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Segue un video-documentario sulla storia della mafia.
Etimologia
Il termine mafia ha diverse possibili origini etimologiche, più o meno realistiche:
Mā Hias
-Derivazione dalla parola araba , “spacconeria” in relazione con la spavalderia
mostrata dagli appartenenti a questa organizzazione.
maffia
-Derivazione dalla parola dialettale toscana che significa “miseria” .
“Morte Ai Francesi
-Derivazione dai Vespri Siciliani ed adottato come sigla
Indipendenza Anela” .
-Nel 1987 lo storico Ch. William Heckethorn fa un'altra ricostruzione connessa
all'andata in Sicilia di Mazzini alla vigilia dell'Unità d'Italia. Egli considera il termine
“Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti”
Mafia come acronimo di . Tale appello
sarebbe stato rivolto alle organizzazioni segrete esistenti nell'isola.
“Mother and Father Italian Association”
-Derivazione dall'acronimo americano creato
per spiegare il termine Mafia.
Organizzazione
Chi meglio di Giovanni Falcone poteva conoscere come fosse organizzata la Mafia.
Nel suo saggio “Cose di Cosa Nostra” spiega infatti, come è organizzata una cosca
mafiosa. Ecco cosa scrive:
“La cellula base di Cosa Nostra è la <<famiglia>> con i suoi valori tradizionali: onore,
rispetto dei vincoli di sangue, fedeltà, amicizia... Può contare anche duecento o trecento
membri, ma la media è di circa cinquanta. Ogni famiglia controlla un suo territorio dove
niente può avvenire senza il consenso preventivo del capo. Alla base vi è l'uomo d'onore,
o il soldato, che ha un suo peso nella famiglia indipendentemente dalla carica che vi può
ricoprire. I soldati eleggono il capo, che chiamano rappresentante, in quanto tutela gli
interessi della famiglia nei confronti di Cosa Nostra. L'elezione si svolge a scrutinio
segreto ed è preceduta da una serie di sondaggi e contatti. Quasi sempre l'elezione
conferma all'unanimità il candidato prescelto. Una volta eletto, questi nomina un vice e a
volte anche uno o più consiglieri. Tra capo e soldato si situa il capo decina. Tutto ciò
pone in rilievo quanto gerarchizzata sia la mafia. Altro livello gerarchico: i capi delle
diverse famiglie di una medesima provincia nominano il capo di tutta la provincia, detto
rappresentante. Questo vale per tutte le province con l'eccezione di Palermo, dove più
famiglie contigue su uno stesso territorio sono controllate da un “capo mandamento”, una
specie di capo zona, che è sempre membro della famosa Commissione o Cupola
provinciale. A sua volta la Cupola nomina un rappresentante alla Commissione regionale,
composta da tutti i responsabili provinciali di Cosa Nostra: è questo il vero e proprio
organi di governo dell'organizzazione. Gli uomini d'onore la chiamano anche “la Regione”,
con riferimento all'unità amministrativa. La Regione emana i “decreti”, vota le “leggi”,
risolve i conflitti tra le varie province. Prende inoltre tutte le decisioni strategiche.
Attorno a Cosa Nostra gravitano gruppi non mafiosi che sono generalmente coordinati di
singoli uomini d'onore, ma che non fanno parte della mafia. Coordinamento, questo,
avvenuto frequentemente anche nei confronti della malavita napoletana per risolvere gli
innumerevoli contrasti interni e anche per assumere la direzione dei suoi affari a scopo
di lucro. Questo si è verificato soprattutto negli anni Settanta quando Cosa Nostra
arrivò fino ad organizzare i turni per lo scarico delle navi contrabbandiere. Nel golfo di
Napoli, infatti, entrava solo un'imbarcazione per volta, con un carico di 40/50.000 casse
di sigarette. Il carico apparteneva ora alla Commissione nel suo insieme, ora al gruppo
palermitano di Tommaso Spadaro, ora ai napoletani di Michele Zaza. Tali regole di
ripartizione, molto precise, venivano stabilite da Cosa Nostra e rispettate da tutti.
L'organizzazione quindi aveva tutte le carte in regola per monopolizzare il controllo del
traffico di stupefacenti destinati agli Stati Uniti. Alcuni gruppi si specializzarono
nell'approvvigionamento di morfina-base dal Medio all'Estremo Oriente; altri si
dedicarono esclusivamente alla trasformazione della morfina in eroina; altri ancora si
consacrarono all'esportazione di droga negli Stati Uniti, dove la mafia dispone di solide
teste di ponte. Tutti i gruppi facevano capo a uomini d'onore.”
Mafia&Storia
La storia di Cosa Nostra può essere suddivisa in cinque periodi:
1860-1926=periodo della mafia rurale, dei “campieri” (o “gabelloti”).
– 1926-1943=dal prefetto Mori allo sbarco degli alleati in Sicilia.
– 1943-1947=periodo di transizione e movimento indipendentista italiano.
– 1947-1970=mafia dei suoli urbani e commercio agricolo.
– 1970 ad oggi=mafia imprenditrice.
–
La Mafia delle origini
Molti studiosi fanno partire la storia della Mafia dall'Unità d'Italia, non perchè prima
fosse assente il fenomeno mafioso in Sicilia ma perchè è in quel momento che si
evidenzia un conflitto palese tra questa criminalità e lo Stato. L'Unità d'Italia in Sicilia
accelerò fortemente un processo di fine della struttura feudale delle campagne, nel
momento in cui integrò l'economia siciliana in quella dell'intero Paese. Inoltre, il nuovo
governo piemontese si sovrappose ad una struttura sociale siciliana senza riuscire ad
interagire positivamente con essa. Conseguenza di ciò fu che nelle campagne i grossi
latifondisti, che avevano detenuto il potere fino a quel momento, iniziarono ad avere
bisogno di qualcuno che garantisse loro il controllo delle proprietà. Questo ruolo venne
assunto in Sicilia da alcuni personaggi che presero il nome di “campieri” (perchè
controllavano i campi) o “gabelloti” poiché riscuotevano le “gabelle”. Quindi, fin dall'inizio
la mafia si delinea come un'organizzazione che assume ruoli pubblici per eccellenza, che
altrove sono di competenza dello Stato. Per farlo, i mafiosi ebbero sin dalle origini
contatti molto stretti con il potere pubblico. A quell'epoca le collusioni più evidenti erano
il corpo dei “militi a cavallo”, una forza di polizia addetta al controllo delle campagne.
Poiché tali militi avevano una responsabilità diretta per i danni arrecati alle proprietà
rurali, avevano la tendenza ad evitare i furti, spesso mettendosi d'accordo con mafiosi e
briganti affinchè li facessero in territori fuori dalla loro competenza. Le collusioni
arrivavano a toccare anche le autorità prefettizie e i politici. Ed è del tutto naturale
che il territorio di queste collusioni fosse la città, dove era concentrato il potere
politico.
Il prefetto Mori
Con il nuovo regime divenne evidente che la funzione della mafia di concorrenza con i
poteri dello Stato non poteva essere tollerata da un sistema di potere che dall'esercizio
assoluto del monopolio della forza e del controllo sociale traeva la sua ragion d'essere,
perciò Fascismo e mafia entrarono in rotta di collisione. Il 22 ottobre 1925 a Palermo,
s'insediò il prefetto Cesare Mori, che sarebbe passato alla storia con il soprannome di
“prefetto di ferro” a causa dei suoi metodi di estrema violenza e decisione. Tali metodi
furono perseguiti per anni: furono fatti migliaia di arresti, senza preoccuparsi del fatto
che potessero esserci degli innocenti. Si procedeva all'arresto ed alla condanna per
associazione a delinquere, sulla base di un semplice sospetto o della cosiddetta
“notorietàmafiosa”. In questo modo alcune correnti fasciste, riuscirono a far arrestare i
propri avversari politici.
I metodi brutali del prefetto Mori ebbero risultati sicuri in termini militari. Il 1927
viene ancor'oggi ricordato come l'anno in cui furono arrestati più mafiosi. Alcuni furono
costretti a fuggire per rifugiarsi negli Stati Uniti, andando ad accrescere la nascente
mafia italo-americana, che troverà poi negli anni Trenta una grande occasione di crescita
nel proibizionismo. A fianco di questi risultati positivi, la lotta contro la mafia condotta
dal Fascismo presenta notevoli pecche: la lotta antimafia fu usata a volta per motivi
poco limpidi; il Fascismo non unì alla lotta sul piano militare, alcun intervento di tipo
sociale, facendo anzi dei passi indietro, soprattutto nelle campagne, riaffidando il potere
ai latifondisti; i metodi di Mori crearono malcontento nella popolazione che spesso si
alleava con la mafia, di fronte a forze di polizia che non rispettavano neanche le più
elementari regole della legalità; alcune ricostruzioni storiche sembrano indicare che il
Fascismo non fu immane da compromessi con la mafia. Alcuni indizi fanno supporre che
anche dopo l'azione di Mori, l'alleanza del Fascismo con i latifondisti condusse ad un
quieto vivere dove, in realtà, i vecchi mafiosi ebbero qualche ruolo.
Lo sbarco degli alleati e il M.I.S
Che la mafia, sconfitta sul piano militare, covasse in realtà sotto la cenere e mantenesse
un controllo sulla società siciliana sembra confermato dalle vicende dell'estate del 1943
in occasione dello sbarco degli alleati in Sicilia. La strategia che attuò il Pentagono fu
quella di iniziare l'offensiva dalla Sicilia, sia per evidenti ragioni geografiche, sia perchè
si poteva avere un appoggio dalla mafia. Perciò la CIA mandò in carcere alcuni boss
italo-americani con un patto: la libertà in cambio di aiuto nel momento dello sbarco. E
così avvenne: alla fine della guerra molti mafiosi furono liberati ed espulsi dagli USA
perchè “idesiderabili”, con il tacito accordo che sarebbero tornati in Italia.
Contemporaneamente gli alleati affidarono molte cariche politiche a noti mafiosi e ciò
diede un'autorità nuova e sicura ai mafiosi, oltre a concrete possibilità di accrescimento
del loro potere. In questo periodo la mafia cercò di organizzare la sua presenza
contribuendo alla nascita del Movimento Indipendentista Siciliano: formazione politica che
si prefiggeva lo scopo di ottenere l'indipendenza dall'Italia e in alcuni momenti l'idea
assurda di far aderire la Sicilia agli Stati Uniti. Il MIS non fu composto solo da mafiosi,
ma ottenne numerose adesioni. Certo la componente mafiosa era la più importante.
D'altro canto, i mafiosi potevano vantare di essere stati perseguitati dal Fascismo,
facendosene un merito, come se il problema fosse stato politico e non criminale. La
crescita del movimento non si limitò al piano legale ed elletorale. Il MIS costituì perfino
un esercito l'EVIS (Esercito Volontario d'Indipendenza Siciliana) nel quale militarono
numerosi banditi e mafiosi di grosso calibro. Capo dell'EVIS fu Salvatore Giuliano e fu
proprio questi a provocare la fine dell'esperienza separatista, con la strage di Portella
della Ginestra, una località vicino Palermo dove il 1 maggio 1947 si erano radunati i
lavoratori per celebrare la festa del lavoro. In quell'occasione, erano pervenuti nella
località numerosi lavoratori con le loro famiglie ed era iniziato da poco il discorso del
segretario socialista della zona quando, improvvisamente, dalle alture circostanti
partirono i primi colpi di mitra. All'inizio si pensò a dei fuochi artificiali per l'occasione
ma dopo si inizarono ad udire le prime urla e quindi un confuso fuggire tra pianti e
lamenti. Questa strage provocò una reazione decisa da parte dello Stato. Si decise di
trovare una soluzione al problema non proprio onorevole. Si distinsero particolarmente le
responsabilità del bandito Giuliano da quelle dei politici del MIS e dei mafiosi. Si
contrattò con la mafia la fine di Giuliano, che fu tradito da un suo luogotenente
(Giuseppe Pisciotta), ucciso e consegnato alla polizia. Dapprima si cercò di far passare la
versione secondo la quale Giuliano fosse morto in uno scontro a fuoco, poi grazie ad
alcune inchieste giornalistiche, si venne a sapere la verità. Quando, un paio di anni dopo,
Giuseppe Pisciotta fece intendere di essere disposto a rivelare alcuni retroscena
scottanti, fu trovato morto nel carcere di Palermo per aver bevuto caffè alla stricnina.
Mafia dei suoli urbani e nuova politica siciliana
Nel periodo del Dopoguerra, la società siciliana subì una profonda trasformazione, con
una netta riduzione del peso dell'agricoltura nell'economia regionale. La mafia si adeguò