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ESAME DI
MATURITA’
ANNO 2008/09
DI BARRETTA MAURO, L.S.S. R.CACCIOPP
CLASSE V, SEZION
DARWIN e
DARWINISMO
L’EQUAZIONE SOCIALE
DI MAXWELL VERGA, I
Malavoglia
e verismo
LE ORIGINI
ed ETA’ ZOLA e
GIOLITTIANA naturalismo
LA
GIOVENALE e QUESTIONE
La Satira MERIDIONA
LE
KARL MARX DICKENS e
realismo
COURBET e
realismo
Questione meridionale
Le origini:
La Questione del Mezzogiorno o Questione Meridionale nasce dall’annessione forzata del Regno delle Due
Sicilie al Regno d’Italia, nel 1861, e la sua è la storia dei tentativi compiuti dallo Stato italiano per sanare la
lacerazione sociale e morale conseguente all’incontro-scontro fra realtà disomogenee. La rappresentazione del
"Mezzogiorno", cioè delle province continentali e insulari dell’ex Regno delle Due Sicilie come blocco unitario
d’arretratezza economica e sociale, non trova fondamento sul piano storico, ma ha genesi e natura ideologica. I
primi a diffondere giudizi falsi sugl’inferiori coefficienti di civiltà di quell’area sono gli esuli meridionali che, nel
decennio 1850 - 1860, con la loro propaganda antiborbonica non solo contribuiscono a demolire il prestigio e
l’onore della dinastia, ma determinano anche una trasformazione decisiva nell’immagine del Sud. Dopo il 1860,
l’intreccio di brigantaggio e di legittimismo borbonico spinge la classe politica unitaria a individuare nelle province
annesse, il luogo da cui proviene la più grave minaccia interna di eversione e ad assegnarsi la missione d’inserire
nella nuova compagine statale l’ex regno napoletano, anche a costo di cancellarne l’identità storica.
“La differenza tra il Mezzogiorno e il resto del paese — — si
scrive lo storico siciliano Giuseppe Giarrizzo
configura come polarità simbolica di barbarie e civiltà, di borbonismo e liberalismo, di "feudalesimo" nel Sud e
vita borghese nel Nord — una polarità esasperata dal contrasto mitico tra la difficile natura del Centro-nord e la
naturale disposizione del suolo e del clima meridionale alla fertilità e agli agi".
I temi del meridionalismo saranno enfatizzati, a partire dai primi decenni del secolo XX, dal nuovo ceto
politico locale allo scopo di rivendicare ingenti provvidenze pubbliche e di porsi come mediatore nella loro
distribuzione. Inizialmente, la questione del Mezzogiorno viene letta soprattutto nei termini di un grande problema
sociale e, pur nella diversità delle interpretazioni, l’analisi prende le mosse abitualmente dalla sua condizione
materiale. Per il primo meridionalismo, definito "classico", la Questione del Mezzogiorno consiste nella mancata
integrazione dell’economia del Sud nel processo di sviluppo capitalistico, mentre, per le correnti d’ispirazione
marxista, questa integrazione è avvenuta, ma nei modi peculiari con i quali il capitalismo avanzato subordina a sé
l’economia dei paesi arretrati, rendendola funzionale al suo sviluppo. In entrambi i casi la lettura del Sud in
termini di arretratezza — vista talvolta come divario d’origine rispetto alle regioni settentrionali del paese, altre
volte come frutto del processo di unificazione gestito dallo Stato unitario — ha come riferimenti il modello
economico liberale, nato dalla rivoluzione industriale che determinò anche una profonda trasformazione dei
rapporti sociali, e un’impostazione culturale idealistica, che giudica la storia del Mezzogiorno secondo il parametro
della crescita della coscienza civile, che sarebbe giunta a maturazione solo grazie al Risorgimento. Il Meridione
d’Italia viene descritto in termini d’individualismo e di carente spirito
•
•
• civico, di arretratezza tecnologica e di resistenza alla modernizzazione, di corruzione e di clientelismo,
utilizzando le dicotomie sviluppo, sottosviluppo, progresso ed arretratezza come indicatori del livello
raggiunto rispetto a una scala ideale da percorrere. In realtà, nel 1860 la società "napoletana" viene
incorporata in un sistema più ampio, nel quale erano presenti i germi di uno sviluppo di tipo capitalistico e
di una trasformazione della monarchia amministrativa in un regime liberale — cioè i germi di un "altro"
modello di sviluppo —, e ciò determina la subordinazione economica e politica del Sud nei confronti delle
"sistematica e non graduata demolizione di una immensità di
altre parti d’Italia, anche a causa della
istituzioni, di interessi, di amministrazioni", "una lesione troppo estesa e profonda"
che aveva prodotto . La
categoria dell’arretratezza ricompare così come nodo ineliminabile della storia del Mezzogiorno, in relazione
alla sua subordinazione economica o alla sua struttura sociale e culturale, entrambe legate a presunti,
secolari condizionamenti.
• Gli studi degli storici Gabriele De Rosa e Giuseppe Galasso hanno consentito, di superare il luogo comune di
una cristianizzazione superficiale delle regioni meridionali e d’individuare in alcune sopravviventi pratiche
magiche — ritenute comunemente parte integrante della religiosità delle popolazioni rurali — solo il relitto
di arcaiche strutture psicologiche e religiose. Anche il grande rilievo assunto dalla famiglia nella società
socialità,"si sgrana quasi naturalmente in un ventaglio di
meridionale — e nelle altre regioni d’Italia, dove la
famiglie, molto più che in una miscela di individui" — non è più ritenuto un sintomo di arretratezza, anzi
proprio questa tenace caratteristica sociale ha rappresentato un limite quasi invalicabile all’espansione
soffocante dello Stato unitario e il più sicuro antidoto nei confronti dell’individualismo politico ed economico.
L’unione forzata in un "grande Stato", nel 1861, ha determinato, prima ancora della spoliazione economica,
la dispersione d’una parte rilevante delle inestimabili ricchezze culturali del Mezzogiorno, ma l’insieme dei
caratteri e degli aspetti che contraddistinguono gli abitanti di queste contrade, soprattutto a livello del
costume e della vita di relazione, s’è mostrato per lungo tempo resistente e impermeabile alla modernità,
intesa come insieme di valori globalmente alternativi al cristianesimo e alla sua incidenza politica e sociale.
Il Sud, dunque, non è un’area arretrata o sottosviluppata, o un Nord mancato, ma piuttosto una società
dotata d’una forte personalità storica e d’una inconfondibile fisionomia, in cui si sono riconosciute per
lunghissimo tempo tutte le sue componenti sociali, una "nazione" che ha le sue radici remote nella vigorosa
sintesi, realizzata dopo il secolo VI, fra tradizioni autoctone, cultura greco-romana e apporti germanici. Il
Sud non è neppure una periferia d’Europa, caratterizzata da una lunga separazione dal mondo civile o da
note di subalternità o d’arcaicità, né è il luogo di coltura della "napoletanità", intesa come un isolato
universo antropologico e culturale. Al contrario, la civiltà del Mezzogiorno è stata una delle molteplici
altra Europa"
versioni della civiltà cristiana occidentale ed è vissuta per secoli in uno stretto rapporto con l’"
— presente ovunque nel continente durante l’età moderna e collocata idealmente "sotto i Pirenei"—, che
per molto tempo ha rappresentato la sopravvivenza di un’area di Cristianità e ha costituito un limite
all’espansione della modernità.
• Negli ultimi cento cinquant’anni il popolo italiano ha subìto un processo di alienazione della propria identità
e della propria tradizione, romana e cattolica — che avevano vivificato e modellato nel corso dei secoli i
costumi, la mentalità e il comportamento degli abitanti della penisola —, da parte di quello che è chiamato
"[…] partito anti-italiano. Per questo partito "fatta l’Italia" non si trattava soltanto di "fare gli italiani"; si
trattava piuttosto di fare l’Italia gli italiani, o di disfare il tradizionale ethos italiano radicato nel
contro
cattolicesimo". Il Mezzogiorno, in particolare, è stato aggredito contemporaneamente, e da più parti, da
fermenti incalzanti di trasformazione, ma ha costituito un luogo di resistenza alla modernizzazione forzata.
Dunque, non il particolare modo d’essere del popolo "napoletano", ma il tentativo diffuso d’annientarne la
personalità e di dissolverne l’eredità ha innescato un processo di alienazione culturale, mentre il progressivo
venir meno dei punti di riferimento sociali e istituzionali ha aperto la strada allo sviluppo della criminalità
organizzata, la cui forza non è il radicamento nel Mezzogiorno — dove tutt’al più ha riattivato i circuiti
classici della delinquenza locale, ampliandone le cerchie — ma l’incontro con fenomeni nuovi e poco
"meridionali", come il commercio internazionale di droga e d’armi e la lotta per il controllo di enormi risorse
finanziarie.
• Quanti si accostano alla Questione del Mezzogiorno non possono ignorare che la sua soluzione
passa attraverso una rinascita religiosa e civile, che può essere perseguita soltanto con il
ricupero di quanto sopravvive delle radici storiche e nazionali del Mezzogiorno stesso, da tempo
conculcate e disprezzate, purtroppo non solamente da parte di estranei.
• La situazione prima dell'Unità:
• L'economia dell'Italia preunitaria era, in genere, caratterizzata da una situazione di
svantaggio rispetto a quella di altre nazioni dell’ Europa occidentale. A metà
ottocento, tuttavia, in alcune regioni del paese si stava avviando un certo sviluppo
industriale, sebbene con modalità alquanto disomogenee. In Lombardia, la
produzione della seta greggia aveva innescato una crescita del settore legato alla
meccanizzazione dei processi produttivi. In Piemonte, lo sviluppo industriale fu
favorito dall'apertura dei mercati e dall'investimento pubblico sotto forma
sopratutto di infrastrutture (ferrovie quindi), sotto il governo Cavour. Il Sud aveva
anch'esso imboccato la strada della industrializzazione benché la presenza di
fabbriche di grande rilevanza fosse limitata ad alcune zone del casertano, della
provincia di Napoli e ad alcuni impianti siderurgici in Calabria. Lo Stato Borbone
aveva inoltre allestito lo stabilimento metallurgico di Pietrarsa, nel napoletano,
enorme insediamento industriale polifunzionale. Per proteggere queste prime
industrie, soprattutto quelle del settore tessile, il governo borbonico aveva adottato
una politica di tipo protezionistico, alzando una vera e propria barriera daziaria
contro le importazioni di merci estere. Queste aziende, però, erano frutto o di un
investimento pubblico o di uno estero, al contrario di quanto avveniva al nord, dove
c'era una nascente borghesia imprenditizia. Anche per ciò che riguarda il sistema
infrastrutturale i due tronconi d'Italia imboccano strade diverse. Il Piemonte, come
già detto, fa notevoli investimenti nel settore ferroviario, dotandosi di un sistema di
comunicazione interno e con i paesi confinanti per facilitare i commerci. Il Regno
delle Due Sicilie, invece, continua a valorizzare il trasporto via mare. In campo
marittimo le regioni meridionali avevano del resto un'antica tradizione di
eccellenza, dovuta anche al fatto che il Regno disponeva di uno sviluppo costiero
notevolmente superiore a quello degli altri stati preunitari e di una strategica
posizione al centro del mediterraneo. La sua flotta mercantile era la terza in Europa
per numero di navi e per tonnellaggio complessivo. L'esportazione dei prodotti del
regno riguardava, però, sopratutto non lavorati o semi-lavorati. Dal punto di vista
delle finanze pubbliche il bilancio pubblico del Regno delle due Sicilie, non
conosceva l'alto livello d'indebitamento in cui si trovava il Regno di Sardegna. La
pressione fiscale risultava essere la più bassa d'Europa. I conti pubblici piemontesi,
invece, erano stati gravemente provati dalla politica espansionistica adottata dal
Cavour e anche dagli investimenti in infrastrutture (ferrovie, strade, canali
d'irrigazione), resi necessari dalla volontà del regno sabaudo di modernizzare la
propria economia ed inserirla nei circuiti commerciali continentali. L'Italia unita avrà