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Sintesi
Pedagogia: il romanzo "le avventure di Pinocchio"
Italiano: Pascoli e la poetica del fanciullino
Arte: Kandinskij e il primo acquerello astratto
Filosofia: Freud e la scoperta dell’inconscio
Latino: Apuleio e “Le metamorfosi”
Biologia: lo sviluppo embrionale
Storia: L’età giolittiana
Estratto del documento

Il romanzo le “Avventure di Pinocchio” è stato scritto da colui che è da tutti conosciuto con il nome di Carlo Collodi, ma in

realtà si chiamava Carlo Lorenzini.

Egli nacque a Firenze il 24 novembre 1826, da papà Domenico Lorenzini di umili origini e da

mamma Angelina Orzali proveniente da una famiglia

benestante. Lorenzini frequentò la scuola degli Scolopi e successivamente passò nelle aule

del seminario di Colle Val d’Elsa, ma nonostante frequentasse queste scuole non dovette

amare molto lo studio. Vivendo in pieno Risorgimento non riuscì ad essere indifferente al

susseguirsi delle guerre; tanto è vero che abbracciando le idee mazziniane partecipò alle

rivolte del 1848- 49 e successivamente anche a quella del 1859. Due anni prima della

partenza, nel 1846 iniziò la sua carriera lavorativa come giornalista, attività che lo indirizzò

all’amore per gli studi e che gli permise di affermarsi come scrittore. Una volta tornato nella

sua città, infatti riprese a collaborare per riviste e quotidiani fondando lui stesso alcuni

giornali. Tornato a Firenze dopo il 1859, riprese a scrivere ed è proprio da questo momento in

poi che la sua attività di scrittore si consoliderà, scrivendo articoli a sfondo sociale, politico,

racconti, romanzi e libri per bambini.

I racconti delle fate,

Il suo primo libro per bambini fu pubblicato nel 1876: traduzioni di alcune fiabe letterarie. Seguì una

serie di libri per uso scolastico (1877-1890), nei quali le avventure di un personaggio servivano ad introdurre i concetti e le

Giannettino e Minuzzolo

nozioni da imparare. Libri come furono apprezzati e diffusi nella neonata scuola dell’obbligo

Storia di un burattino “Giornale per i bambini”,

italiana. Nel 1881 pubblicò la prima puntata della sul uno dei primi periodici

Pipì, o lo scimmiottino color di rosa,

per l’infanzia in Italia. Sullo stesso giornalino pubblicò altre storie brevi, fra cui una sorta

Le avventure di Pinocchio)

di continuazione autoironica di Pinocchio. Terminate le puntate (intanto il titolo era diventato nel

Avventure di Pinocchio: storia di un burattino.

1883 fu stampata la prima edizione in volume delle Il Collodi morì

improvvisamente a Firenze. Il romanzo “Le Avventure di Pinocchio” è un romanzo di formazione , per ragazzi ma non per

bambini. Come dice Giovanni Jervis :” i bambini che ascoltano un racconto hanno bisogno di identificarsi in un personaggio”

, ma in questo libro l’identificazione è difficile. Pinocchio, protagonista della storia, infatti è un personaggio irresponsabile e

contraddittorio, affronta una serie di avventure che lo portano a mettere in discussione dapprima gli insegnamenti del

padre, poi sé stesso fino ad arrivare a compiere una vera e propria trasformazione, diventare buono e diligente ,

abbandonando le spoglie del burattino per assumere le sembianze, rincorse e rifiutate, del bambino vero. Pinocchio ,in

queste avventure, affronta un viaggio che lo porta alla sua crescita personale e alla sua individualizzazione, dopo essersi

confrontato e ribellato con le regole e le norme del padre e della società ,aver superato prove dure e terribili, inquietanti

metamorfosi, prove del fuoco e dell’acqua, in un’altalena continua di buoni propositi e monellerie, di caparbie infrazioni alla

regola e di tardi ma sinceri ravvedimenti, di cattiva condotta e rimorsi. L’eroe di questa storia, come tutti sappiamo, è un

burattino, che prende vita da un pezzo di legno intagliato da Geppetto, ma tuttavia presenta tutte le caratteristiche di un

qualsiasi bambino.

Roberto Benigni, nel suo libro “Io un po’ Pinocchio” scrive che Pinocchio è un burattino meraviglioso, è elegante,

sgangherato e aristocratico, è tutto cuore, vuole bene a tutti, è esuberante e si stupisce di ogni cosa che vede. Inoltre è

straordinario nel suo modo di agire, poiché si pente, promette che non lo farà più, ma poi lo rifà. Tutta questa voglia di

vivere, Pinocchio la manifesta rimanendo meravigliato davanti ad ogni nuova esperienza e rincorrendo ogni avventura …

"Pinocchio corre sempre, corre, corre, non si sa verso che cosa, corre, corre in tutte le valli del mondo, tutti lo vogliono

fermare. Ogni tanto affronta delle prove, le supera, se le dimentica e continua a correre. Nella sua corsa continua Pinocchio

cerca la felicità. Cercare la felicità è come cercare la verità , è un personaggio in cerca: non sa esattamente cosa sta

cercando, ma lo sta cercando con potenza. Pinocchio, è anche lo specchio dell’ingenuità, della purezza e delle illusioni:

«Pinocchio è un illusione e vive di illusioni»… ha una meravigliosa febbre addosso, la febbre della vita, è curioso, corre

dietro alle farfalle, agli scoiattoli, al piacere, ha della vita un’idea edificante è così innocente da non riconoscere il male…

Pinocchio agisce e pensa come farebbe qualsiasi bambino che, si affaccia alla vita, e come tale appare: curioso, impulsivo,

ingenuo, mentitore.

In realtà tutti i bambini nascono puri come questo magnifico burattino, guardano tutte le cose con stupore e meraviglia,

posseggono una speciale sensibilità, quella sensibilità che solo un fanciullo può avere. E così che Giovanni Pascoli definì il

“fanciullino”, quel bambino che è dentro ognuno di noi da sempre e per sempre.

Quello che in tenera età confonde la sua voce con la nostra, quello che “piange e ride senza un perché di cose, che

sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione”, che guarda tutte le cose con stupore e meraviglia senza cogliere i rapporti

logici di causa-effetto, ma intuendo; il fanciullino è colui che “scopre nelle cose le relazioni più ingegnose”, che riempie ogni

oggetto della propria immaginazione e

dei propri ricordi, trasformandolo in simbolo. Senza il fanciullo noi non vedremmo tante cose a cui di solito non badiamo

neppure e non potremmo poi nemmeno pensarle e ridirle, perché per Pascoli il fanciullo è “l’Adamo che mette il nome a

tutto ciò che vede e sente”. Da questa visione , scaturisce la poetica pascoliana, che trova la sua formulazione più compiuta

e sistematica nell’ampio saggio “Il fanciullino” pubblicato nel 1897. L’idea centrale è che il poeta coincide con il fanciullo

che sopravvive al fondo di ogni uomo.

Il poeta per Pascoli è colui che riesce ancora ad udire la voce del fanciullino che vive dentro di noi, che riesce a tenerlo vivo.

Il poeta è colui che pur mantenendo una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, possiede una sensibilità

speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni. Infatti, il fanciullino

riesce a cogliere negli oggetti quel qualcosa che agli occhi di un adulto sembra futile, mentre “noi accendiamo negli occhi

un nuovo desiderare”, egli vi tiene fissa “la sua antica serena meraviglia”. Il poeta che ascolta il fanciullino coglie l’essenza

delle cose e non la loro apparenza, sa scoprire il mistero delle cose , la realtà , attraverso il sogno, l’intuizione ,

l’immaginazione. È il “fanciullino”, che ci consente di sognare ad occhi aperti, che “parla agli alberi, ai sassi, alle nuvole,

alle stelle... spinto da stupore... e curiosità”.Pascoli infatti tende ad umanizzare fiori , piante e parla con le cose proprio

come un bambino. Il poeta quindi appare come un “veggente” , dotato di una vista più acuta di quella degli uomini

comuni, colui che per un arcano privilegio può spingere lo sguardo oltre le apparenze sensibili , attingere all’ignoto,

esplorare il mistero. La poesia pertanto si configura come una forma di conoscenza prerazionale e immaginosa … estranea

da ogni finalità pratica ,etica,ideologica … una poesia “pura”.Anche se questa poesia non si propone esplicitamente

obbiettivi civili , morali , pedagogici, propagandistici, Pascoli crede che essa abbia finalità pedagogiche intrinseche , induce

alla bontà e alla solidarietà, sopendo gli odi e gli impulsi violenti. Intimamente collegato con il mito dell’infanzia è quello del

“nido familiare”, che chiudendo nel suo ambito geloso , tiepido e avvolgente, può l’impedire all’uomo di venire a contatto

con il mondo esterno, proteggendolo dalle forze aggressive, respingendole al di là dei propri confini , creare un clima di

illusoria pace e serenità al proprio interno. A loro volta infanzia e nido non possono che collocarsi sullo sfondo idillico della

compagna che , in contrapposizione alla vita cittadina nelle metropoli moderne, veri mostri capaci solo di spersonalizzare e

alienare l’uomo, di istillargli la smania del possesso e di spingerlo alla competizione e all’ aggressività ,

consente ancora un rapporto innocente e fraterno con la natura , con alberi, fiori , uccelli , garantisce una vita tranquilla ,

sgombra di angosce e paure , appagata dal poco e quindi felice. Pascoli infatti incarna l’immagine del “piccolo borghese” ,

appagato della sua mediocrità di vita , chiuso nella sfera limitata e protettiva degli affetti domestici , degli studi , del lavoro

di insegnante, nella pace raccolta del nido.Al di là del poeta pedagogo , cantore della normalità piccolo borghese , si delinea

un grandissimo poeta dell’irrazionale ,capace di raggiungere , nell’esplorazione di questa zona inedita ed affascinante della

realtà, profondità inaudite. Pascoli pertanto può essere considerato un poeta decadente, in perenne auscultazione del

mistero che è al di là delle cose più usuali, che proietta nella sua poesia le sue ossessioni profonde, portando alla luce i

“mostri”, le zone oscure e torbide della psiche. Il punto di partenza della sua poesia , che sotto l’apparente candore

fanciullesco cela una sensibilità tormentata e tipicamente decadente è la sua condizione di fragilità psicologica dovuta

all’uccisione del padre e alla perdita di quasi tutti gli altri familiari , traumi che lo spinsero a instaurare un legame morboso

con le due sorelle rimastegli e gli impedirono di realizzarsi pienamente nella vita di relazione, esterna al nido domestico.

Questi avvenimenti traumatici hanno contrassegnato la sua formazione intellettuale Per questi motivi ad altri ancora,

mistero

Pascoli assume un atteggiamento di sfiducia nei confronti del mondo e della vita: il suo universo è dominato dal e

dolore

dal . Il mistero nasce dalla convinzione che il senso della vita costituisce per l’uomo un enigma cui né la religione, né

la scienza, né la filosofia offrono una risposta, che possa fungere da orientamento, ritenuta dal poeta soddisfacente. Questo

vuoto di senso genera quel disagio e quell’angoscia in cui l’essere umano sprofonda quando non trova spiegazione. Pascoli

è un uomo che si sente solo in un universo di altri uomini che percepisce come genericamente ostili o minacciosi, e contro

questo male , il solo riparo sono le pareti domestiche: la famiglia gli appare come la sola dimensione sociale in cui siano

possibili l’amore, la solidarietà, la mutua assistenza in caso di bisogno. La famiglia come rifugio del Pascoli non è però, si

badi bene, quella in cui si diviene padri e madri e figli, ma quella in cui si è fratello e sorella, non la famiglia insomma che si

può formare incontrando un altro ma sempre e solo quella, come si usa dire, d’origine, dove vige la solidarietà fraterna. La

sua esaltazione della famiglia corrisponde allora ad una sorta di moto regressivo segnato dalla nostalgia dell’età perduta

dell’infanzia. Si è detto che in Pascoli vi è una netta sfiducia nei confronti delle possibilità conoscitive dell’uomo. Sfiducia

non significa però negazione; se è vero infatti che le forme tradizionali di conoscenza sono ritenute fallaci o inutili (scienza,

filosofia, ecc.), ne esiste però una che, se non consente una conoscenza strutturata, permetterebbe però contatti

intermittenti, saltuari, fugaci con la verità: si tratta dell’intuizione, esperienza troppo intima che coinvolge a tal punto sensi,

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