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LA NASCITA DELL’OPEC

Un classico esempio di intervento neocoloniale è dato dalle compagnie multinazionali

petrolifere operanti nei Paesi produttori, quelle che venivano definite le “Sette Sorelle”:

Standard Oil of New Jersey, successivamente trasformatasi in Esso (poi Exxon negli

1. USA) e in seguito fusa con la Mobil per diventare ExxonMobil;

Royal Dutch Shel l, Anglo-Olandese;

2. British Anglo-Persian Oil Company, successivamente trasformatasi in British Petroleum

3. (BP);

Standard Oil of New York, successivamente trasformatasi in Mobil e in seguito fusa con

4. la Exxon per diventare ExxonMobil;

Texaco, successivamente fusa con la Chevron per diventare ChevronTexaco;

5. Standard Oil of California (Socal), successivamente trasformatasi in Chevron, ora

6. ChevronTexaco;

Gulf Oil, in buona parte confluita nella Chevron.

7.

Esse poterono infatti effettuare l’estrazione e la raffinazione del petrolio grezzo in condizioni di

assoluta convenienza, concedendo solo basse percentuali (royalties) ai governi locali proprietari dei

giacimenti e determinando poi il prezzo attraverso una politica comune di produzione e di commercio.

La relazione tra multinazionali e Paesi produttori si ribaltò decisamente a partire dal 1960 quando

questi ultimi si riunirono nell’OPEC (Organization of the Petroleum Exporting Countries - Organizzazione

dei Paesi Esportatori di Petrolio).

Paesi membri

Africa

 Algeria - 1969

 Angola - 2007

 Gabon - 1975 – 1994

 Libia - 1962

 Nigeria - 1962

Medio oriente

 Iran - 1960

 Iraq - 1960

 Kuwait - 1960

 Qatar - 1961

 Arabia Saudita - 1960

 Emirati Arabi Uniti - 1967

Asia

 Indonesia - 1969

Sud America

 Venezuela - 1960

I Paesi in rosso sono i fondatori dell’OPEC

Insieme coprono circa il 40% della produzione petrolifera mondiale e il 14% di quella di gas naturale.

Nel loro sottosuolo, inoltre, è racchiuso quasi l'80% delle riserve di petrolio planetarie, un quarto lo

detiene la sola Arabia Saudita.

Scopo dell’organizzazione è la stabilità del mercato del petrolio, attraverso una regolazione

dei livelli di produzione dei Paesi membri che aiuti a mantenere l’equilibrio tra domanda e

offerta.

COME LAVORA L'OPEC 4

I Paesi membri organizzano frequenti incontri tra i propri ministri del petrolio, al fine di coordinare ed

unificare le proprie politiche petrolifere. Questi incontri, chiamati Conferenze, si tengono per lo meno due

volte all'anno. Sebbene la quota di produzione petrolifera Opec sia meno della metà di quella mondiale,

in realtà la sua percentuale sul petrolio scambiato nei mercati internazionali sale al 60%. Infatti una

grossa fetta della produzione petrolifera degli estrattori non aderenti all'Opec viene destinata al

fabbisogno interno dei vari Paesi. Scegliendo di estrarre più o meno petrolio, dunque, i Paesi Opec

possono influenzare il prezzo greggio di tutto il mondo.

La struttura del mercato del petrolio è per molti versi ideale per la creazione di un cartello

autosanzionante e duraturo. La produzione di petrolio è infatti limitata per la maggior parte ai Paesi

OPEC; esistono altri produttori, è vero, ma sono molto meno consistenti.

Essendo una risorsa energetica che non può essere creata, il mercato del greggio presenta una

totale barriera all'entrata. Il fatto che i produttori siano pochi ed abbiano quote di mercato molto

consistenti è un altro vantaggio per la stabilità del cartello, infatti facilita la possibilità di trovare accordi

tra i Paesi produttori.

Due volte all’anno, o più frequentemente, se necessario, i ministri del petrolio e dell’energia dei Paesi

membri si riuniscono in un vertice, nel quale viene deciso il livello di produzione. Gli undici membri

dell’Opec gestiscono in totale circa il 40% della produzione petrolifera mondiale, e possiedono oltre il

75% delle risorse petrolifere disponibili al mondo.

Il simbolo dell’OPEC

Il Palazzo dell’OPEC a Vienna 5

Ecco nel dettaglio la classifica dei Paesi membri per produzione giornaliera di barili di greggio:

BARILI PRODOTTI AL GIORNO

PAESE MEMBRO (X 1000)

Arabia Saudita 7,888.99

Venezuela 2,791.90

Iraq 2,593.00

Iran 2,446.00

Emirati Arabi Uniti 2,114.20

Nigeria 2,017.60

Kuwait 1,947.00

Libia 1,323.50

Indonesia 1,214.20

Algeria 776.60

Qatar 632.90 6

Questa, invece, la graduatoria dei Paesi membri in base alle riserve di greggio possedute:

RISERVE DI PETROLIO IN BARILI

PAESE MEMBRO (X 1.000.000)

Arabia Saudita 262,697

Iraq 112,500

Emirati Arabi Uniti 97,800

Kuwait 96,500

Venezuela 77,685

Libia 36,000

Nigeria 31,506

Iran 26,600

Qatar 15,204

Algeria 11,314

Indonesia 5,123 7

LA CRISI DEL PETROLIO E I NUOVI CONFLITTI

La guerra del Kippur (1973)

Dopo la guerra dei “Sei giorni” del

1967 combattuta da Siria, Egitto,

Giordania, sconfitti da Israele, il Medio

Oriente continuò a lungo a rappresentare

un pericoloso focolaio di guerra, a causa

della permanente ostilità tra Israele e i

Paesi arabi. Questi ultimi, nella

convinzione di poter riconquistare i

territori perduti durante la guerra dei Sei

giorni, il 6 ottobre 1973 gli eserciti

egiziano e siriano attaccarono a sorpresa

Israele, in quella che fu chiamata guerra

del Kippur.

Israele fu colto impreparato e questo

permise alle truppe egiziane di

attraversare il Canale di Suez e a quelle

siriane di occupare le alture del Golan.

Pochi giorni dopo, le truppe israeliane guidate da Sharon contrattaccarono.

Territori occupati da Israele dopo la guerra dei Sei giorni(1967)

L’aumento del prezzo del petrolio e l’intervento dell’ONU

Intanto, per solidarietà con Siria ed Egitto il 17 ottobre i Paesi dell’OPEC decisero di aumentare il del

70% il prezzo del petrolio e di ridurre la produzione fino al momento in cui Israele non avesse

abbandonato i territori occupati durante la guerra del 1967. L’Arabia Saudita intanto pose l’embargo

totale nei confronti degli Stati Uniti, sostenitori di Israele.

La tregua tra Egitto e Israele si raggiunse con un intervento diplomatico dell’ONU voluto sia da Stati

Uniti che da Unione Sovietica timorose della disfatta dell’Egitto da parte di Israele e condizionate dal

riscatto del petrolio.

La crisi energetica del 1973

L’aumento del prezzo del petrolio ebbe come effetto quello di aumentare il potere contrattuale dei

Paesi OPEC che si erano trovati a incidere in modo determinante sulla vita dei Paesi occidentali, i quali

dovettero affrontare una grave crisi finanziaria, resa più acuta dalla contemporanea chiusura del Canale

di Suez, danneggiato durante il conflitto: per raggiungere le fonti di approvvigionamento le navi erano

costrette a circumnavigare l’Africa, contribuendo così a moltiplicare le spese di trasporto del greggio,

oltre ad incrementare le speculazioni. 8

Le conseguenze negli Stati Uniti e nel Terzo Mondo

La crisi petrolifera chiudeva l’era dell’energia a buon mercato per i Paesi industrializzati. Questo portò

gli Stati Uniti a riprendere le estrazioni di petrolio nel sottosuolo americano, specialmente nell’Alaska,

riuscendo così a tamponare almeno in parte la difficile situazione; mentre Giappone ed Europa, essendo

totalmente dipendenti dall’estero per quanto riguarda le fonti energetiche, subirono in misura maggiore

la crisi.

Nel Terzo Mondo, se da una parte l’aumento del prezzo aveva favorito i Paesi ex coloniali produttori

di petrolio, dall’altra aveva penalizzato fortemente i Paesi che ne erano privi, che furono costretti a

indebitarsi pesantemente per importarlo. Buoni benzina statunitensi emessi a seguito della crisi

energetica. 9

L’ITALIA E IL PETROLIO: ENRICO MATTEI E LA NASCITA

DELL’ENI

Le origini

l’Eni fu istituito nel 1953, la cui guida fu affidata a Enrico Mattei, ma l’intervento dello Stato italiano nel

settore degli idrocarburi risaliva a prima della Seconda Guerra Mondiale: l’AGIP era nata nel 1926, l’Anic

nel 1936 e la SNAM nel 1941.

L’orientamento dei governi dell’immediato dopoguerra era però quello di liquidare l’AGIP, a causa

degli scarsi ritrovamenti sul territorio italiano. Invece dal 1945 ci furono ritrovamenti di metano in Pianura

Padana.

L’appoggio politico di Alcide De Gasperi fu determinante nel favorire

l’istituzione dell’Eni. All’ente spettava il monopolio nella ricerca e

produzione di idrocarburi nell’area della Pianura Padana; gli fu attribuito il

controllo di Agip, Anic e Snam e di altre società minori, configurandosi così

come un gruppo petrolifero - energetico integrato che potesse garantire lo

sfruttamento delle risorse energetiche italiane. L’Eni aveva il compito di

“promuovere ed intraprendere iniziative di interesse nazionale nei settori

degli idrocarburi e del gas naturale”. La rendita del metano, garantita dal

monopolio del gas, permise all’Eni di finanziare i propri investimenti, anche

molto ingenti. Il marchio dell’ENI

Le attività in Italia

Nonostante l’Eni fosse nato per sfruttare le risorse

petrolifere della Pianura Padana, i ritrovamenti

petroliferi sul suolo italiano (Cortemaggiore, Gela) non

si rivelarono particolarmente abbondanti. Nonostante

ciò, gli anni ’50 furono anni di grande sviluppo per:

La rete di gasdotti, che permise lo sfruttamento del

metano sia per uso residenziale che per uso

industriale;

La rete di distributori di benzina, che seguì lo

sviluppo della rete autostradale e fu coadiuvata dalle

aree di servizio e dai “motel Agip”

L’immagine dell’Agip, grazie alle campagne

pubblicitarie incentrate sul logo del “Cane a sei

zampe”, introdotto già nel 1952.

La chimica, con la costruzione del polo

petrolchimico di Ravenna, andò ad intaccare il

monopolio della Montecatini nei fertilizzanti. 10

Il salvataggio della Nuovo Pignone

Nato per operare in un settore ben specifico (ricerca,

estrazione e lavorazione degli idrocarburi), già dal 1953 l’Eni

allargò il suo campo di attività al settore metalmeccanico,

acquisendo il Nuovo Pignone di Firenze: si racconta che la

richiesta di intervenire per salvare l’azienda sia arrivata a

Mattei direttamente dall’allora sindaco di Firenze Giorgio La

Pira, per scongiurare gli oltre mille licenziamenti annunciati

dalla proprietà. L’azienda produceva compressori ed altri

macchinari industriali, e si sarebbe rivelata poi

strategicamente importante per l’Eni per la costruzione di

pompe di benzina. Il sindaco di Firenze G. La Pira

L’attività all’estero

I crescenti consumi petrolieri dell’Italia costrinsero l’Eni a rivolgersi all’estero per garantire al Paese gli

approvvigionamenti. Il fatto di arrivare per ultimo nei Paesi esportatori del Medio Oriente portò l’Eni a

concludere contratti molto favorevoli per i produttori, fatto che da una parte fruttò all’ente l’immagine di

“amico” dei Paesi in via di sviluppo e dall’altre invece suscitò la contrarietà da parte del cartello

internazionale delle Sette sorelle. In effetti fin dai suoi primi anni l’Eni puntò con decisione sull’Africa,

dove, oltre a concludere accordi per le ricerche, realizzò raffinerie e reti distributive.

Gli anni ‘60

Alla morte di Mattei la presidenza dell’ente fu affidata al suo stretto collaboratore Marcello Boldrini,

che però esercitava prevalentemente funzioni di rappresentanza; di fatto, Eugenio Cefis era il dirigente

con la maggior autorità. Dopo gli anni del frenetico sviluppo impresso da Mattei, l’Eni cercò di:

riequilibrare la propria situazione finanziaria: infatti lo sviluppo dell’ente aveva generato forti

fabbisogni finanziari che erano stati coperti principalmente da debiti, essendo del tutto insufficiente il

patrimonio, cioè il “fondo di dotazione” erogato dallo Stato, che fu effettivamente incrementato nel 1964;

migliorare i propri rapporti con le “Sette sorelle” che erano stati forti avversari di Mattei; lo stesso

Mattei, poco prima di morire, aveva stipulato un accordo con la Esso per la fornitura di greggio,

inaugurando così una fase di collaborazione e non di contrapposizione con i concorrenti.

Le stesse licenze produttive conquistate dall’Eni in Egitto ed Iran non furono particolarmente

fortunate, non garantendo produzioni di greggio particolarmente rilevanti. La strada scelta dall’Eni in

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