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Il melodramma verdiano
Oggi, o forti, sui volti baleni “Pugnerem colle braccia, co' petti;
Il furor delle menti segrete schiavi inulti più a lungo e negletti
Per l'Italia si pugna, vincete! non saremo…”
(dodicesima strofa) (Ernani)
Al di là delle somiglianze, e delle innegabili suggestioni che il testo manzoniano (insieme ad altri versi famosi, quali “Dagli atri muscosi,
dai Fori cadenti” - Adelchi, coro dell’atto III- o “S’ode a destra uno squillo di tromba” - Il conte di Carmagnola, coro dell’atto II) potrà
aver esercitato sui librettisti verdiani, per la felice esultanza, l’impeto dei versi, la passionalità, l’ardore del sentimento patriottico,
occorre però vagliare con attenzione cirtica l’impronta personale manzoniana, che inevitabilmente distingue “Marzo 1821” dai versi
dell’opera, sicuramente appassionati, sicuramente funzionali a suscitare l’entusiasmo del pubblico, ma, privati della musica, spesso goffi
e retorici.
Il linguaggio e la struttura del libretto d’opera sono stati oggetti di numerosi studi (da Giacomo Debenedetti, a Luigi Baldacci a Mario
Lavagetto), tutti concordi nel riconoscere i limiti “poetici” del libretto romantico; ha scritto Giacomo Debenedetti che i libretti sono
"grossi garbugli", che "devono funzionare come macchine, come dinamo costruite di vecchio ferrame e tuttavia capaci di far esplodere
momento per momento situazioni, gesti, gridi, che non si dimenticano più".
Chi ha esaminato i carteggi di Verdi con i suoi librettisti ha messo in evidenza l'atteggiamento del musicista verso i libretti: essi si
sottraggono a ogni valutazione puramente letteraria; la loro "bellezza" dipende dalla loro "musicabilità", ogni giudizio su di essi può e
deve basarsi solo su criteri funzionali. "Da dodici anni – osserva Verdi nel 1856 – sono accusato di mettere in musica i più pessimi
libretti che siano stati fatti e da farsi, ma (vedete l'ignoranza mia!) io ho la debolezza di credere, per esempio, che il Rigoletto sia uno
dei più bei libretti, salvo i versi, che vi siano". "Salvo i versi dunque! I quali possono anche essere rozzi, ridicoli, goffi, banali, poco
equilibrati e difettosi per lo stesso Verdi, senza inficiare i meriti di un libretto, meriti da ricercarsi altrove e specialmente nella
disponibilità a mettere in moto quella complessa macchina che è il melodramma:" (Mario Lavagetto)
La volontà del Manzoni di comporre un canto schiettamente risorgimentale, di tono epico e guerriero, non gli impedì di affrontare il
tema con una ricchezza di implicazioni ideali e morali sconosciute ai librettisti verdiani: in un genere popolare quale l’opera, le riflessioni
manzoniane non potevano trovare posto.
L’intuizione poetica su cui Marzo 1821 si fonda consiste nell’esaltazione della libertà dei popoli come diritto universale, in quanto sancito
da una legge divina. In tal senso, non c’è differenza tra il patriottismo italiano e quello dimostrato dai popoli germanici contro
Napoleone, come è sottolineato nella dedica al “poeta e soldato della indipendenza germanica, Teodoro Koerner”.
Superando ogni meschino nazionalismo, il canto patriottico italiano si apre nel nome di un combattente di diversa nazionalità, anzi di
quella nazionalità che, in quel momento storico, rappresentava per l’Italia il ruolo dell’oppressore.
Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni Fotografia di Alessandro Manzoni
VERDI E IL RISORGIMENTO.
L'opera lirica assorbì dunque il clima dell'epoca anche per quanto riguarda la diffusa sensibilità risorgimentale e si prestò a
veicolare messaggi patriottici. Non sempre, è vero, negli autori ci fu l'esplicita volontà di inserire messaggi di questo tipo; è però
altrettanto vero che il pubblico dell'Ottocento fu pronto a cogliere al volo un'allusione patriottica, coperta o scoperta, in un coro della
Norma o dell'Ernani.
E' noto un episodio accaduto alla Scala il 10 gennaio 1859. Per ovviare agli inconvenienti, ai piccoli attriti, che si verificavano
quando borghesi e militari venivano a contatto, l'imperial regio comando austriaco aveva disposto che la platea del teatro venisse divisa
in due parti (ognuna con distinti ingressi) delle quali l'anteriore, verso il palcoscenico, riservata alla milizia, la posteriore al pubblico
normale dei Milanesi. Quella sera del '59, non appena il coro dei Druidi attaccò il "Guerra, guerra!" nell'Atto secondo della Norma di
Bellini, scoppiarono tra i borghesi applausi così vivi e insistiti che i militari, ben comprendendone il significato extramusicale, si alzarono
tutti in piedi e, girate le spalle al palco e fronteggiando quindi l'altra metà del pubblico, cominciarono a loro volta a battere le mani e a
urlare furiosamente. In seguito a questo incidente il comando della piazza proibì che il coro venisse cantato. E questo è solo un esempio
degli interventi censori sull'opera.
"Che la musica potesse essere un alleato potente dell'ideologia della liberazione lo aveva del resto auspicato Mazzini già nel 1836,
nel saggio Filosofia della musica, dove era indicata la necessità, per così dire, "politica" di una nuova musica, non più aulica e
aristocratica, ma romantica e popolare che sapesse unificare, in una sublime armonia, i sentimenti individuali con quelli collettivi della
nazione. Mazzini indicava soprattutto nel coro il simbolo di tale armonica fusione". (Lucio Villari)
E furono infatti i cori, soprattutto quelli di alcune opere verdiane a simboleggiare le lotte del Risorgimento, primo fra tutti il famosissimo
“Va pensiero” del Nabucco. Il Nabucco, andato in scena in anni “caldi” per la patria (1842), è un’opera verdiana significativa anche per
ragioni che vanno al di là della somma dei suoi aspetti verbali, scenici e musicali; infatti essa è sostenuta da significati extramusicali tali
da suscitare negli Italiani quel misto di condiscendenza e di timore reverenziale, che contraddistingue un vero monumento nazionale.
La ragione di ciò risiede fondamentalmente nel persistente legame dell’opera con i mutamenti sociali e politici propri del Risorgimento e
con l'insistita ricerca di un’unità nazionale.
Se si analizza l’opera da vicino, però, ci si rende conto che la fama di Nabucco ruota tutta attorno al coro del terzo atto “Va pensiero
sull’ali dorate”, nel quale gli schiavi ebrei lamentano la perdita della loro patria. Ma tutti, alla prima rappresentazione, sapevano e
compresero benissimo la metafora: sotto la disperazione degli Ebrei non si nasconde altro che il sentimento degli Italiani per la
“perdita” della loro patria, allora sotto il giogo della dominazione straniera.
E non sono solo le parole del librettista Temistocle Solera ad evocare idee patriottiche: la musica di Verdi dà una forte spinta all’idea di
coralità: è un coro dove tutte le voci sono all’unisono con un carattere innodico. Non c’è varietà ritmica, cosa che crea quell’effetto
incantatorio che ha reso famosa tale aria. Non a caso Rossini definì tale coro “aria per soprani, contralti, tenori e bassi”, cogliendo così
il senso emotivo e musicale di quella massa corale che cantava un’unica linea melodica.
Un’altra opera molto importante, dove l'allusione politica è resa evidente da un coro, è Ernani. Anche qui sotto le spoglie dei congiurati
il pubblico si riconobbe: …come un dì contro i Mori …
siamo tutti una sola famiglia
pugnerem con le braccia e co’ petti;
schiavi inutil più a lungo e negletti
non sarem finchè vita abbia il cor.
Francesco Maria Piave, il librettista, utilizza una terminologia ad effetto, che mette in rilievo il desiderio di una guerra che potesse
spazzare via dal suolo italiano le potenze straniere. Il pubblico di Verdi, ascoltando quelle che saranno viste dagli storici come le parole
chiave del Risorgimento, ossia “Pugnare”, ”famiglia”, “cor” come sede dell’amore di patria e del desiderio di libertà - tutte sottolineate
dalla musica di Verdi, in particolare “siamo tutti una sola famiglia” - continuò ad accendersi di ideali nazionalisti addirittura fino ai primi
anni del ventesimo secolo.
VERDI E HAYEZ
L’opera lirica è data non soltanto dall’unione di musica e parole, ma, in quanto genere da rappresentarsi sulla scena, necessita
anche di contributi di carattere figurativo per la scenografia e i costumi. In questo senso si possono esaminare gli influssi che la
contemporanea pittura può aver esercitato sull’immaginario di Verdi e sulla composizione delle sue opere.
Francesco Hayez - Pietro l'Eremita
Sull’immaginario verdiano, durante la composizione dei Lombardi alla prima crociata (rappresentato per la prima volta nel 1843),
deve aver influito il dipinto di Hayez “Pietro l’Eremita che, cavalcando una bianca mula col Crocifisso in mano e scorrendo le città e le
borgate, predica la Crociata” del 1827-29. Tale opera appartiene al filone di quadri di soggetto storico, che costituirono la parte più
cospicua della produzione di Hayez a partire dal 1820. La celebrazione, infatti, di episodi della storia nazionale, esempio delle antiche
virtù civili del popolo italico, si accordava con le aspirazioni patriottiche della nobiltà e degli intellettuali lombardi, alimentandone gli
ideali risorgimentali.
Esposto a Brera nel 1829, il quadro venne accolto con grande entusiasmo, non solo dal pubblico ma anche dalla critica, che vi lesse
un’esortazione al popolo italiano a lottare per l’indipendenza e l’unità nazionale.
Il dipinto ha un’impostazione che si potrebbe definire “melodrammatica”: i gesti e le azioni dei personaggi, che esprimono emozioni e
sentimenti, sono enfatizzati, proprio come accade in un melodramma teatrale. Le varie figure recitano, infatti, un ruolo ben preciso,
muovendosi su una scenografia priva di profondità reale, piatta come un fondale dipinto.
Anche nell’opera più famosa di Hayez, “Il bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV”, apparentemente intimista e privato,
è possibile leggere un preciso messaggio allegorico-politico, certamente chiaro ai contemporanei, cosa che contribuì all’enorme
successo del dipinto. Come suggerito dal titolo completo, l’opera rappresenta una scena sentimentale ambientata nel medioevo,
secondo il gusto romantico. Ad un esame più attento alcuni particolari suggeriscono, invece, una diversa e più complessa
interpretazione.
Le braccia della fanciulla si stringono con forza alle spalle del suo compagno, come per trattenerlo: un atteggiamento che tradisce una
segreta preoccupazione, quasi si trattasse di un estremo saluto, l’ultimo addio all’amato che si appresta ad affrontare una sorte incerta
e pericolosa. L’uomo lascia, infatti, emergere dal mantello un pugnale. La sua posizione, con il piede appoggiato sul gradino, manifesta
un certo nervosismo, come se avesse fretta di partire per il timore di essere scoperto. Un comportamento un po’ sospetto, forse da
cospiratore. Un’ombra minacciosa compare sullo sfondo del dipinto, dietro l’arco di ingresso, rendendo più urgente la fuga.
Anche in questo dipinto si può notare un’impostazione che lo rende simile ad una scenografia teatrale: su un fondale neutro, sufficiente
tuttavia a suggerire l’epoca storica in cui è ambientato l’evento, stanno i due giovani amanti, fissati in un atteggiamento teatrale, atto
ad esprimere con immediatezza la loro passione intensa e profonda.
Francesco Hayez , Il bacio. Episodio della Luchino Visconti
giovinezza. fotogramma dal film "Senso"
Costumi del secolo XIV
“ SENSO” DI LUCHINO VISCONTI
Una sintesi degli argomenti fin qui trattati -il melodramma verdiano, la tematica risorgimentale, le suggestioni figurative di Hayez
-hanno avuto un’interpretazione significativa nel Novecento nel film di Luchino Visconti “Senso” del 1954.
Liberamente tratto dal racconto omonimo di Camillo Boito, fratello di Arrigo (musicista e librettista delle ultime opere verdiane),