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dell’Afghanistan da parte dell’URSS. Quattro anni dopo vi fu il boicottaggio
dell’URSS nei giochi di Los Angeles in quanto gli atleti sovietici non si sentivano
protetti contro i movimenti anticomunisti americani.
G F
LI EROI PER OSCOLO
C S
ARME DEI EPOLCRI
Foscolo scrisse questo componimento, un testo argomentativi formato da 295
endecasillabi sciolti, tra il marzo e il maggio del 1806.
Il Foscolo scrisse questo componimento dopo una disputa che ebbe con il poeta
Ippolito Pindemonte in merito al problema delle sepolture.
L’editto napoleonico di Saint – Claud (1804) imponeva che le sepolture fossero
poste fuori dall’abitato e dalla chiesa e vietava monumenti vistosi e iscrizioni
funerarie che dovevano essere uguali per tutti. Il cattolico Pindemonte pensava
che questo provvedimento potesse indurre a trascurare il culto dei defunti; il
Foscolo lo aveva contraddetto ma in seguito, approfondendo la propria
meditazione, compose questa opera ampliando le sue considerazioni.
Il Foscolo, pur non credendo nella sopravvivenza dell’anima, in una vita futura,
in un Dio, riteneva che le tombe fossero importanti dal punto di vista affettivo e
fossero uno stimolante esempio per i vivi. In particolare le tombe dei grandi,
degli eroi, cioè di coloro che hanno espresso gli ideali più nobili, diventando
patrimonio di una nazione e di tutta l’umanità e accendono gli animi generosi a
egregie servitù, l’antica grandezza, li esortano a rinnovarla, a riscattare la
patria dall’oppressione.
I nostri resti mortali e le tombe vengono distrutti mentre la gloria degli eroi non
muore, ma continua a vivere nel canto dei poeti. L’ultima parte del carme è un
inno alla poesia, in cui compito è quello di tramandare il ricordo degli eroi e i
valori che essi affermano. La poesia crea e diffonde il culto delle più alte
illusioni che riscattano la nostra vita dalla materia e dal nulla eterno.
Tombe dei grandi:
Machiavelli (Principe)
Michelangelo (cupola S. Pietro)
Galileo (universo)
Dante
Petrarca
P
ENSIERO
In Foscolo coesistono elementi illuministici, romantici e classici.
Egli condivide le idee illuministiche (la fiducia nella ragione e nella scienza) ma
avverte l’insufficienza della conoscenza data dalla ragione. Secondo il poeta, la
scienza può spiegare la causa e l’effetto dei fenomeni della natura, ma non il
perché e l’essenza delle cose.
Motivo centrale della sua vita e della sua poesia è l’appassionata ricerca
dell’origine e della giustificazione della nostra esistenza. In lui si riflette il
travaglio fra il materialismo e la nuova ansia religiosa che fu propria del
romanticismo.
Perduta la fede cristiana, il Foscolo aderisce alle dottrine materialistiche che si
presentano alla sua ragione con un carattere di certezza. Ritiene, cioè, valide e
sicure solo le conoscenze che gli derivano dai sensi e dalla ragione, e
concepisce, di conseguenza, l’universo, come un ciclo perenne di nascita,
morte; un ciclo di cui dobbiamo rassegnarci a comprendere scientificamente le
fasi rinunciando a capirne le ultime ragioni, perché sfuggono alla nostra
esperienza.
Questo dissidio tra ragione e cuore provoca nel poeta una profonda
inquietudine, ansia (romantica), che si rispecchia nella sua vita tormentata e
movimentata.
Dio, l’anima e l’immortalità e la provvidenza sono esclusi dal pensiero di
Foscolo e appaiono un mistero indecifrabile.
L’esistenza è vista come un continuo errare senza scopo verso una felicità
irraggiungibile che termina nella morte e nel nulla eterno.
Per il poeta l’uomo ha valore a seconda dell’intensità delle sue passioni, è il
“forte sentire” che differenzia gli individui e che si esplica non tanto attraverso
le parole ma attraverso l’azione.
La poesia del Foscolo è una vocazione, un bisogno innato di esprimere con il
canto i propri ideali e stimolare gli animi all’azione.
Egli ha una sete di ideali come la libertà, la giustizia, l’amore, la bellezza, la
patria, l’eroismo, l’immortalità, irrealizzabili nella vita e nella storia ma dei quali
egli sentiva la necessità di ispirarsi per dare un significato alla propria
esistenza.
La ragione gli diceva che erano solo illusioni ma il cuore non si rassegnava a
considerarli tali.
Nasce così la religione delle illusioni che è accettazione tragica del nostro
destino di morte e sfida eroica ad esso.
La poesia è per il Foscolo la voce più alta delle illusioni.
La poesia è espressione di umanità e civiltà, perché fa vivere questi ideali nel
mondo, li sottrae al nulla della morte, eternando nei secoli gli spiriti di eroi e
poeti che li hanno fermati.
Solo operando virtuosamente possiamo trovare una ragione alla nostra vita e
l’unica possibile immortalità che consiste nel ricordo, nella tradizione.
L H
A TEORIA RAZZIALE DI ITLER
Sport e diritti umani. Storie di uomini e donne alle Olimpiadi di Berlino
Le Olimpiadi di Berlino del 1936 - evento cruciale nella storia dello sport - ci
permettono di rievocare la grande macchina propagandistica messa in funzione
dal regime nazionalsocialista: esaltazione della forza fisica tedesca, dell’amor
patrio, comunicazione al mondo intero che la Germania distrutta e umiliata
dalla sconfitta della prima guerra mondiale aveva ritrovato la sua naturale
grandezza.
I nazisti mettono in atto un piano radicale per trasformare un’occasione
sportiva in un
gigantesco spettacolo di massa per impressionare gli altri Paesi, ma soprattutto
in uno
strumento di battaglia ideologica.
Questo può essere visto nel:
gigantismo architettonico delle strutture sportive che si richiamano al
classicismo dell’antica Grecia, suggerendo allo spettatore l’identificazione
con la Germania nazista;
manifestazioni sportive che sembrano parate
militari;
abbinamento della bandiera nazista con la
svastica alla bandiera olimpica;
propaganda dell’immagine ideale dell’atleta
tedesco, che deve corrispondere perfettamente
all’ideale ariano: biondo, alto, prestante,
carnagione chiara e occhi azzurri (sia per i maschi
che per le femmine).
Ci si potrebbe interrogare sulla cecità dell’opinione
pubblica internazionale che prima protesta, qua e là
sull’opportunità di confermare la Germania nazista
come sede dei Giochi Olimpici e poi partecipa in massa all’evento (49 Paesi
aderiscono, più di tutte le edizioni precedenti).
Tutto questo non potrà che far emergere con forza il contrasto tra propaganda
e l’altra immagine della Germania di Hitler: la feroce repressione del dissenso e
il radicale antisemitismo che sembra solo allentarsi durante i Giochi Olimpici
per non attirare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale (ad esempio
verranno rimossi tutti i cartelli contro gli ebrei).
Non si possono ignorare gli episodi di grave discriminazione e persecuzione che
si verificano proprio parallelamente alla preparazione delle Olimpiadi:
l’arresto e la detenzione di 800 zingari nella regione di Berlino che
vengono rinchiusi nel campo di Marzahn per sottrarli alla vista degli stranieri;
altri 170 zingari vengono deportati a Dachau presso Monaco di Baviera.
la creazione dell’immenso campo di concentramento di Sachsenhausen,
che si aggiunge ai campi precedentemente istituiti nel Reich per tutti gli
oppositori e i nemici.
È anche importante sottolineare come le Olimpiadi, gara sportiva
internazionale per eccellenza, coincide con la discriminazione degli atleti ebrei
tedeschi, espulsi da tutte le discipline sportive e non ammessi a gareggiare per
la Germania ma solo per gli altri Paesi.
Il destino degli atleti ebrei, fortemente discriminati per motivi razziali, sembra
avere diversi punti in comune con la sorte degli atleti afroamericani, i quali,
tuttavia, sebbene ammessi a partecipare nella squadra statunitense per ragioni
di opportunità di gara (in misura di 18 su 312 atleti), subiscono in patria
pesantissime discriminazioni (es. autobus separati per bianchi e neri, scuole
divise, ecc.)
La storia di Jesse Owens, pluricampione
alle Olimpiadi di Berlino,è emblematica.
Ancora oggi si ricorda che Hitler, indignato
per aver visto infranto il sogno
dell’invincibilità tedesca, si rifiutò di
stringere la mano al campione africano,
mentre nessuno ricorda che il Presidente
americano Roosevelt non volle ricevere e
onorare pubblicamente l’atleta, una volta
rientrato in patria con le 4 medaglie d’oro.
La storia dei Giochi Olimpici del 1936 è
particolarmente interessante, sia come esempio concreto di intreccio tra sport
e politica, sia perché ci permette di raccontare la dimensione umana della
grande storia del Terzo Reich, cioè la storia di uomini e donne che seppero
comportarsi come degli esseri umani prima che come atleti.
Si tratta di sportivi e sportive, sia ariani che ebrei che furono capaci di
compiere delle scelte di responsabilità, di solidarietà, di capacità critica, in un
periodo in cui la massa sembrava invece lasciarsi travolgere dagli eventi.
Alcuni esempi : Lutz Long
1. il tedesco Carl Ludwig, detto che ebbe un gesto di grande
lealtà sportiva nei confronti del suo avversario di gara, l’atleta afroamericano
Jesse Owens, con il quale stringerà una forte amicizia nonostante il nazismo
razza
predicasse in Germania un disprezzo totale per i neri, considerati di
inferiore;
2. Albert Richter, grande ciclista tedesco che rifiutò di adeguarsi al
modello nazista e rimase solidale al suo allenatore Ernst Berliner, discriminato
e perseguitato in quanto ebreo, Ariano
3. Max Schmeling, pugile, un altro Tedesco disubbidiente al
Führer che non esiterà a rischiare la propria vita per
salvare degli ebrei dalla deportazione, oltre ad
aiutare economicamente l’afroamericano Joe Louis
che solo pochi anni prima era stato suo avversario
sul ring.
Dobbiamo anche conoscere la storia dei tanti atleti
ebrei provenienti da paesi diversi, che furono grandi
campioni nello sport e alle Olimpiadi berlinesi, ma
che poi subirono la deportazione nei lager e furono
travolti dalla Shoah, quando il loro paese venne
occupato dai nazisti.
Tanti altri sportivi tedeschi di origini ebraiche, grandi
campioni nelle loro discipline, furono invece
discriminati per motivi razziali, in quanto considerati
non ariani e pertanto espulsi da tutte le associazioni
e squadre sportive e non ammessi a gareggiare alle
Olimpiadi del 1936.
Perché lo sport è prima di tutto rispetto per se stessi e per gli altri, è capacità di
riconoscere i propri limiti e imparare a superarli con il lavoro e l'impegno, è
incontro e relazione con gli altri al di là di qualsiasi differenza o discriminazione.
E' amicizia e solidarietà.
Il pensiero politico di Hitler è espresso nel suo libro Mein Kampf (La mia
battaglia).
Il libro ripete per molte pagine le idee pangermaniste:
riunificare in una patria comune tutti i tedeschi sparsi nei diversi Paesi
dell’Europa;
occupare tutti i territori necessari al suo “spazio vitale”.
Nel libro Hitler rivela la chiave della sua intera vita politica: l’antisemitismo,
cioè l’odio profondo per gli Ebrei.
Sosteneva che il popolo tedesco è il rappresentante più puro della razza ariana,
la razza più forte del pianeta che deve dominare il mondo. La missione di
dominare il mondo deve essere affidata a pochi superuomini, guidati da un
capo. Questo non può avvenire in una democrazia, ma solo in un sistema
totalitario basato sullo sterminio dei deboli. Per realizzare questo sistema, Hitler
ritiene che ci sia un grave ostacolo: gli Ebrei, non perché sono deboli, ma anzi
perché sono troppo forti. Hitler sosteneva che gli ebrei avevano finanziato le
democrazie che avevano umiliato la Germania nella prima guerra mondiale. Gli
ebrei dovevano essere annientati.
Creò un corpo scelto di puri rappresentanti della razza ariana che divennero le
sue guardie del corpo, le SS (reparti di difesa). Per collaborare con le SS fu
costituita la Gestapo (polizia segreta di stato).
Ebbe inizio la politica del terrore.
Sorsero i primi lager o campi di lavoro, dove venivano rinchiusi coloro che
inquinavano la razza: omosessuali, portatori di handicap, infermi di mente,
zingari, criminali comuni.