Anteprima
Vedrai una selezione di 5 pagine su 20
Inquietudini del primo 900 Pag. 1 Inquietudini del primo 900 Pag. 2
Anteprima di 5 pagg. su 20.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Inquietudini del primo 900 Pag. 6
Anteprima di 5 pagg. su 20.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Inquietudini del primo 900 Pag. 11
Anteprima di 5 pagg. su 20.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Inquietudini del primo 900 Pag. 16
1 su 20
Disdici quando vuoi 162x117
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Sintesi
Estratto del documento

1

Ilaria Collini

Classe 5° sez. A

Liceo Scientifico A.M.E. Agnoletti

Anno scolastico 2007\08 2

Mappa concettuale:

I primi anni del

900 in un

periodo di crisi:

con le sue

inquietudini ed

illusioni Storia:

Italiano: Inglese:

La Prima

Filosofia:

Pirandello James Joyce

guerra

Schopenhauer mondiale 3

Introduzione:

La cultura dell'Ottocento è saldamente ancorata a una concezione forte dell'io, inteso

come sostanza razionale e unitaria. Già nel corso dell'Ottocento, tuttavia, non erano

mancate autorevoli voci controcorrente, precorritrici della successiva evoluzione

culturale, che rimasero non a caso isolate, incomprese e a volte perfino sconosciute fino

all'ultimo trentennio del secolo. Una di queste è Schopenhauer, che con il libro “Il mondo

come volontà, e rappresentazione” (1818) riduce il soggetto umano a semplice

manifestazione di un principio metafisico, impersonale e del tutto irrazionale: la volontà

di vita.

Con l’avvento del nuovo secolo si ha l’esplosione della crisi. La prima meta del Novecento

è segnata da due catastrofiche guerre mondiali, dalla Rivoluzione russa dalla prima

grande crisi economica di livello mondiale, da conflitti sociali violenti che spesso

sfociarono in tentativi insurrezionali falliti o repressi, da genocidi tecnologicamente

pianificati, da regimi dittatoriali e totalitari. In questo contesto storico il mito

ottocentesco di un io razionale capace di esercitare un controllo sugli istinti attraverso la

morale e la politica, e sulle forze della natura grazie alla scienza e alla tecnica, si

frantumò definitivamente. Nel primo Novecento il tema della crisi dell'io è il motivo

fondamentale dei grandi romanzi europei: nell’Ulisse (1922) di James Joyce , l'eroe del

romanzo ottocentesco si trasforma in antieroe, l'inetto, l'escluso, l'uomo senza qualità, e,

parallelamente, viene attuata una rivoluzione nella forma romanzesca: il narratore

onnisciente viene sostituito dallo stream of consciousness (lett. "flusso di coscienza"),

dalla mera registrazione dei mutevoli stati dell'io, che disarticola in tal modo la continuità

spazio-temporale della narrazione. L’autore italiano che, almeno sul piano del contenuto,

ha forse espresso con più radicalità la dissoluzione dell'io - e con largo anticipo sugli altri

- è Luigi Pirandello. I personaggi di Pirandello sono uomini disgregati, dalla personalità

alterata, maniacale, emblemi del caos dell'esistenza. Essi scoprono l’inconsistenza del

proprio io che diviene un flusso di percezioni mutevoli, un susseguirsi di frammenti in

perenne mutamento, il frutto delle innumerevoli proiezioni del suo ambiente sociale. In

altre parole, il soggetto si frantuma in una miriade di frammenti attraverso i quali

sembra impossibile poter ricostruire una realtà. 4

Luigi Pirandello (1867 – 1936)

Il senso di inquietudine e di smarrimento, di incertezza che caratterizza la letteratura

italiana del Primo Novecento, trova la sua espressione artistica , nella vasta produzione

narrativa e drammatica di Luigi Pirandello, nato ad Agrigento nel 1867 compì gli studi

prima a Roma poi a Bonn dove si laureò con una tesi in linguistica. Dopo il tracollo del

patrimonio paterno insegnò a Roma presso l’istituto magistrale. La vita familiare fu

segnata dal dolore per le condizioni mentali della moglie. Il successo gli arrivò improvviso

5

e clamoroso intorno al 1920 e si consolidò fino a procurarsi una fama mondiale che

culminò con il conferimento del premio Nobel per la letteratura nel 1934. Morì a Roma

nel 1936.

L’opera pirandelliana mira a rappresentare la complessità del dramma umano nel suo

ritmo biologico ed esistenziale come si evince dalle numerose Novelle (confluite nella

raccolta “Novelle per un anno”) e da “L’esclusa”. Quest’ ultima segna, in modo

particolare, il distacco dello scrittore dal Verismo alla cui oggettività sostituisce una

visione personale della vita, in quanto ritiene che nulla esiste, di vero e di oggettivo al di

fuori dell’animo umano. “L’esclusa”

Marta Ajala, protagonista del primo romanzo , è una donna che viene

cacciata di casa perché ritenuta adultera e poi riammessa in famiglia quando

effettivamente, per varie circostanze, commette adulterio. E proprio in questo romanzo si

rivelano i temi di fondo di tutta la produzione pirandelliana:

1) contrasto tra apparenza e realtà;

2) lo sfaccettarsi della verità in tante verità quanti sono coloro che presumono di

possederla;

3) l’assurdità della condizione dell’uomo e della sua catalogazione (adultero, innocente,

ladro, jettatore (il personaggio della “Patente”)), in una forma cristallizzata che soffoca la

vita. Di questa assurdità che deriva sia dal caso che regna nelle vicende umane, sia dalle

convenzioni sociali, che sono il prodotto della storia, Mattia Pascal è un esemplare

testimone.

Il fu Mattia Pascal racconta la strana vicenda di un uomo Mattia Pascal, che

allontanatosi da casa per liberarsi da un matrimonio fallimentare e dalla vita asfissiante

di un piccolo centro provinciale, apprende per caso dal giornale la notizia della propria

morte. La moglie l’ha riconosciuto nel cadavere di un annegato trovato nelle acque di un

canale. Mattia Pascal si ritrova così inaspettatamente liberato dalla “forma” in cui la vita

lo aveva cristallizzato e decide di costruirsi un’ esistenza diversa e migliore. Ma dovrà ben

presto accorgersi che la società non gli concede questa libertà. A Roma, dove si stabilirà

sotto il nome di Adriano Meis gli ingranaggi sociali lo riprendono, si rende conto di non

poter vivere senza un’ identità anagrafica , non può affittare una casa, non può sposare

la donna che ama, perciò si rassegna a tornare al paese col proposito di rientrare nella

sua “parte” originaria. Ma neanche questo gli è ormai concesso, la moglie si è ormai

risposata e ha avuto un figlio e per tutti egli è ormai un estraneo. Dopo un momento

iniziale di rabbia egli rinuncerà a presentare un’ azione legale, rinuncerà ad esistere,

accetterà di restare per tutti il “fu Mattia Pascal”.

Il brano “ Lo strappo nel cielo di carta” tratto dal capitolo XII del “Fu Mattia Pascal”

evidenzia motivi e temi che poi saranno propri delle successive opere dello scrittore.

Il protagonista, nella nuova identità di Adriano Meis, a Roma vive in una pensione presso

la famiglia di Anselmo Paleari , un funzionario del ministero della Pubblica istruzione

mandato in pensione per le sue stranezze, che ama intrattenere il suo ospite enunciando

bizzarre teorie filosofiche.

- La tragedia d'Oreste in un teatrino di marionette! - venne ad annunziarmi il signor

Anselmo Paleari. - Marionette automatiche, di nuova invenzione. Stasera, alle ore otto e

mezzo, in via dei Prefetti, numero cinquantaquattro. Sarebbe da andarci, signor Meis.

- La tragedia d'Oreste?

D'après Sophocle,

- Già! dice il manifestino. Sarà l'Elettra. Ora senta un pò, che

bizzarria mi viene in mente! Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta

che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si

facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.

- Non saprei, - risposi, stringendomi nelle spalle.

- Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel 6

buco nel cielo.

- E perché?

- Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl'impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli

con smaniosa passione , ma gli occhi , sul punto, gli andrebbero lì a quello strappo,

donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le

braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la

tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta.

E se ne andò, ciabattando.

Dalle vette nuvolose delle sue astrazioni il signor Anselmo lasciava spesso precipitar

così, come valanghe, i suoi pensieri. La ragione, il nesso, l'opportunità di essi rimanevano

lassù, tra le nuvole, di modo ché difficilmente a chi lo ascoltava riusciva di capirci

qualche cosa.

L'immagine della marionetta d'Oreste sconcertata dal buco nel cielo mi rimase

tuttavia un pezzo nella mente. A un certo punto: «Beate le marionette,» sospirai, «su le

cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né

ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente e prender

gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza

soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è

un tetto proporzionato.”

Il dialogo tra Anselmo Paleari e Mattia-Adriano, inserito quasi di passaggio nel corso del

romanzo , ruota attorno a tre immagini che hanno un evidente significato metaforico:

1) il teatrino di “ marionette automatiche” che richiama la commedia della vita, nel

corso della quale gli esseri umani recitano inconsapevolmente una parte che gli è

stata assegnata dal caso o dal destino.

2) Lo “strappo nel cielo di carta” collegato da Paleari alla differenza fra tragedia

antica e moderna: la metafora allude al fatto che i punti saldi di riferimento

religiosi, ideali, morali che caratterizzavano il mondo antico sono caduti.

3) Per questo l’uomo moderno non può più assomigliare a un eroe come Oreste,

sostenuto da un saldo sistema di certezze nel componimento della sua vendetta,

ma ad Amleto , individuo problematico e contraddittorio, pieno di dubbi,

inquietudini e oscillazioni.

L’assenza di certezze di fronte ad una realtà in continuo mutamento è alla base di

“Uno, nessuno e centomila” il romanzo di scomposizione della vita. Qui tutta la

narrazione mette in luce l’autodistruzione di una personalità consapevole della propria

incapacità di chiudersi in una forma coerente e autentica, della falsità ineluttabile dei

rapporti con altri e con se stessi. La crisi di Vitangelo Moscarda inizia quando sua moglie

gli fa osservare che il suo naso pende verso destra, cosa a cui non aveva mai fatto caso.

“ “Che fai?” mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo

specchio.

“Niente”, le risposi, “mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo,

avverto un certo dolorino.”

Mia moglie sorrise e disse:

“Credevo ti guardassi da che parte ti pende.”

Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato la coda:

“Mi pende? A me? Il naso?”

E mia moglie, placidamente:

“Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.” ”

La prima reazione del protagonista è il “proposito disperato” di conoscere quell’ estraneo

che è in lui, credendo in maniera sbagliata che esso sia solo uno per tutti. Il dramma si 7

complica quando scopre di essere centomila non solo per gli altri, ma anche per se

stesso. Inizia così per lui la crisi della sua personalità e del principio d’identità. Egli cerca

di distruggere le false immagini di sé che sono negli altri e in lui stesso, ma non potrà

farlo se non estraniandosi dal contesto sociale. Moscarda alla fine rinuncia all’ambizione

di darsi una forma per lasciare che la vita viva in lui, senza la volontà di costruirsi, senza

più sentimenti e memoria. Solo ora è felice, avendo rinunciato ad ogni pretesa d’identità,

non riconoscendosi più nel proprio nome e vivendo completamente fuori di sé, vagabondo

nel flusso della vita universale come un albero, una nuvola, il vento. E solo così egli si

salva.

Da tutto ciò si evince che l’uomo è sempre un vinto, la cosiddetta personalità è un puro

sogno, perché l’Io, costretto ad entrare in continuo rapporto con il mondo esteriore, non

può mai definirsi, nella sua completezza, ma solo relativamente al singolo rapporto.

L’uomo è uno, nel momento del singolo rapporto; è nessuno, quando si distruggerà per

determinarsi in un altro rapporto; è centomila per questo suo farsi continuo; e se manca

il rapporto con l’altro, l’uomo continua a costruirsi lo stesso, alimentando le illusioni,

perché bisognoso di illudersi, per non vedersi quale esso è.

Dettagli
20 pagine
1914 download