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I movimenti femministi degli anni ‘70 si dedicarono quindi alla
presa di coscienza
dello stato di
oppressione in cui
versavano le donne e
quindi alla propria
liberazione da questo.
La consapevolezza
che la differenziazione
dei ruoli sessuali
considerata “naturale”
privilegiava solo il
ruolo maschile andava
di pari passo alla
critica dell’ideologia
“oppressiva” e
“patriarcale”. Per rimanere nello specifico italiano, negli anni
Settanta entra in scena un femminismo più “radicale”, ovvero un
femminismo che non si limitava a discutere solo i temi propri
della tradizione riformista (il diritto al voto, l’eguaglianza, ecc.)
ma che
sviluppava una
critica più
generale a tutta
la società,
abbracciando
anche forme di
azione politica
diverse e
innovative.
A partire dagli anni Novanta lo scenario muta, si parla di
“questioni di genere” e di “pari opportunità”.
L’aborto, il divorzio, il nuovo diritto di famiglia, la radicale
trasformazione degli usi e costumi sociali e il nuovo
protagonismo delle donne si deve anche e soprattutto al
movimento femminista di quegli anni.
Negli anni fra le due guerre vengono ripresi e approfonditi molti
dei temi culturali che erano balenati nella complessa ricerca del
primo 900. La nostra letteratura si svolge, in questo periodo,
nell'atmosfera oscurantistica e oppressiva del Fascismo. Il
regime fascista in Italia durò circa vent’anni, durante i quali
avvennero profonde trasformazioni: alleanze militari, invasioni di
altri paesi inermi, cambiamenti legislativi e sociali, e
principalmente il tentativo di creare un italiano nuovo.
Per fare questo il fascismo aveva bisogno del consenso delle
donne. 4
Portare l’Italia da quaranta a sessanta milioni di abitanti era
l’obiettivo di Mussolini, riassunto nello slogan “la forza sta nel
numero”.
Con la sua politica mirata all’espansione demografica il Duce
riuscì ad asservire la donna al fascismo fissandola nei ruoli
tradizionali di madre e sposa.
Pur chiamandola alla partecipazione attiva nel perseguimento
dei suoi obiettivi generali, il fascismo le negò i diritti civili e
politici.
Vi furono intellettuali che tradirono la loro missione per piegarsi
all'adulazione servile e alle esigenze della propaganda, ma la
maggioranza dei nostri scrittori più vivi (ad esempio Eugenio
Montale ) furono scrittori d'opposizione.
Durante gli anni ‘60 i mutamenti demografici, economici e
sociali portarono in tutto l’Occidente a una nuova ondata di
femminismo. La diminuzione del tasso di mortalità infantile,
l’aumento generalizzato della speranza di vita e la diffusione
della pillola contraccettiva alleviarono il carico di responsabilità
e lavoro delle donne relativamente alla cura dei figli.
Ma nel 1970 l’uguaglianza non era ancora raggiunta.
LE DONNE NEL FASCISMO
Nonostante le femministe dell’epoca fossero inclini a guardare
con favore le proposte di Mussolini, questo non implica il fatto
che esse vi aderissero compatte. Infatti nel primo raduno di
piazza furono identificate solo nove donne appartenenti al
movimento fascista e anche negli anni successivi a questo
raduno del 1919 a Milano la componente femminile fu sempre
molto limitata almeno fino alla marcia su Roma del 1922. Anche
i cosiddetti movimenti fascisti "della prima ora" non si
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impegnarono molto nella creazione di una componente
femminile.
Il primo fascio femminile risale al 12 maggio del 1920 che fu
tuttavia un’iniziativa del tutto femminile e per questo
largamente ignorata dalla dirigenza del movimento fascista. Il
fascismo comunque risultava
avere un certo fascino sulle
donne di estrazione
aristocratica e di ceto medio-
alto, poiché esse volevano
distinguersi dalle femministe
borghesi a cui
rimproveravano un
perbenismo e delle simpatie liberali non apprezzate da donne di
queste classi sociali.
Erano infatti affascinate dalle imprese militari di D’Annunzio,
tanto da formare movimenti che sostenessero la sua azione a
Fiume, come l’associazione nazionale della sorelle dei legionari
di Fiume.
Le donne che appartenevano al movimento fascista, prima del
1925, aderivano ad un movimento che non garantiva a loro
sostegno e di cui erano una esigua minoranza. Dopo il 1925
l’iscrizione fu una cosa più opportunistica per figure che erano
molto più convenzionali. La loro adesione, visto anche la loro
diversa estrazione sociale, era dovuta più probabilmente ad un
comune disgusto nei confronti della società liberale e nella
volontà di una stato forte e ben organizzato.
L’apporto che le donne diedero nel periodo fascista fu alquanto
variegato, infatti esso includeva sia donne che avevano fatto la
loro esperienza politica nel vecchio partito socialista sia donne
che si avvicinavano per la prima volta alla politica.
Interessante è notare l’atteggiamento di Mussolini nei confronti
delle donne, che non conoscendone la loro potenzialità preferiva
mantenere un atteggiamento ambiguo che loro interpretavano
come "amichevole e accessibile", diverso da quello ostile di tutto
il partito.
Nel 1922 fu sottolineato dal partito l’importanza sociale delle
donne ma non si parlò di un loro ruolo politico, il loro compito
era quello di assistere i malati e i feriti, di occuparsi della
propaganda, ma nessun impegno politico attivo. Si continuò così
per molti anni ad equivocare poiché il movimento fascista stava
cercando alleati e "cambiava colore" in base alla situazione, così
nel 1919 quando stava cercando appoggio negli ambienti
radicali e di sinistra, aveva appoggiato il suffragio femminile e le
leggi sull’aborto. 6
Ma queste posizioni furono ben presto lasciate per appoggiare
delle posizioni molto più intransigenti che vedevano di buon
occhi gli assalti squadristici. Nel 1923 l’antifemminismo fu
rafforzato dalla frangia nazionalista che voleva la subordinazione
di tutti i singoli allo stato, appoggiata da coloro che ricercavano
ormai da anni uno stato forte ed efficiente.
L’accordo poi con la chiesa rafforzò questa posizione di
sudditanza poiché si abbracciò la
posizione anticonformista della chiesa.
Dal 1925 le organizzazioni femminili non
furono più considerate nella politica
fascista e furono eliminati tutti i
movimenti tranne quello delle
organizzazioni femminili fasciste, che
erano sostenute dal partito, e i gruppi
cattolici che erano invece tollerati dal
partito. Queste diedero un apporto
importante al movimento fascista
sapendo di non ricevere per questo nulla
in cambio, né onore, né compensi
economici. Questo non significa che le
donne fasciste
non furono oggetto della politica; infatti
negli anni trenta esse diventarono
"importanti", cioè erano diventate
"mogli e madri esemplari", "angeli del
focolare", "madri di pionieri e di
soldati", "una milizia civile al servizio
dello Stato".
DONNE E COSTITUZIONE:
TRA PRINCIPI FORMALI E DIRITTI SOSTANZIALI
Nella storia le donne hanno lottato tanto con le donne e per le
donne per prendere coscienza di sé, affermare i propri diritti,
perseguire l’uguaglianza prima e la parità poi. Tante sono state
le conquiste, dal diritto di voto al riconoscimento della piena
parità tra uomini e donne sancita dalla Costituzione.
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Art.3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua,
di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali.
E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine
economico e sociale…”
Art.29: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come
società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è
ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i
limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.”
Art.37: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di
lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.”
Art.51: “Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono
accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di
eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la
Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari
opportunità tra donne e uomini.”
La Costituzione italiana ha gettato le fondamenta per
l’affermazione del principio delle pari opportunità in Italia. Per
comprenderne la portata, bisogna avere presente il clima che la
precede.
Nel corso della Prima Guerra Mondiale, le donne sostituiscono gli
uomini partiti per il fronte: sono sei milioni quelle che lavorano
nei campi, garantendo una produzione agricola costante e mai
inferiore al 90% del totale del periodo prebellico. Il discorso non
cambia per quanto riguarda la manodopera industriale
femminile. 8
Negli anni venti la donna esce dalle mura domestiche anche per
occupare nuovi posti di lavoro.
Il regime fascista, però, dopo un’ambigua apertura alle istanze
femminili, nel ‘26 esclude le donne dalle cattedre universitarie e
dai licei, nel ‘27 dimezza i salari femminili e con un decreto del
‘38 fissa al 10% la loro presenza nei pubblici impieghi.
Poi di nuovo la guerra e le donne al lavoro. L’impegno di
concedere il diritto di voto alle donne viene finalmente
mantenuto nel 1945. Il 2 giugno 1946 italiani e italiane si recano
per la prima volta insieme alle urne per votare tra monarchia e
repubblica.
La Costituzione è stata un grande passo in avanti, che ha posto
le basi per la normativa futura. Normativa rimasta però per anni
latente, se non inesistente. E le donne, per veder riconosciuti i
loro diritti, devono lottare a alzare la voce. Con la stagione dei
movimenti, tra il ’62 e il ’75, anche loro iniziano a rivendicare
diritti non solo in quanto studentesse o lavoratrici, ma prima di
tutto in quanto donne.
1970: la legge sul divorzio stabilisce l’assoluta parità tra i
coniugi nei casi di scioglimento del matrimonio e per la prima
volta “calcola” il contributo femminile alla vita familiare.
1975: r iforma del diritto di famiglia :"Con il matrimonio il marito
e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi
doveri".
1977: parità di trattamento tra uomini e donne in materia di
lavoro, è la cosiddetta Legge Anselmi, che afferma l’illegittimità
di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, il diritto alla
stessa retribuzione e il diritto ad assentarsi anche per il padre
lavoratore.
1978: legalizzata e disciplinata l’interruzione volontaria di
gravidanza.
IL RICONOSCIMENTO DELLA DISCRIMINAZIONE INDIRETTA
Una volta conquistato il riconoscimento dei diritti di base delle
donne nella sfera personale, della salute e del lavoro, nel
decennio successivo viene fatto un ulteriore passo in avanti: la
normativa approvata finora vieta le discriminazioni dirette, ma
non risolve quelle indirette, frutto di trattamenti magari uniformi
sulla carta che in realtà producono effetti differenziali sui due
sessi. Ad esempio, la legge del 1977 sancisce la parità di
retribuzione: se le donne in posizioni di un certo livello sono di
meno perché incontrano più ostacoli nel far carriera, di fatto
sono penalizzate, nel complesso guadagneranno meno,
nonostante il loro datore di lavoro non contravvenga alle norme.
Si ravvisa la necessità di adottare azioni positive, cioè ideate e
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promosse con l’obiettivo di raggiungere le pari opportunità.
Solo nel 1991 questi principi vengono tradotti nella legge 125
del 10 aprile, che ha lo scopo di superare le discriminazioni che
bloccano o rallentano gli avanzamenti professionali o di carriera
e di inserire le donne, con programmi ad hoc, in attività
professionali nelle quali sono sottorappresentate.
Da questo momento in poi l’attività
legislativa si fa intensa:
Legge 215 del 1992, Azioni positive
per l’imprenditoria femminile;
1996: nomina del Ministro per le Pari
Opportunità.
Legge 53 del 2000, Disposizioni per il
sostegno della maternità e della
paternità e per il diritto alla cura e alla formazione. Non meno
importante, a livello storico e giuridico, nonché per i diritti
inviolabili e la pari dignità sociale sancita dalla Costituzione, la
legge n. 66 del 1996, con cui il concetto di violenza sessuale
passa da “reato contro la morale e il buon costume” a “reato