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Il Genio secondo Schopenhauer.

“Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un

mondo diverso da quello che esiste per gli altri.” Arthur Schopenhauer

Per Schopenhauer, il genio, nella contemplazione delle idee, è molto

simile al folle, che dimentica il suo corpo abbandonandosi a una sorta

di delirio estetico, che gli permette di cogliere, sia pure brevemente, la

noluntas volontà di vivere.

, di dimenticare la

Nel momento in cui ci si immerge nell’intuizione e nella contemplazione

dell’oggetto, si dimentica il proprio Io, inteso come volontà, si giunge a

uno stato superiore in cui l’oggetto non è più separato dal soggetto ed è l’idea. Questa è

l’esperienza del genio, che è puro soggetto del conoscere; è un’esperienza straordinaria di

completa trasfigurazione.

La genialità è intesa da Schopenhauer come perfetta obiettività: essa è espressione dello

spirito contemplativo che trascende il singolo. Il genio è colui che è capace di mantenersi

nell’intuizione pura, anzi di perdersi in essa e quindi di sottrarre la conoscenza alla schiavitù

della volontà. Egli dimentica di essere soggetto volente e si fa “occhio del mondo” per tutto il

tempo necessario all’esperienza creativa.

La genialità, in quanto tale, non può essere frutto di libera scelta: essa non può derivare

dall’applicazione, dallo sforzo di astrazione da sé del soggetto empirico, perché, in tal caso,

risulterebbe impossibile.

La genialità è una condizione che ci sottrae all’arbitrio individuale, è un’esperienza che ci

ritroviamo a fare senza volerlo. In essa la capacità conoscitiva è andata ben oltre i limiti

richiesti dal servigio nei confronti della volontà, per un attimo si configura come puro

disinteresse: è come un lampo che subiamo, ma che non possiamo né volere, né imparare.

“Un dotto è colui che ha molto imparato, un genio colui dal quale l'umanità impara ciò che il

genio stesso non ha imparato da nessuno.” Arthur Schopenhauer

Genio e Schizofrenia: John Nash.

“Pensavo alle voci come… qualcosa un po’ diverso dagli alieni. Le

pensavo più simili ad angeli… Era veramente il subconscio che

parlava, era veramente quello… ora lo so!”

John Nash

Nel film “A Beautiful Mind” (regia di Ron Howard) è raccontata in

maniera verosimile la storia del matematico John Nash, premio

nobel per l’economia nel 1994 per la sua “Teoria dell’Equilibrio”.

Alla giovane età di 22 anni questo genio ha già contraddetto 150

teorie matematiche ed economiche ed è alla ricerca di un idea

veramente originale. Quando viene chiamato per una cattedra a

Princeton il grave male della schizofrenia si abbatte sulla sua

splendida mente, capace di brillanti e continue intuizioni,

condannandolo ad una doppia vita: da una parte il lavoro e gli

affetti, dall’altra le visioni, le paranoie ,gli elettroshock e gli

psicofarmaci.

Il racconto della vita di questo studioso fa nascere diverse domande: come può una mente

malata essere capace di tanta genialità? Può una mente geniale finire per ammalarsi proprio

a causa del suo particolare funzionamento?

Quale relazione può esserci fra matematica e schizofrenia?

La schizofrenia è un grave disturbo psichiatrico, espressione di un’ importante alterazione

dell’equilibrio psichico dell’individuo con compromissione della percezione e dell’”esame”

della realtà.

Il concetto di realtà è molto diverso se esaminato da un fisico, da un matematico o da uno

psichiatra. Per un fisico, ad esempio, è reale solo ciò che è misurabile, mentre per un

matematico è vero, dunque reale, tutto ciò che è dimostrabile. Vivere con la mente nel mondo

della matematica vuol dire avere a che fare con un proprio concetto di realtà che varia a

seconda degli assiomi posti all’inizio della teoria, dunque realtà diverse a seconda delle diverse

premesse, purché logicamente dimostrabili.

Pensiamo alla geometria euclidea così reale e così intuitiva, così vera, ma reale finché ci si

appoggia al quinto postulato: nel momento della sua negazione nascono realtà diverse,

parallele, magari meno vicine alla nostra percezione ma sicuramente matematicamente

ugualmente vere, e dunque ugualmente reali.

Può dunque un matematico abituato a convivere con diverse realtà, ognuna vera all’interno

di una teoria, avere una mente più predisposta a concepire anche diverse vite reali non

intersecabili, ma ognuna vera nel momento della sua realizzazione?

La domanda è aperta e non vuole essere un invito al credere all’identità fra matematico e

schizofrenico, quanto un input ad avvicinarsi al misterioso mondo della matematica dove la

realtà è subordinata alla logica, e dove nel perdersi in essa si può finire per non aver voglia di

tornare alla “realtà reale”.

Il Genio Internato: Dino Campana.

“Campana resta l'ultimo poeta, il poeta toccato e divorato dal fuoco,

il poeta che è entrato per sempre nel cuore stesso della notte e non

ne è più uscito.” Carlo Bo

Sin dall’adolescenza, Campana ha manifestato chiari segni di

disturbo mentale, in generale possiamo dire che la sua vita è stata

un continuo girovagare per manicomi. Pur non esprimendosi

direttamente sul tema della pazzia, Campana propone uno stile

riconducibile a quello dei famosi autori inglesi Joyce e Woolf, il

flusso di coscienza.

Il brano “Sogno di prigione” è stato scritto nel 1910 durante un

suo internamento in un manicomio. Lo stile è molto “visionario”,

confuso, ed esprime a mio parere la visione del mondo da parte dei

folli: immagini mischiate e sovrapposte, che però lasciano intendere

una grande acutezza dei sensi, non sfugge nulla all’occhio e alla mente folle dell’autore.

Questo stile può essere tranquillamente ricondotto anche a quello di un altro importante

autore: Edgar Allan Poe.

Sogno di Prigione”:

Da “

“Nel viola della notte odo canzoni bronzee. La cella è bianca, il giaciglio è bianco. La cella è

bianca, piena di un torrente di voci che muoiono nelle angeliche cune, delle voci angeliche

bronzee è piena la cella bianca. Silenzio: il viola della notte: in rabeschi dalle sbarre bianche il

blu del sonno. Penso ad Anika: stelle deserte sui monti nevosi:strade bianche deserte: poi

chiese di marmo bianche: nelle strade Anika canta: un buffo dall’occhio infernale la guida, che

grida: Ora il mio paese tra le montagne. Io al parapetto del cimitero davanti alla stazione che

guardo il cammino nero delle macchine, su,giù. Non è ancor notte;silenzio occhiuto di fuoco: le

macchine mangiano rimangiano il nero silenzio nel cammino della notte. Un treno: si sgonfia

arriva in silenzio, è fermo: la porpora del treno morde la notte: dal parapetto del cimitero le

occhiaie rosse che si sgonfiano nella notte: poi tutto, mi pare, si muta in rombo: Da un

finestrino in fuga io? Io ch’alzo le braccia nella luce!! “ il treno mi passa sotto rombando come

un demonio.”

La follia e l’isolamento sembrano essere in Campana un elemento di concentrazione. Il suo

linguaggio appare denso ed ermetico, ma in realtà è molto difficile capire il significato di ciò

che il poeta scriveva: è un flusso continuo di parole, del quale non si riesce a cogliere

facilmente il senso.

The Genius and the Bipolar Disorder: Virginia Woolf.

"... insanity is a terrible thing, to avert, and in its lava storm I find most things I write ..."

Virginia Woolf

The Ouse flowed near her home. She must have covered the road to

the river banks in a few minutes, many heavy stones in her pocket.

And then, once on shore, she continued to walk, until she

disappeared under the water, into the deep. It was March 28, 1941:

Virginia Woolf was finally able to escape from the infesting voices,

from her constant pain and a too tired life.

Virginia is just thirteen when her mother dies and the same goes for

her dear sister Stella two years later - a loving sister who tried to

replace the missing parent. And here lies the first "nervous

breakdown" of Virginia, the first experience with a strong depression

that will grow after the death of her father in 1904: for a short period

the young girl is also hospitalized. Beyond what seemed, there were

other reasons that caused these frequent crises : the sexual abuse

that Virginia and her sister Vanessa suffered from their half-brothers George and Gerald.

Therefore both orphans decided, with their brother Adrian, to move together in Bloomsbury

where she created the company of intellectuals known as “The Bloomsbury Group",

composed also by Strachey Lytton, Clive Bell and Leonard Woolf, who married Virginia in 1912,

while leaving biographers perplexed about some aspects of their married life.

The couple, mentally and emotionally well-matched, founded the Hogarth Press, a publishing

house which published the biggest part of her works: it was Leonard who, with his patience and

dedication, supported her in moments of despair and disease. It was Leonard to encourage her

in her artistic activity, to edit and put together her words, sometimes. It is not unreasonable to

suppose that, without this man, we would not have had a Virginia Woolf.

Yet, for all her life, despite the numerous works produced, there was not for her a period of

continuous psychological balance. Her serious problems of the mood sphere, the "hearing

voices", the sense of alienation and anguish following her for months, leaved her exhausted

and forced the doctor to recommend a complete rest.

Bipolar disorder, to sum up, is characterized by alternation of maniacal phases and

depressive phases - these tend to be far more durable. It is also characterized by devastating

waves of deep states of sadness, despair, emptiness and anguish and an expansion of the

mood that results in an excessive grandeur, in irritability, in an excitement that can become

dangerous. In the case of Virginia Woolf, the most likely hypothesis is that it was a bipolar

disorder of type II, in which prevail major depressive episodes and at least one hypomaniacal

episode (more nuanced than maniacal). It 's a highly debilitating disease that, in Woolf has also

psychotic symptoms (auditory hallucinations) and often leads to suicide, with a thirty times

greater risk than in the general population.

The first crisis dates back to adolescence but many more followed in her early adult life, as it

usually happens. Here the reasons are numerous: Virginia lost the three figures of reference

and emotional investment - mother, sister, father- in a decade. And on every occasion she

waited in terror for the return of those voices, the sense of death and dissolution that she

almost wanted, lying in her bed for weeks or even longer. And then there was the writing - the

container where to be "correct", not different from the others.

A clear example is “Mrs. Dalloway", in which the voices that Virginia feels in her head are

here the interior monologue of the protagonist (the inner talk, so typical of Virginia). Her

childhood was marked by shameful and hidden violence, youth was plagued by grief and

loneliness, so adulthood has evolved with fertile creativity and devastated emotions . In spite

of the other crisis, which gave her severe headaches and debilitated her body up to the point

to force her to stay in bed for long periods, Virginia was able to produce several works, as if

the disease had given her a sort of inspiration.

Traduzione in italiano:

Il Genio e il Disturbo Bipolare: Virginia Woolf

“…la pazzia è una cosa terrificante, da scongiurare, e nella sua tempesta di lava io trovo la

maggior parte delle cose che scrivo…” Virginia Woolf

L’Ouse scorreva vicino alla sua casa.

Deve aver percorso in pochi minuti, l’ultima strada – nelle tasche tanti sassi pesanti.

E poi, una volta sulla riva, ha continuato a camminare, finché è scomparsa, sotto l’acqua, nel

profondo.

Era il 28 marzo del 1941: Virginia Woolf era finalmente riuscita a scappare dalle voci che la

infestavano, dalla sua pena costante e da una vita troppo stanca.

Quando Virginia è appena tredicenne sua madre muore e lo stesso accade per la sua cara

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