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Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l'imago al cerchio e come vi s'indova
“Come lo studioso di geometria che si concentra con tutte le sue capacità intellettuali per
risolvere il problema della quadratura del cerchio, e non trova il principio di cui ha
bisogno, così io mi trovavo davanti a quella straordinaria visione: volevo capire come
l’immagine umana si adattasse alla forma del cerchio e in che modo trovasse posto in
essa”. In questo modo Dante dimostra quanto sia difficile riuscire a
descrivere il trascendente in termini di comprensibilità umana, il
problema è difficile quanto calcolare l’area di un cerchio in modo da
trasformarlo in un quadrato di superficie equivalente. L’introvabile
principio necessario alla soluzione consiste nel rapporto tra
diametro e circonferenza.
Nel XVII canto del Paradiso Dante chiede all’avo Cacciaguida di rivelargli le future
vicende della sua vita e si rivolge nel seguente modo:
O cara piota mia che sì t’insusi
che, come veggion le terrene menti
non capere in trïangol due ottusi,
così vedi le cose contingenti
anzi che sieno in sé, mirando il punto
a cui tutti li tempi son presenti;
“O cara radice della mia famiglia, che t'innalzi così in alto, che, come la mente dei mortali
vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa
chiarezza discerni le cose che possono essere o non essere prima che esistano in atto
contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti.”
In questo passo Dante si riferisce ad una delle regole elementari dei triangoli, ovvero al
fatto che in un triangolo può essere presente uno e un solo angolo ottuso, poiché la somma
degli angoli interni di un triangolo è di 180°. 16 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
Ritornando sempre al Paradiso ed in particolare nel canto XIII 88-101 dove discute
sulla contraddizione tra la sapienza perfetta di Adamo e di Cristo e la sapienza di
Salomone: el fu re, che chiese senno
acciò che re sufficiente fosse;
non per sapere il numero in che enno
li motor di qua sù, o se necesse
con contingente mai necesse fenno;
non si est dare primum motum esse,
o se del mezzo cerchio far si puote
triangol sì ch'un retto non avesse.
Troviamo due tipi di affermazioni, uno di carattere geometrico l’altra di carattere fisico.
Dante, infatti, si chiede se è possibile che un moto non sia generato da una causa, se quindi
esiste un moto assoluto. Ed infine si chiede se un triangolo inscritto in una
semicirconferenza avente per lato il diametro non sia rettangolo. Ovviamente Dante
prende queste affermazioni come esempi di qualcosa di certamente falso, infatti se c’è un
moto allora vi è necessariamente qualche cosa che l’ha generato e se un triangolo è
inscritto in una semicirconferenza avente un lato per diametro, questo è necessariamente
rettangolo. Triangolo rettangolo inscritto in una semicirconferenza.
17 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
U N O , C E N T
O , M
I L
L E R A C C O N T
I
Un’ulteriore esplorazione nella letteratura
"Un matematico il quale non abbia in sé nulla di poetico non sarà mai un matematico
completo".
1.6 La sestina lirica
Verso la fine del secolo XII il poeta provenzale Arnaut Daniel introdusse la sestina lirica. Si
tratta di un componimento poetico composto da sei strofe di sei versi ognuna, le stanze,
chiuse da un congedo di tre versi.
La sua caratteristica principale è l’adozione, a fine verso, di parole-rima. Le parole-rima
della prima strofa sono prese e permutate nelle altre strofe secondo una regola ben precisa:
si riscrive ogni volta la sequenza prendendo in ordine successivo l’ultima parola-rima della
stanza precedente, poi la prima, poi la penultima, poi la seconda, ecc.
Scelte quindi le sei parole-rima, che indichiamo con A, B, C, D, E, F, queste vengono poste
a fine di ogni verso della prima stanza. Nelle stanze successive, le stesse parole-rima si
ripresentano a fine verso secondo lo schema della figura.
Nelle stanze si scelgono, quindi, sei particolari permutazioni, delle 6! = 720 possibili, delle
parole-rima.
Nella poesia italiana la sestina lirica è stata utilizzata soprattutto da Petrarca (che ne
Canzoniere),
compose otto più una sestina doppia, tutte presenti nel ma anche da Dante e
da Ungaretti. Francesco Petrarca
18 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
1.7 La letteratura combinatoria
“L’ispirazione, che consiste nell’ubbidire
ciecamente ad ogni impulso, è in realtà una
schiavitù. Il classico che scrive la sua
tragedia osservando un certo numero di
regole che conosce è più libero del poeta che
scrive quel che gli passa per la testa ed è
schiavo di altre regole che ignora.”
(Raymond Queneau)
Con il termine letteratura combinatoria il
matematico francese François Le Lionnais, definì,
nel 1961, l’ambito in cui si collocano opere letterarie
la cui originalità creativa risiede nelle caratteristiche
strutturali che le hanno prodotte.
Si tratta di composizioni letterarie potenziali,
generate dalle diverse possibili combinazioni degli
elementi da cui l’opera trae origine. Tale
composizione letteraria si sviluppa seguendo precisi
schemi stabiliti a priori.
Cent Mille Milliards de Poèmes,
Per esempio, nell’opera Raymond Queneau scrive dieci
sonetti con le stesse rime e con una struttura grammaticale tale che ogni verso di ciascun
sonetto è intercambiabile con un altro verso situato nella stessa posizione. Per ciascun
verso si ottengono così dieci possibili scelte indipendenti e, poiché i versi sono 14, i sonetti
14 : centomila miliardi di poesie.
possibili in totale sono 10
" Ma in definitiva che cosa esplora? "
" Il mondo delle realtà matematiche."
" E come lo esplora? "
" In tutti i modi."
" E lei dice che questo mondo sfugge al dominio della ragione? "
" Mi pare di sì."
" Ci sarebbe dunque come un inconscio matematico," disse il mio
interlocutore con viva soddisfazione, e rivolgendosi subito agli altri
annunciò:
" Ecco dunque la ragione ancora una volta vinta; in tutti i campi l'inconscio
vincerà." 19 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
1.8 I tarocchi: una macchina narrativa
“Uno dei commensali tirò a sé le carte sparse […] prese una carta e la posò
davanti a sé. Tutti notammo la somiglianza tra il suo viso e quello della
figura, e ci parve di capire che con quella carta egli voleva dire “io” e che
s’accingeva a raccontare la sua storia.” Il castello dei destini incrociati)
(Italo Calvino,
Il castello dei destini incrociati La taverna dei destini
Ne e
incrociati, Italo Calvino ricava delle storie dalla
“successione delle misteriose figure dei tarocchi”. In
entrambe le parti del libro le prime 6 storie si dispongono
come in un cruciverba.
Castello
Per esempio, nel i commensali, privati della voce
da un incantesimo, pongono sul tavolo le carte dei tarocchi
per narrare ognuno una storia. Le sequenze di carta si
incrociano e le diverse storie si ottengono dando diverse
interpretazioni della figura. La disposizione delle carte, e
quindi l’intersecarsi delle storie, viene illustrato oltre che
verbalmente, attraverso la loro produzione nei margini del
libro. Il fascino e l’originalità dell’opera risiedono negli
intrecci combinatori del gioco, ma anche nella particolare Castello
scelta dei mazzi di tarocchi. Le figure che ispirano le trame del sono i Tarocchi
La Taverna
viscontei, mentre per si tratta di tarocchi del ‘700 di Marsiglia. Le storie che ne
scaturiscono dalla ineguagliabile fervida fantasia di Calvino sono per lo più drammatiche e
vissute personalmente dai personaggi che le raccontano assumendo di volta in volta la
fisionomia dei tarocchi stessi. de
Anche Calvino, come Raymond Queneau, ha fatto parte dell’OuLiPo (Ouvroir
Littérature Potentielle) traducibile in italiano "officina di letteratura potenziale". Si tratta
di un gruppo di scrittori e di matematici che cercano di elaborare nuovi schemi per la
letteratura con vincoli utili per stimolare idee ed ispirazioni.
20 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
D E R I V
A T E D E L
L E F U N Z
I O N I D I U N A
V
A R I A B I L E E I F R A T T
A L
I
2.1 Derivate
Data una funzione y = f(x), definita in un intervallo [a,b] si dice incremento della
variabile indipendente x nel passaggio dal valore iniziale x , al valore x = x + h, la
0 0
differenza: ∆x = h = x – x
0
Questo incremento può essere positivo o negativo: allora il punto x si trova,
rispettivamente, alla destra o alla sinistra del punto x .
0 al valore
Si dice incremento della funzione y = f(x) relativa al passaggio dal valore x
0
x = x + h la differenza:
0 ∆y = f(x + h) – f(x )
0 0
Questo incremento può essere positivo, nullo o negativo.
Si chiama rapporto incrementale della funzione f(x) relativo al punto x e
0
all’incremento h il rapporto:
tra l’incremento ∆y della funzione e l’incremento ∆x della variabile indipendente.
Si chiama derivata della funzione y = f(x) nel punto x , il limite, se esiste ed è finito, del
0
rapporto incrementale per h che tende a 0.
‘
Pertanto la derivata f (x ) =
0
nelle ipotesi che il limite del secondo membro esista e sia finito.
, allora è necessariamente continua in tale punto.
Se una funzione è derivabile nel punto x
0
Da questo teorema segue che: nei punti di discontinuità una funzione non può ammettere
derivata. La proprietà inversa del teorema non è vera; cioè: se una funzione è continua in
un punto x non è detto che sia derivabile in tale punto. Dunque, la derivabilità è una
0
condizione più restrittiva della continuità.
Si dice che f(x) ammette derivata destra nel punto x , quando esiste il limite del
0
rapporto incrementale destro al tendere a zero (per valori positivi) dell’incremento h della
variabile indipendente. Analogamente si definisce la derivata sinistra di f(x) nel punto
x .
0 e
21 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
Se esiste la derivata f ‘(x), esistono anche separatamente la derivata destra e quella sinistra
e sono uguali tra loro: cioè si ha: f ’(x ) = f ’ (x ) = f ‘ (x ) e viceversa.
0 + 0 - 0
Il valore della derivata f ‘(x), in un dato punto x , è uguale al coefficiente angolare m della
0 , f(x )].
tangente alla curva di equazione y = f(x), nel punto P[x
0 0
t
Se α è l’angolo che l’asse x forma con la retta tangente alla curva di equazione y = f(x), nel
punto P di ascissa x , si ha:
0 m = tgα = f ‘(x)
Vediamo così che l’esistenza della derivata è legata all’esistenza della tangente alla curva di
equazione y = f(x) e il coefficiente angolare della tangente deve essere finito.
In altre parole la tangente non deve essere parallela all’asse y.
In quest’ultimo caso infatti risulta α = 90° e la tangente goniometrica di tale angolo non
esiste.
Una curva continua può in certi punti non ammettere la tangente, o averne una parallela
all’asse y e quindi per i valori corrispondenti di x, la funzione f(x) non ammette derivata.
Si possono presentare questi casi:
Se le derivate destra e sinistra in x esistono e sono finite entrambe o sono
1. 0
differenti, ciò corrisponde al caso in cui nel punto di ascissa x esistono, a destra e a
0
sinistra, delle tangenti non parallele all’asse y, ma queste tangenti sono differenti. E’
. Questi punti si dicono punti angolosi
questo il caso rappresentato dal punto P 1
della curva.
2. Nel caso in cui i limiti destro e sinistro tendano a +∞ e a -∞, rispettivamente, si dice
verso il basso
che nel punto x si ha una cuspide (è il caso del punto P ). Invece, se
0 0
i limiti destro e sinistro tendono a –∞ e a +∞, rispettivamente, si dice che nel punto
verso l’alto
x si ha una cuspide (è il caso del punto P ).
0 2
3. Nei punti come P si ha che i limiti tendono entrambi a +∞; in tal caso si dice che nel
3
punto P si ha un punto di flesso a tangente verticale.
3 22 Annamaria Cavallo
A cosa serve la matematica? MATEMATICA E’ CULTURA
2.2 Frattali