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Il più importante fra i sistemi di segni su cui possano contare, di
cui possano disporre gli esseri umani è il linguaggio. La vita
quotidiana è linguaggio. Comprendere il linguaggio è essenziale
per comprendere la vita quotidiana. La scrittura, sistema di
segni che potremmo definire di secondo grado, rende
indipendente il linguaggio (sistema di segni di primo grado)
faccia a faccia,
dalla situazione dell’incontro diretto, con
l’interlocutore. Il linguaggio, o, a questo punto, la scrittura,
rende più reale la nostra soggettività. Attraverso la scrittura ci
facciamo più reali sia per il nostro interlocutore che per noi
stessi. Scrivendo, cristallizziamo la nostra soggettività, ma
anche quella del destinatario di quanto scriviamo. Leggendo,
assistiamo alla cristallizzazione della soggettività dello
scrivente e, in molti casi, della nostra. Parlare, leggere e
scrivere di se stessi per conoscere se stessi. La struttura di
riferimento più arcaica investita dall’uomo del delicato ruolo di
universo legittimatore è la mitologia, ovvero la realtà
giustificata attraverso la continua ‘intrusione’ del divino nel
quotidiano. Per raccontarci come siamo, non occorre sempre
smuovere chissà quale monte greco, o scomodare chissà quali
‘improbabili’ muse affinché ci aiutino a narrare le mirabili gesta
di chissà quale ‘improbabile’ re. Si può, più modestamente,
lasciarsi ispirare dalle orecchie tese di ‘probabili’ piccoli lettori
e raccontare loro di un volgare, per niente mitico, antipoetico,
‘probabilissimo’ pezzo di legno.
Nel 1881, per l’esattezza il 7 luglio, in sedici pagine, sul
La storia di un burattino.
“Giornale per bambini”, esordiva Nel
febbraio dell’anno dopo, l’anonimo burattino si presentava
nuovamente ai lettori con la dignità del suo nome inciso nel
Le
titolo e con la sua storia assurta al grado di avventura:
avventure di Pinocchio, stavolta, erano anche visibili attraverso
minute illustrazioni per mano del disegnatore Ugo Flores.
Ci troviamo in un periodo di crisi rivoluzionaria che nel 1848 interessò gran
parte dell’Europa e investì anche gli Stati italiani: Il governo borbonico di
Napoli fu il primo ad adottare una Costituzione; a Milano trionfò la lotta
popolare con le “cinque giornate”; Venezia, a sua volta, proclamo la
Repubblica di San Marco. Proprio le vittoriose insurrezioni nel Lombardo-
Veneto spinsero il re di Sardegna Carlo Alberto a dichiarare guerra all’Austria (
I Guerra di Indipendenza 1848-49 ) ; tuttavia l’incertezza con cui condussero
le operazioni militari determinò la sconfitta delle truppe sardo-piemontesi a
Custoza e a Novara. Anche le successive insurrezioni scoppiate a Roma e in
Toscana, furono represse dagli Austriaci. Gli Stati italiani tornarono
all’assilutismo ( seconda restaurazione); l’unica eccezione fu il Piemonte
sabaudo, in cuio venne conservato il regime costituzionale, e in pochi anni,
grazie all’attività del conte Cavour divenne punto di riferimento di tutta la
penisola, soprattutto in seguito al fallimento dei tentativi mazziniani di
raggiungere l’unità per via insurrezionale.
Dopo la partecipazione alla guerra di Crimea, il regno sabaudo di Cavour,
alleato alla Francia di Napoleone III con gli accordi di Plombières, scese
nuovamente in guerra contro l’Austria ( II Guerra di Indipendenza 1859-60 )
e dalla vittoria ottenne la Lombardia. Il compimento dell’unità nazionale fu
dovuto all’iniziativa dei democratici: Garibaldi, alla testa dei 1000, liberò il
Regno delle Due Sicilie e instaurò un governo provvisorio che fu consegnato,
dopo l’intervento dell’esercito piemontese che invase lo Stato Pontificio, a
Vittorio Emanuele II, proclamato “re d’Italia per grazia di Dio e volontà della
Nazione”. Negli anni successivi anche la questione veneta e romana trovarono
una soluzione: il Veneto fu conquistato per via indiretta nella III Guerra di
Indipendenza (1866), in seguito alla sconfitta austriaca nella guerra contro la
Prussica, mentre la “presa” di Roma (Breccia di Porta Pia, 1870) fu facilitata
dalla caduta di Napoleone III, difensore del Papa, e la città fu proclamata
capitale.
In occasione dell’entrata a Milano di Vittorio Emanuele III e di Napoleone III
(1859) due anni prima dell’Unità, Hayez dipinse “Il Bacio” con lo scopo di
trasmettere un senso di instabilità e il desiderio del Regno d’Italia. Il bacio
raduna in sé le principali caratteristiche del Romanticismo italiano. La prima
cosa da notare è la scelta dell'artista di celare i volti dei giovani, che conferisce
importanza all'azione; altri particolari fondamentali per la comprensione del
quadro sono il piede sinistro del giovane, che, appoggiato su di un gradino,
indica precarietà, e le ombre che si possono scorgere dietro al muro, nella parte
sinistra del quadro. Nell'opera si esalta l'amore individuale e quello per la patria.
Infatti il quadro è una chiara allusione all'esilio. Viene rappresentata una fuga
che appare inevitabile, anche perché il giovane si sente osservato da qualcuno
nell'oscurità.
Questa opera ha anche un significato storico, perché rappresenta un ideale
abbraccio (un'alleanza) tra l'Italia e la Francia: infatti osservando bene l'opera si
nota che il ragazzo è vestito con i colori italiani (rosso bianco e verde), e la
veste blu della ragazza, unita con il bianco e rosso del ragazzo, rappresenta la
Francia. Mazzini scrisse che il pensiero nazionale reclamava Hayez, considerato
“pittore della storia”. Francesco D’Allongaro, dopo l’uscita del quadro, lo
ribattezzò “Il bacio del volontario” e disse: “Possa da questo bacio venir fuori
una generazione che prende la vita così com’è e tutto sia mirato al bello e alla
verità”.
Ma come si giunge, nell’Italia dei vari Alighieri, Petrarca,
Poliziano, Ariosto, Tasso, Parini, Alfieri, Monti, Foscolo, Leopardi,
Manzoni, a concepire un pezzo di legno come protagonista del
proprio racconto e a trasformarlo (prodigio, questo, degno
d’una fatina dai capelli turchini) nel personaggio letterario
italiano più noto nel mondo?
Sulle spalle degli scrittori operanti a cavallo dell’Unità d’Italia e
negli anni immediatamente successivi, grava un’impegnativa
eredità romantica. Il romanzo storico è vittima di una lenta ma
inesorabile consunzione e la stessa crisi investe per intero il
genere romanzo. A Milano, dal novembre del 1856, la giovane
letteratura forma il primo nucleo scapigliato intorno al giornale
“L’Uomo di Pietra”, le cui pagine optano per la soluzione
dell’espressione umoristica - il sottotitolo è “giornale letterario,
umoristico-critico, con caricature” - come strategia. È proprio il
direttore Cletto Arrighi a paragonare la nuova strategia
letteraria alla scienza militare che ha “le sue marce e
contromarce, le sue imboscate, i suoi stratagemmi, le sue
Avventure
sorprese”. Le funzionano grazie ad un oleatissimo
ingranaggio composto da ruote dentate di nome
seduzione→colpa→punizione→pentimento→seduzione→… e
“l’inconfondibilità e l’irripetibilità dell’esperienza pinocchiesca
Malavoglia
sono la prova, in maniera non dissimile dai di
Verga, che scrivere libri geniali in questa fase in Italia si
poteva solo non rifacendosi a nessuna norma costituita né
I Malavoglia,
dando vita ad alcuna norma”. Già, apparsi nel
febbraio 1881, anche loro con un “leggiero” dal “cuore buono”
proprio come Pinocchio: è ‘Ntoni di padron ‘Ntoni, dice Asor
Rosa, che sottolinea le somiglianze che corrono fra i due
personaggi, entrambi “fanciulli impulsivi e irragionevoli, che un
sogno di ricchezza e di benessere tende a traviare (uno si
salva, l’altro no). Una coincidenza antropologica profonda: la
storia del povero che si perde per un eccesso di ambizioni
doveva essere iscritta nel destino sociale dell’Italia post-
unitaria, e il “motivo” del «cuore buono», inteso come ultimo
argine all’esplodere di una irrefrenabile irrazionalità nazionale,
percorre da cima a fondo la nostra cultura del tempo.
I Malavoglia fanno parte della raccolta “Il Ciclo dei Vinti”. E’ la storia di
pescatori siciliani e delle conseguenze che il progresso provoca su di essa.
Verga si propone di andare ad analizzare come la “Fiumana del progresso” ha
influenzato sulla società post-unitaria, delineando accuratamente le cause della
caduta sociale di ogni personaggio di ogni classe, partendo da quelle più basse,
dove è piu facile cogliere il rapporto causa-effetto. Verga asserisce che l’uomo è
vinto perché, malgrado i suoi sforzi, non riuscirà mai a farsi valere. Il progresso
è la motivazione che spinge ‘Ntoni ad emigrare per cercare fortuna e
distaccarsi dai principi rozzi e bigotti di un paese che basava la sua vita sui
valori sacri della pesca e della famiglia.
“Corpo artificiale”, “androide” caratterizzato da
un incessante dinamismo, il celebre burattino,
secondo Asor Rosa, è il protagonista di un
“racconto di veglia” il cui meccanismo narrativo
fondamentale è la “metamorfosi”, l’ininterrotto
passaggio da una condizione all’altra. In
sostanza, un romanzo di (tras)formazione.
“Intuizione fantastica rarissima anche nel mondo
della letteratura colta”, degnissima “eco delle
Metamorfosi di Apuleio” è la trasformazione di Pinocchio e
Lucignolo in ciuchini.
Le Metamorfosi è l’opera capitale di Apuleio, nonché l’unico romanzo latino
che possediamo integralmente.
Si tratta di un’unica trasformazione, che subisce il protagonista Lucio, in un
perfetto asino, con mente umana. La curiositas di Lucio, subito in primo piano,
conduce il personaggio alla rovinosa trasformazione, da cui sarà liberato dopo
una lunga espiazione. Il pregio dell’opera sta nelle narrazioni, nelle digressioni
e soprattutto nelle novelle (Amore & Psiche). Nelle Metamorfosi motivi
allegorico-mistici e motivi fantastici interferiscono e si sovrappongono senza
tregua, nell’affannosa e vana ricerca di un carattere unitario. La scoperta delle
Metamorfosi fatta dal Boccaccia arricchì di nuovi spunti la novellistica del
Rinascimento.
Già, in quale angolo della nostra povera falegnameria
letteraria l’avevamo abbandonato quel pezzo di legno capace
di detronizzare il re? -C’era una volta…-
-Un re!-diranno subito i miei piccoli lettori.
-No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta
un pezzo di legno -
“Questo inizio è molto complesso. Al primo
colpo Collodi sembra avvertire che sta
iniziando una favola. Non appena i lettori si sono convinti che si
tratta di una storia per bambini, ecco che vengono messi in
scena i bambini, come interlocutori dell’autore, i quali,
ragionando da bambini abituati alle favole, fanno una
previsione sbagliata. Dunque la storia non è dedicata ai
bambini?
Ma Collodi si rivolge, per correggere la previsione sbagliata,
proprio ai bambini, e cioè ai suoi piccoli lettori. Per cui i bambini
potranno continuare a leggere la favola come se fosse rivolta a
loro, semplicemente assumendo che non sia la favola di un re
ma di un burattino. E arrivati alla fine non saranno delusi.
Eppure quell’inizio è una strizzata d’occhi per lettori adulti.
Possibile che la favola sia anche per loro? E che loro debbano
leggerla in modo diverso, ma che per capire i significati
allegorici della fiaba debbano fare finta di essere dei bambini?
Un inizio di tal genere è bastato a scatenare una serie di letture
Pinocchio,
psicoanalitiche, antropologiche, satiriche di e non
tutte inverosimili. Forse Collodi voleva fare un doppio gioco, e
su questo si basa gran parte del fascino di questo piccolo
grande libro” .
Il Cardinale Biffi titolò un articolo “Pinocchio, un burattino per il
regno dei cieli”. Se l’ex burattino si sublima grazie alla Fata e si
salva, Lucignolo si danna.
Qui entra il gioco il ruolo salvifico della Fata Turchina, che ha
destato a sua volta curiosità sulla sua provenienza. Nel libro è
descritta come la stella più luminosa del firmamento, capace di
esaudire i desideri delle persone. E se fosse, invece, intesa
come guida? Possiamo, quindi, associare la sua figura della