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Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Montanelli si spostò al fronte e seguì le
invasioni della Polonia, quella tedesca in Norvegia, quella russa in Estonia e il tentativo
di invasione, sempre russo, in Finlandia, schierandosi apertamente nei suoi articoli per
il popolo nordico.
Quando l’Italia entrò in guerra, Montanelli fu trasferito in Francia prima e poi nei
Balcani, successivamente ebbe il compito di seguire la campagna militare italiana in
Grecia e in Albania, ma egli raccontò successivamente di aver scritto poco in quel
periodo, causa “onestà intellettuale” (oltre che per malattia), poiché il regime gli
imponeva l’obbligo di propaganda, ma coi suoi occhi non vedeva altro che gravi
perdite ai danni dell’esercito italiano.
« Rimasi su quel fronte vari mesi, senza scrivere quasi nulla, un po' perché mi
ammalai di tifo e molto perché mi rifiutati di spacciare per una gloriosa campagna
militare lo squasso di legnate che ci beccammo laggiù. »
Rimpatriò nel 1942 per sposarsi con l’austriaca Margarethe De Colins De Tarsienne,
Giustizia e
conosciuta quattro anni prima. Nel 1943, dopo l’8 settembre, si associò a
Libertà, il movimento partigiano; in seguito a ciò, divenne ricercato, incarcerato dai
tedeschi e condannato a morte. Trascorse la prigionia a Gallarate prima e a San Vittore
Il Generale Della Rovere;
poi, traendo spunto dalla sua vita da recluso per il racconto
riuscì ad uscire da San Vittore dopo dieci mesi di prigionia grazie all’aiuto di Aldo
Corriere della Sera,
Crespi, uno dei proprietari del e a Luca Osteria; anche il cardinale
di Milano Ildefonso Schuster, nel frattempo, aveva interceduto su richiesta della madre
di Montanelli, Maddalena. Riuscì ad uscire dall’Italia grazie all‘O.S.C.A.R., rete creata
dal movimento scout clandestino delle Aquile Randagie che si occupava di espatriare
in Svizzera ex prigionieri, dissidenti ed ebrei.
Anni Cinquanta e Sessanta
Nell’immediato dopoguerra, Montanelli ebbe non pochi problemi, poiché fu visto di
cattivo occhio sia da parte degli antifascisti, sia da parte degli ex fascisti, in quanto
Corriere della Sera
nessuno dimenticava il suo passato. Per questo, fu cacciato dal e
Domenica del Corriere,
dovette trasferirsi alla di cui diventerà direttore nel 1945,
prima di tornare l’anno successivo, in via Solferino.
Strinse in questi anni una forte amicizia con Leo
Longanesi, Giuseppe Prezzolini e Dino Buzzati, che gli
La Domenica del
proporrà di tornare a collaborare con
Corriere, offrendogli una rubrica (che diventerà poi una
delle più lette d’Italia) chiamata “Montanelli pensa così”,
poi diventata “La Stanza di Montanelli”, in cui Montanelli
rispondeva alle lettere dei lettori sui temi più importanti
dell’attualità.
In seguito al grande successo di questa rubrica, il
giornalista divenne anche storico e il più venduto scrittore
Storia dei
italiano, accettando di scrivere a puntate la
Romani, Storia dei Greci Storia d’Italia
la ed infine, la dal Medioevo ai giorni nostri.
legge Merlin
Nel 1956 si schierò contro la cosiddetta proposta dalla parlamentare
socialista Lina Merlin, legge che prevedeva la lotta alla prostituzione e la conseguente
chiusura delle case di tolleranza. Nel breve testo “Addio Wanda!”, dato alle stampe,
Montanelli scriveva:
« ... in Italia un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l'intero edificio, basato
su tre fondamentali puntelli, la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei
cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la più sicura garanzia... »
Nello stesso anno visitò Budapest come inviato, e fu testimone della rivoluzione
I Sogni Muoiono all’Alba,
ungherese; la repressione sovietica gli ispirò la trama de che
portò anche al cinema l’anno successivo.
Dal 1965 partecipò al dibattito sul colonialismo italiano, definendolo “mite e bonario”,
negando ogni brutalità e utilizzo sistematico di armi chimiche in Etiopia.
Si dichiarò anticomunista ed “anarco-conservatore”, citando il suo amico Prezzolini, e
vedeva nella sinistra un pericolo incombente, poiché succubi dell’allora strapotenza
sovietica.
Via dal Corriere
A seguito della morte, nei primi anni settanta, di Mario Vittorio Crespi, e della grave
Corriere della Sera
malattia del fratello Aldo, la gestione del venne affidata alla figlia di
quest’ultimo, Giulia Maria, che determinò una netta virata del quotidiano verso
sinistra, e decise nel 1973 di licenziare Montanelli, verso cui nutriva, notoriamente,
una certa avversione. Montanelli se ne andò volontariamente il 17 ottobre 1973, prima
di essere licenziato, presentando le dimissioni insieme ad un polemico articolo di
commiato, il quale non fu mai pubblicato.
Il Giornale Nuovo,
A questo punto fondò con l’appoggio di molti colleghi che, come lui,
non accettavano il nuovo clima del Corriere della Sera. Fu appoggiato anche dalla
Montedison, che finanziò il giornale fornendogli 12 miliardi di lire per tre anni,
lasciando la proprietà della testata a Montanelli con i giornalisti cofondatori.
Nel 1974 sposò in terze nozze la collega Colette Rosselli, nota come la “Donna Letizia”
Gente.
del settimanale
Alla direzione de Il Giornale
Il 25 giugno 1974 nasce Il Giornale, visto dal fondatore Montanelli come una testata
d’opinione, grazie a cui riuscì a esprimere, coraggiosamente, le proprie opinioni,
sempre poco conformiste e molto originali, inserendosi nel dibattito politico e
contribuendo alla creazione della figura dell’opinionista politico di provenienza
giornalistica. Di fronte alla crescita, a detta sua pericolosa, del
Partito Comunista Italiano, egli dichiarò:
« Turiamoci il naso e votiamo
DC » riprendendo una frase originalmente pronunciata da Gaetano
Salvemini alla vigilia delle elezioni politiche del 18 aprile 1948,
come affermato da Montanelli stesso.
Nel mirino delle BR
La mattina del 2 giugno 1977, mentre si recava alla redazione, Montanelli venne ferito
a Milano, all’angolo tra via Manin e piazza Cavour, sede de Il Giornale, con una pistola
7.65 dotata di silenziatore, che gli sparò ben otto colpi, di cui due lo colpirono alla
gamba destra, uno di striscio alla gamba sinistra e uno alla natica; l’attentatore, prima
di sparare, chiese di spalle a Montanelli se fosse lui, sparandogli prima che il
giornalista potesse girarsi per rispondere.
Montanelli aveva con sé una pistola, ma non la estrasse, tentando invece di tenersi in
piedi aggrappandosi alla cancellata dei Giardini Pubblici, scivolando poi a terra e
urlando "Vigliacchi, vigliacchi" contro gli attentatori, dichiarando poi ad un soccorritore
di non averli visti in faccia ma di essere in
grado di riconoscerli.
L’evento suscitò scalpore nel mondo
giornalistico; il Corriere della Sera ne parlò,
omettendo però il nome del giornalista nel
titolo dell’articolo; La Repubblica trattò
ironicamente l’accaduto, mentre il quotidiano
comunista L’Unità pubblicò in prima pagina
la notizia col titolo "Montanelli ferito da colpi
di pistola in un attentato di «brigatisti
rossi»", accompagnato da una fotografia del ferito soccorso dai passanti, con una
ricostruzione precisa dell’accaduto.
Con una telefonata al Corriere d’Informazione, Walter Alasia, colonna delle Brigate
Rosse, rivendicò l’attentato a Montanelli, motivandolo con il fatto che il giornalista
fosse “schiavo delle multinazionali”. Fu in questo periodo che Mario Melloni, detto
Fortebraccio, giornalista de L’Unità, dichiarò di aver dettato per la propia tomba
l’epitaffio "Qui giace Fortebraccio, che segretamente amò Indro Montanelli. Passante
perdonalo, perché non ha mai cessato di vergognarsene". Montanelli, ironicamente,
replicò avvertendo Melloni di aver incluso tra le sue ultime volontà quella di essere
seppellito accanto al collega/rivale, con l’epitaffio "Vedi lapide accanto".
Berlusconi
Quando nel 1977 terminò il finanziamento della Montedison per Il Giornale, Montanelli
accettò il sostegno economico di Silvio Berlusconi, all’epoca costruttore edile, che ne
diventò socio di maggioranza. Secondo Felice Frio, alla sottoscrizione del contratto con
Berlusconi, Montanelli dichiarò «Tu sei il proprietario, io sono il padrone almeno fino a
che rimango direttore [...] Io veramente la vocazione del servitore non ce l'ho».
Fino al 1993, il sodalizio tra i due durò senza contrasti; secondo il giornalista, in
seguitò alla decisione di Berlusconi di entrare in politica, questi si presentò all’ufficio
amministrativo de Il Giornale chiedendo al direttore, senza successo, di supportarne le
iniziative politiche.
In un’intervista ad Alain Elkann, Montanelli spiega che la separazione da Berlusconi fu
presa di comune accordo, in quanto "gli dissi: io non mi sento di
seguirti in questa avventura, noi dobbiamo separarci, fu una
separazione consensuale tra me e Berlusconi. Il patto su cui si
reggeva la nostra convivenza, che era stato scrupolosamente
osservato da entrambe le parti (ossia "Berlusconi è il proprietario
del Giornale, Montanelli ne è il padrone"), era venuto meno".
Montanelli affermò di non aver voluto mettersi al servizio di
Berlusconi, primo perché non si era mai messo al servizio di
nessuno e non riteneva opportuno cominciare con lui, secondo
perché non riteneva che Berlusconi potesse avere successo in
politica.
C’è chi parla invece di un acceso conflitto tra Montanelli e
Berlusconi e non sono d’accordo sul fatto che l’abbandoni di
Montanelli fosse in comune accordo; la versione è confermata
nel corso di numerose interviste da parte di Montanelli stesso.
10 gennaio 1994, Montanelli invia una lettera aperta a Silvio Berlusconi:
« Ho creduto di metterti in guardia da quello che mi sembra un grosso azzardo [la
discesa in campo]. A questa mia franchezza hai risposto venendo in assemblea di
redazione a proporre un rilancio del Giornale purché adottasse una linea politica
diversa per sostanza e per forma da quella seguita da me: e con questo hai sbarrato
la strada ad ogni possibile intesa. »
In seguito, egli attaccò duramente Berlusconi, paragonandolo addirittura a Mussolini
("ho già conosciuto un uomo della Provvidenza e mi era bastato ") e considerandolo
farà la fine del povero Antonio La Trippa: non
incapace di sopravvivere alla politica ("
riuscirà a mantenere le promesse che ha fatto agli italiani e dovrà andarsene ").
Rifiutando la direzione del Corriere della Sera, decise di fondare un nuovo giornale
insieme agli altri quaranta giornalisti dimissionari. In omaggio a Giuseppe Prezzolini,
La Voce,
decise di chiamarlo dichiarando:
« Sono stato costretto a fondare un nuovo giornale quando è diventata incolmabile
l'incompatibilità tra la mia indipendenza e quello che voleva l'editore dopo il suo
ingresso in politica »
Nonostante un esordio di 400.000 copie, la nuovo testata ebbe però vita breve (solo
un anno), a causa di difficoltà finanziarie, nonché dell’insufficiente volume di vendite,
dovuto, secondo Montanelli stesso, agli obiettivi troppo ambiziosi: la testata doveva
Il Mondo
essere originariamente un settimanale o mensile, sullo stile de di Mario
Pannunzio, ma il numero elevato di giornalisti alle sue dipendenze (tra cui Beppe
Severgnini e Marco Travaglio) lo trasformarono in un
La Voce,
quotidiano. Dopo la fine de tornò alle origini,
riprendendo a curare la rubrica “La Stanza di Montanelli” in
Corriere della Sera,
chiusura al rispondendo alle lettere dei
lettori col suo solito stile “senza peli sulla lingua”.
Gli ultimi anni
Indro Montanelli ebbe un grande successo anche all’estero, oltre che in Italia,
ricevendo molti premi, tra cui il World Press Review’s International Editor of the Year da
parte degli Stati Uniti nel 1994 e il Prince of Asturias Award for Communicarions and
Humanities in Spagna nel 1996. Tra le sue interviste più importanti, quella a Charles
de Gaulle, presidente della quinta Repubblica Francese, a Luigi Einaudi, secondo
Presidente della Repubblica Italiana nonché uno dei padri della Repubblica, e a Papa
Giovanni XXIII.
Divenne membro onorario dell’Accademia della Crusca, che sostenne apertamente
Giornale,