappresentazione
della natura: “Se l’“influenza degli antichi” conduceva a una meccanica ripetizione dei
motivi di un movimento estremamente intensificato, la colpa non è degli “antichi”; […]
la colpa è di una insufficiente consapevolezza artistica degli artisti figurativi; Botticelli
4
inaugurò la tendenza degli artisti troppo arrendevoli ”. Per Warburg il compiacimento
3 Fragmente, 4 aprile 1889 in H. Gombrich, ivi p. 52.
4 Ges. Schr., I, 55 in H. Gombrich, ivi p. 58. 3
nella rappresentazione delle linee ondulate, delle vesti fluttuanti e dei riccioli intrecciati
non era soltanto un problema storico, il timore era che l’arte si fosse allontanata
dall’esplorazione della realtà. Warburg, infatti, non dubitava che l’arte fosse una
questione morale, e mantenne questa convinzione fino alla morte. Per questo motivo
mirava a riconciliare l’arte con la fiducia scientifica nell’evoluzione dell’umanità che, in
quel tempo, era ancora radicata nel credo ottimistico dell’evoluzionismo. Il progresso
conduceva l’umanità dallo stato selvaggio a forme sempre più raffinate di controllo, e
l’arte aveva una parte in questa ascesa.
Nascita di Venere
Per quanto riguarda la Warburg va immediatamente in medias res e,
sottolineando la predilezione di Poliziano per “gli accessori in movimento”, sostiene che
doveva essere stato proprio quest’ultimo a proporre il tema al pittore. Già
precedentemente il dipinto più famoso di Botticelli venne collegato all’Alberti, il quale
consigliava agli artisti di lasciar ondeggiare nel vento chiome e vesti facendo
intravedere la forma del corpo. La novità warburghiana è la lunga digressione su
Agostino di Duccio, lo scultore del Quattrocento che amava il movimento dei drappeggi
e che aveva lavorato nel Tempio Malatestiano progettato dall’Alberti. Era noto che
Agostino aveva copiato il motivo del movimento agitato dei drappeggi dagli antichi
sarcofaghi. Dunque l’immagine dell’antichità presente nella Nascita di Venere non era
una mera stravaganza, ma si era venuta formando nella generazione precedente. Era
insomma tipica di una tendenza del Rinascimento che Warburg avrebbe studiato per
tutta la durata della sua vita.
Successivamente Warburg risponde a un problema iconografico riguardante la stessa
opera: chi è la figura femminile rappresentata nell’atto di ricevere Venere sulla riva?
Basandosi su alcuni passi di Ovidio e del mitologo rinascimentale Vincenzo Cartari,
Warburg vi ravvisa la dea della Primavera. Vi è tuttavia una prova più importante per
confermare questa teoria: un disegno di Chantilly viene identificato da Warburg come
uno studio del Quattrocento che avrebbe preso come modello un sarcofago classico
raffigurante la storia di Achille e Sciro. Esso mostra che l’artista era interessato a
particolare come il velo mosso dal vento. Lo scopo dunque era mostrare che il
Quattrocento aveva una predilezione per le figure femminili talvolta come “Nymphae”.
Successivamente Warburg concentrò i suoi studi sull’altro grande dipinto di Botticelli, la
Primavera. Modificando esiguamente l’identificazione delle figure proposta dalla
letteratura, Warburg sostiene che nella ninfa inseguita da un dio del vento si può
ravvisare Flora, mentre la figura che sparge fiori è la dea Primavera. A questo punto si
può notare un parallelo con ciò che viene scritto dall’Alberti nel ‘Della Pittura’ nel quale
vi è la descrizione del costume delle Grazie come “soluta ac perlucida veste” (abito
indipendente e trasparente). Warburg si propone di analizzare anche il gruppo degli dei
del vento che inseguono la fanciulla sul lato destro del dipinto: il gruppo non è altro che
una diretta illustrazione del racconto di Ovidio nei ‘Fasti’, in cui la ninfa Flora narra
dell’inseguimento da parte di Zefiro. Si poteva dimostrare che Poliziano era stato
affascinato da questo motivo dell’“inseguimento erotico”. Viene sottolineata anche la
frequenza di questo tipo di scene nelle rappresentazioni teatrali. Da questo punto di
vita, Warburg riteneva di aver individuato un documento che illustrava un’altra scena di
un dramma Rinascimentale: una stampa dell’Italia del Nord che rappresentava le
Menadi nell’atto di uccidere il cantore; esse sono abbigliate in un costume
classicheggiante appropriato alle Ninfe. Seguendo tale documento, perciò, la
mescolanza di classico e contemporaneo poteva essere spiegata come un riflesso delle
4
rappresentazioni teatrali. Perché attribuiva tale importanza alla possibilità che Botticelli
avesse effettivamente visto questa scena di inseguimento in una rappresentazione? Se
Botticelli avesse visto una ninfa, ciò lo avrebbe riscattato dalla sua tendenza al