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Sintesi
italiano-leopardi a un vincitore nel pallone.educazione fisica la pallavolo. latino seneca e giovenale.filosofia locke l'educazione del gentleman.storia lo sport durante il fascismo.inglese oscar wilde sport as a moral value.pedagogia-la psico-pedagogia dello sport nell'età evolutiva.matematica-la funzione continua.
Estratto del documento

La Pallavolo è un gioco che può essere definito un

“combattimento” ritualizzato perché, per quanto ci sia la palla,

strumento che funge da intermediario tra l’attacco di una squadra e

quella dell’altra, inevitabilmente è uno sport che oppone due

gruppi di persone.

E’ il gioco che lì oppone in maniera un po’ particolare e proficua. 4

Innanzitutto il campo è suddiviso da una rete e questo ha

un’importanza fondamentale perché suddivide territorialmente due

squadre evitando il corpo a corpo, rendendo la componente

aggressiva del gioco meno rilevante di altri giochi come ad

esempio il calcio, il rugby ecc.

Altra peculiarità di questo sport è l’ intercambiabilità dei ruoli che

è un altro fattore che riduce l’aggressività permettendo ad ognuno

di cimentarsi in tutti i ruoli.

Oltre a questi fattori bisogna anche considerare l’importanza della

palla come strumento.

“La palla” è uno dei giocattoli che più interessa ed attira i bambini

grazie alla sua forma che stimola il contatto tattile e dà luogo ad

una serie di spostamenti che ci danno modo di sperimentare una

gamma di risposte motorie diverse.

Una ricerca condotta presso l’istituto di educazione Fisica ha

messo a confronto per la dimensione frustrazione-aggressività

atleti di diverse discipline i pallavolisti sembrano avere in genere

una bassa aggressività e frustrazione inoltre sembrano tenere a

risolvere in prima persona le situazioni problematiche che si

presentano.

Come nel gioco del calcio e del basket il gioco della pallavolo

giochi sportivi

rientra nei cosi detti , che sono caratterizzati

dall’alternanza tra attacco e difesa nelle differenti fasi e momenti

di gioco.

All’interno di questo grande insieme, poi, la caratteristica della

collettivo di squadra,

pallavolo è quella di essere un gioco

dove ogni giocatore partecipa simultaneamente,il gioco, poi, è

determinato dall’avversario.

Gli aspetti psicologici pertanto, influenzano i pallavolisti in due

modi: il primo, che riguarda le caratteristiche intrinseche del gioco

stesso. Il secondo invece è collegato direttamente alle

caratteristiche di gioco dell’intera squadra, e quindi di tutti i

compagni! 5

Infatti l’atleta nel corso del gioco deve attivare dei processi

decisionali continui che coinvolgono due aspetti caratterizzanti. La

presenza di alternative e di azione e la prevedibilità delle loro

conseguenze, il tutto con l’obiettivo di “ costringere l’avversario a

dover decidere più velocemente e di indirizzare così il gioco verso

un corso di eventi prevedibili.

L’anticipazione delle sequenze di gioco, soprattutto rispetto alle

diventa di

scelte dell’avversario in attacco e in difesa,

assoluta importanza.

Tutto ciò implica una grossa capacità attentiva ed una attività

decisionale rapidissima.

Questa capacità di programmare risposte in tempi brevi è stata

oggetto di varie ricerche. I pallavolisti risultano avere tempi di

reazione ( semplici e di scelta) particolarmente brevi rispetto alla

media ottenuta da atleti di altre discipline.

Tutto ciò comunque determina l’esistenza di un gruppo, e dal

punto di vista sociologico il singolo atleta non può raggiungere gli

obiettivi che si è prefisso senza il concorso degli altri compagni di

squadra.

Dal punto di vista psicologico, perché un gruppo esista, è

atleta

necessaria una condizione in più, ossia che un

percepisca se stesso e gli altri per perseguire scopi

interdipendenti.

La conseguenza di far parte di un gruppo è, dunque, la sua

“esistenza in vita”

dichiarazione di ed il motore del suo

sviluppo. 6

Un altro sport dove il gruppo è importante è quello del calcio.

A quanto pare anche la nostra letteratura non e stata esente dalla

passione del “pallone”.Infatti, sebbene non si possa affermare che

gli intellettuali abbiano attinto a piene mani dallo sport e dal calcio

in particolare, sono diverse le eccezioni di importanti autori che

hanno cercato di narrare il mondo di emozioni che permeano

questo gioco, un mondo spesso parallelo a quello reale, tanto da

fungere da metafora della vita.

Il primo caso rilevante in ordine cronologico è sicuramente quello

di Giacomo Leopardi, con la sua poesia “ A un vincitore nel

pallone”, del novembre 1821, che rientra nel ciclo delle cosiddette

Canzoni civili e patriottiche che esortano alla riscossa nazionale.

Vengono qui a delinearsi un “pessimismo storico” ed una visione

radicalmente negativa della situazione politica contemporanea al

poeta.

Leopardi, in questa canzone in cinque strofe, si riferisce ad un ben

preciso personaggio, il giovane Carlo Didimi di Treia, campione

famoso nel gioco del pallone, successivamente patriota e

7

carbonaro, acclamandolo come campione, elogiandolo per

l’energia espressa nell’azione sportiva. In particolare, “ A un

vincitore nel pallone” esalta l’agonismo e il rischio come unici

rimedi ad un’esistenza svuotata di qualsiasi valore.

Una visione della vita, che va presa come un gioco, come il calcio

quindi, e come tale va giocata, e non è necessario stare attenti allo

scopo dell’azione, purchè azione sia : “ nostra vita a che vai?

Solo a spregiarle”. E allora Leopardi, oltre ad elogiare il ragazzo,

lo incita a continuare così e, anzi, fare ancora di più. Che sia vita

attiva e anche rischiosa, che offra la possibilità di salvarsi

dall’infelicità e dalla noia cercando di passare dall’ignavia

all’azione.

Dai versi di questa poesia emerge il fatto che per Leopardi lo sport

è un’attività che comporta impegno e fatica: la “sudata virtude” (v.

4) contrapposta al “femminile ozio” (v.3). E fin qui , non ci

sembra di leggere nulla che un qualsiasi sportivo, anche dilettante,

potrebbe dirci con una cognizione di causa anche superiore a

quella del poeta-filosofo marchigiano. Ma, appunto, non ci sembra

nulla di notevole, perché in realtà concetti del genere, espressi da

Giacomo Leopardi, hanno un significato molto più profondo ed

articolato di quanto non appaia a prima vista. Perché alla fin fine

qualsiasi sport altro non è che un gioco, e cioè un’attività il cui

scopo non è – non dovrebbe essere – il raggiungimento di un

obiettivo pratico come, per esempio, un posto di lavoro. Che senso

ha, dunque, impegnarsi ed affaticarsi per un gioco, il quale anzi

dovrebbe essere proprio un’evasione dall’impegno e dalla fatica?

La risposta a questo interrogativo Leopardi la offre ai versi 26-

39, dove dopo aver rievocato la battaglia di Maratona si lancia in

una serie di domande retoriche (“Vano dirai quel che

disserra e scote / della virtù nativa le riposte faville?

e che del fioco / spirto vital negli egri petti avviva / il

caduco fervor?”, vv. 26-31) e conclude: “A noi di lieti

8

/ inganni e di felici ombre soccorse / natura stessa: e

là dove l’insano / costume ai forti errori esca non

porse, / negli ozi oscuri e nudi / mutò la gente i

Il che suona come un: non può

gloriosi studi” (vv. 34-39).

dirsi inutile quell’occupazione (nel caso specifico: lo sport) che,

pur non avendo un vero e proprio scopo pratico, ci consente di

alleggerire, anche solo per un breve lasso di tempo, il peso

dell’esistenza e di sentire nuovamente il piacere di essere al

mondo. Tutte sensazioni, queste, che l’ozio non può assicurare,

visto che in esso noi percepiamo con più chiarezza la sostanziale

vanità di tutte le cose.

Nello sport, infatti, ad essere coinvolti sono corpo e mente, forza

fisica e volontà, entro uno schema in cui siamo chiamati a dare, sia

pur in maniera “rilassata”, una prova di ciò che siamo e del nostro

valore.

A UN VINCITORE NEL PALLONE

Di gloria il viso e la gioconda voce,

Garzon bennato, apprendi,

E quanto al femminile ozio sovrasti 9

La sudata virtude.Attendi attendi,

Magnanimo campion (s’alla veloce

Piena degli anni il tuo valor contrasti

La spoglia di tuo nome),attendi e il core

Movi ad alto Arena e il circo, e te fremendo appella

Ai fatti illustri il popolar favore;

Te rigoglioso dell’età novella

Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara.

Del barbarico sangue in Maratona

Non colorò la destra

Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,

Che stupido mirò l’ardua palestra,

Né la palma beata e la corona

D’emula brama il punse.E nell’Alfeo

Forse le chiome polverose e i fianchi

Delle cavalle vincitrici asterse

Tal che le greche insegne e il greco acciaro

Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi

Nelle pallide torme; onde sonaro

Di sconsolato grido 10

L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido.

Vano dirai quel che disserra e scote

Della virtù nativa

Le risposte faville? E che del fioco

Spirito vital negli egri petti avviva

Il caduco fervor? Le meste rote

Da poi che Febo istiga, altro che gioco

Son l’opre de’ mortali? Ed è men vano

Della menzogna il vero?A noi di lieti

Inganni e di felici ombre soccorse

Natura stessa: e là dove l’insano

Costume ai forti errori esca non porse,

Negli ozi oscuri e nudi

Mutò la gente i gloriosi studi.

Tempo forse verrà ch’alle ruine

Delle italiche moli

Insultino gli armenti, e che l’aratro

Sentano i sette colli; e pochi Soli 11

Forse fien volti, e le città latine

Abiterà la cauta volpe, e l’altro

Bosco mormorerà fra le altre mura;

Se la funesta delle patrie cose

Obblivion dalle perverse menti

Non isgombrano i fati, e la matura

Clade non torce dalle abbiette genti

Il ciel fatto cortese

Dal rimembrar delle passate imprese.

Alla patria infelice, o buon garzone,

Sopravviver ti doglia.

Chiaro per lei stato saresti allora

Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia,

Nostra colpa e fatal.Passò stagione;

Che nullo di tal madre oggi s’onora:

Ma per te stesso al polo ergi la mente.

Nostra vita a che val?solo a spregiarla:

Beata allor che ne’ perigli avvolta,

Se stessa obblia, né delle putri e lente 12

Ore il danno misura e il flutto ascolta;

Beata allor che il piede

Spinto al varco leteo, più grata riede.

Questo concetto viene ripreso anche da Giovenale nella Satira X

“ Mens sana in corpore sano”

( vv.354-366)

La locuzione latina Mens sana in corpore sano( mente sana in un

corpo sano) appartiene a Giovenale ( satire, x, 356).

La satira decima di Giovenale è tutta volta a mostrare la vanità dei

valori o dei beni 13

( come ricchezza, fama, e onore) che gli uomini cercano, con ogni

mezzo, di ottenere.

Solo il sapiente vero si rende conto che tutto ciò che è effimero è

anche dannoso.

Nell’intenzione del poeta, l’uomo dovrebbe aspirare a due beni

soltanto: la sanità dell’anima e la salute del corpo, queste

dovrebbero essere le uniche richieste da rivolgere alla divinità che

più degli esseri umani sa di cosa ha bisogno l’uomo.

Comunque alcuni studiosi affermano che il motto mens sana in

corpore sano, è in realtà una confutazione del senso che gli si

attribuisce attualmente: Giovenale non afferma, infatti, che in un

corpo sano c’è una mente sana, ma che bisogna pregare gli Dei

affinchè concedano l’uno e l’altra.

Giovenale Satira X (vv. 354-366)

“Allora, se qualcosa vuoi chiedere ai numi,

offrendo nei sacrari viscere e carni sacre

di un candido porco”

“devi pregarli che ti diano mente sana in un

corpo sano.”

“Chiedi un animo forte, che non tema la

morte,”

“che ponga la lunghezza della vita come

l'ultimo dono di natura,”

“che sappia tollerare qualunque fatica,”

“che ignori collera, non abbia desideri,

e preferisca le dure fatiche di Ercole, i

suoi travagli, agli amori lascivi, alle cene

e alle piume di Sardanapalo.”

“Ti ho indicato quei beni che tu stesso puoi

procurarti; un sentiero soltanto si apre a

una vita tranquilla: quello della virtú.”

“Se vige la saggezza, non avrai altro

nume. Noi, solo noi, Fortuna, t'abbiamo

resa dea, e collocata in cielo.” 14

Nell’uso moderno si attribuisce invece alla frase un senso diverso,

intendendo che, per avere sane le facoltà dell’anima, bisogna

avere sane anche quelle del corpo.

L'importanza del collegamento tra benessere fisico e mentale fu

anche espressa da Seneca,

soprattutto nelle "Epistulae Morales ad Lucilium".

Le sue lettere sono uno strumento di riflessione e di crescita

morale; nella raccolta infatti è

espressa tutta la filosofia stoica in cui crede lo scrittore. Pur non

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