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La Pallavolo è un gioco che può essere definito un
“combattimento” ritualizzato perché, per quanto ci sia la palla,
strumento che funge da intermediario tra l’attacco di una squadra e
quella dell’altra, inevitabilmente è uno sport che oppone due
gruppi di persone.
E’ il gioco che lì oppone in maniera un po’ particolare e proficua. 4
Innanzitutto il campo è suddiviso da una rete e questo ha
un’importanza fondamentale perché suddivide territorialmente due
squadre evitando il corpo a corpo, rendendo la componente
aggressiva del gioco meno rilevante di altri giochi come ad
esempio il calcio, il rugby ecc.
Altra peculiarità di questo sport è l’ intercambiabilità dei ruoli che
è un altro fattore che riduce l’aggressività permettendo ad ognuno
di cimentarsi in tutti i ruoli.
Oltre a questi fattori bisogna anche considerare l’importanza della
palla come strumento.
“La palla” è uno dei giocattoli che più interessa ed attira i bambini
grazie alla sua forma che stimola il contatto tattile e dà luogo ad
una serie di spostamenti che ci danno modo di sperimentare una
gamma di risposte motorie diverse.
Una ricerca condotta presso l’istituto di educazione Fisica ha
messo a confronto per la dimensione frustrazione-aggressività
atleti di diverse discipline i pallavolisti sembrano avere in genere
una bassa aggressività e frustrazione inoltre sembrano tenere a
risolvere in prima persona le situazioni problematiche che si
presentano.
Come nel gioco del calcio e del basket il gioco della pallavolo
giochi sportivi
rientra nei cosi detti , che sono caratterizzati
dall’alternanza tra attacco e difesa nelle differenti fasi e momenti
di gioco.
All’interno di questo grande insieme, poi, la caratteristica della
collettivo di squadra,
pallavolo è quella di essere un gioco
dove ogni giocatore partecipa simultaneamente,il gioco, poi, è
determinato dall’avversario.
Gli aspetti psicologici pertanto, influenzano i pallavolisti in due
modi: il primo, che riguarda le caratteristiche intrinseche del gioco
stesso. Il secondo invece è collegato direttamente alle
caratteristiche di gioco dell’intera squadra, e quindi di tutti i
compagni! 5
Infatti l’atleta nel corso del gioco deve attivare dei processi
decisionali continui che coinvolgono due aspetti caratterizzanti. La
presenza di alternative e di azione e la prevedibilità delle loro
conseguenze, il tutto con l’obiettivo di “ costringere l’avversario a
dover decidere più velocemente e di indirizzare così il gioco verso
un corso di eventi prevedibili.
L’anticipazione delle sequenze di gioco, soprattutto rispetto alle
diventa di
scelte dell’avversario in attacco e in difesa,
assoluta importanza.
Tutto ciò implica una grossa capacità attentiva ed una attività
decisionale rapidissima.
Questa capacità di programmare risposte in tempi brevi è stata
oggetto di varie ricerche. I pallavolisti risultano avere tempi di
reazione ( semplici e di scelta) particolarmente brevi rispetto alla
media ottenuta da atleti di altre discipline.
Tutto ciò comunque determina l’esistenza di un gruppo, e dal
punto di vista sociologico il singolo atleta non può raggiungere gli
obiettivi che si è prefisso senza il concorso degli altri compagni di
squadra.
Dal punto di vista psicologico, perché un gruppo esista, è
atleta
necessaria una condizione in più, ossia che un
percepisca se stesso e gli altri per perseguire scopi
interdipendenti.
La conseguenza di far parte di un gruppo è, dunque, la sua
“esistenza in vita”
dichiarazione di ed il motore del suo
sviluppo. 6
Un altro sport dove il gruppo è importante è quello del calcio.
A quanto pare anche la nostra letteratura non e stata esente dalla
passione del “pallone”.Infatti, sebbene non si possa affermare che
gli intellettuali abbiano attinto a piene mani dallo sport e dal calcio
in particolare, sono diverse le eccezioni di importanti autori che
hanno cercato di narrare il mondo di emozioni che permeano
questo gioco, un mondo spesso parallelo a quello reale, tanto da
fungere da metafora della vita.
Il primo caso rilevante in ordine cronologico è sicuramente quello
di Giacomo Leopardi, con la sua poesia “ A un vincitore nel
pallone”, del novembre 1821, che rientra nel ciclo delle cosiddette
Canzoni civili e patriottiche che esortano alla riscossa nazionale.
Vengono qui a delinearsi un “pessimismo storico” ed una visione
radicalmente negativa della situazione politica contemporanea al
poeta.
Leopardi, in questa canzone in cinque strofe, si riferisce ad un ben
preciso personaggio, il giovane Carlo Didimi di Treia, campione
famoso nel gioco del pallone, successivamente patriota e
7
carbonaro, acclamandolo come campione, elogiandolo per
l’energia espressa nell’azione sportiva. In particolare, “ A un
vincitore nel pallone” esalta l’agonismo e il rischio come unici
rimedi ad un’esistenza svuotata di qualsiasi valore.
Una visione della vita, che va presa come un gioco, come il calcio
quindi, e come tale va giocata, e non è necessario stare attenti allo
scopo dell’azione, purchè azione sia : “ nostra vita a che vai?
Solo a spregiarle”. E allora Leopardi, oltre ad elogiare il ragazzo,
lo incita a continuare così e, anzi, fare ancora di più. Che sia vita
attiva e anche rischiosa, che offra la possibilità di salvarsi
dall’infelicità e dalla noia cercando di passare dall’ignavia
all’azione.
Dai versi di questa poesia emerge il fatto che per Leopardi lo sport
è un’attività che comporta impegno e fatica: la “sudata virtude” (v.
4) contrapposta al “femminile ozio” (v.3). E fin qui , non ci
sembra di leggere nulla che un qualsiasi sportivo, anche dilettante,
potrebbe dirci con una cognizione di causa anche superiore a
quella del poeta-filosofo marchigiano. Ma, appunto, non ci sembra
nulla di notevole, perché in realtà concetti del genere, espressi da
Giacomo Leopardi, hanno un significato molto più profondo ed
articolato di quanto non appaia a prima vista. Perché alla fin fine
qualsiasi sport altro non è che un gioco, e cioè un’attività il cui
scopo non è – non dovrebbe essere – il raggiungimento di un
obiettivo pratico come, per esempio, un posto di lavoro. Che senso
ha, dunque, impegnarsi ed affaticarsi per un gioco, il quale anzi
dovrebbe essere proprio un’evasione dall’impegno e dalla fatica?
La risposta a questo interrogativo Leopardi la offre ai versi 26-
39, dove dopo aver rievocato la battaglia di Maratona si lancia in
una serie di domande retoriche (“Vano dirai quel che
disserra e scote / della virtù nativa le riposte faville?
e che del fioco / spirto vital negli egri petti avviva / il
caduco fervor?”, vv. 26-31) e conclude: “A noi di lieti
8
/ inganni e di felici ombre soccorse / natura stessa: e
là dove l’insano / costume ai forti errori esca non
porse, / negli ozi oscuri e nudi / mutò la gente i
Il che suona come un: non può
gloriosi studi” (vv. 34-39).
dirsi inutile quell’occupazione (nel caso specifico: lo sport) che,
pur non avendo un vero e proprio scopo pratico, ci consente di
alleggerire, anche solo per un breve lasso di tempo, il peso
dell’esistenza e di sentire nuovamente il piacere di essere al
mondo. Tutte sensazioni, queste, che l’ozio non può assicurare,
visto che in esso noi percepiamo con più chiarezza la sostanziale
vanità di tutte le cose.
Nello sport, infatti, ad essere coinvolti sono corpo e mente, forza
fisica e volontà, entro uno schema in cui siamo chiamati a dare, sia
pur in maniera “rilassata”, una prova di ciò che siamo e del nostro
valore.
A UN VINCITORE NEL PALLONE
Di gloria il viso e la gioconda voce,
Garzon bennato, apprendi,
E quanto al femminile ozio sovrasti 9
La sudata virtude.Attendi attendi,
Magnanimo campion (s’alla veloce
Piena degli anni il tuo valor contrasti
La spoglia di tuo nome),attendi e il core
Movi ad alto Arena e il circo, e te fremendo appella
Ai fatti illustri il popolar favore;
Te rigoglioso dell’età novella
Oggi la patria cara
Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona
Non colorò la destra
Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
Che stupido mirò l’ardua palestra,
Né la palma beata e la corona
D’emula brama il punse.E nell’Alfeo
Forse le chiome polverose e i fianchi
Delle cavalle vincitrici asterse
Tal che le greche insegne e il greco acciaro
Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi
Nelle pallide torme; onde sonaro
Di sconsolato grido 10
L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
Della virtù nativa
Le risposte faville? E che del fioco
Spirito vital negli egri petti avviva
Il caduco fervor? Le meste rote
Da poi che Febo istiga, altro che gioco
Son l’opre de’ mortali? Ed è men vano
Della menzogna il vero?A noi di lieti
Inganni e di felici ombre soccorse
Natura stessa: e là dove l’insano
Costume ai forti errori esca non porse,
Negli ozi oscuri e nudi
Mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch’alle ruine
Delle italiche moli
Insultino gli armenti, e che l’aratro
Sentano i sette colli; e pochi Soli 11
Forse fien volti, e le città latine
Abiterà la cauta volpe, e l’altro
Bosco mormorerà fra le altre mura;
Se la funesta delle patrie cose
Obblivion dalle perverse menti
Non isgombrano i fati, e la matura
Clade non torce dalle abbiette genti
Il ciel fatto cortese
Dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia,
Nostra colpa e fatal.Passò stagione;
Che nullo di tal madre oggi s’onora:
Ma per te stesso al polo ergi la mente.
Nostra vita a che val?solo a spregiarla:
Beata allor che ne’ perigli avvolta,
Se stessa obblia, né delle putri e lente 12
Ore il danno misura e il flutto ascolta;
Beata allor che il piede
Spinto al varco leteo, più grata riede.
Questo concetto viene ripreso anche da Giovenale nella Satira X
“ Mens sana in corpore sano”
( vv.354-366)
La locuzione latina Mens sana in corpore sano( mente sana in un
corpo sano) appartiene a Giovenale ( satire, x, 356).
La satira decima di Giovenale è tutta volta a mostrare la vanità dei
valori o dei beni 13
( come ricchezza, fama, e onore) che gli uomini cercano, con ogni
mezzo, di ottenere.
Solo il sapiente vero si rende conto che tutto ciò che è effimero è
anche dannoso.
Nell’intenzione del poeta, l’uomo dovrebbe aspirare a due beni
soltanto: la sanità dell’anima e la salute del corpo, queste
dovrebbero essere le uniche richieste da rivolgere alla divinità che
più degli esseri umani sa di cosa ha bisogno l’uomo.
Comunque alcuni studiosi affermano che il motto mens sana in
corpore sano, è in realtà una confutazione del senso che gli si
attribuisce attualmente: Giovenale non afferma, infatti, che in un
corpo sano c’è una mente sana, ma che bisogna pregare gli Dei
affinchè concedano l’uno e l’altra.
Giovenale Satira X (vv. 354-366)
“Allora, se qualcosa vuoi chiedere ai numi,
offrendo nei sacrari viscere e carni sacre
di un candido porco”
“devi pregarli che ti diano mente sana in un
corpo sano.”
“Chiedi un animo forte, che non tema la
morte,”
“che ponga la lunghezza della vita come
l'ultimo dono di natura,”
“che sappia tollerare qualunque fatica,”
“che ignori collera, non abbia desideri,
e preferisca le dure fatiche di Ercole, i
suoi travagli, agli amori lascivi, alle cene
e alle piume di Sardanapalo.”
“Ti ho indicato quei beni che tu stesso puoi
procurarti; un sentiero soltanto si apre a
una vita tranquilla: quello della virtú.”
“Se vige la saggezza, non avrai altro
nume. Noi, solo noi, Fortuna, t'abbiamo
resa dea, e collocata in cielo.” 14
Nell’uso moderno si attribuisce invece alla frase un senso diverso,
intendendo che, per avere sane le facoltà dell’anima, bisogna
avere sane anche quelle del corpo.
L'importanza del collegamento tra benessere fisico e mentale fu
anche espressa da Seneca,
soprattutto nelle "Epistulae Morales ad Lucilium".
Le sue lettere sono uno strumento di riflessione e di crescita
morale; nella raccolta infatti è
espressa tutta la filosofia stoica in cui crede lo scrittore. Pur non