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Filosofia - Nietzsche
Storia - Campi di sterminio
Fisica - dalle trasformazioni di Galileo alla relatività di Einstein
Scienze - evoluzionismo o creazionismo ?
MAPPA CONCETTUALE 2
INTRODUZIONE
Non conosco Guccini da una vita, ma lo conosco abbastanza da poter dire
con sicurezza che è uno dei miei cantautori preferiti. L'incontro con la sua
poesia è stato casuale ed anche un po' buffo, a dire la verità. Prima di allora
non sapevo neanche chi fosse e consideravo le sue canzoni “tristi”, “che
inducono al suicidio”, “vecchie”. Ma poi c'è stata la rivelazione: un giorno, in
compagnia di amici, durante una tranquilla serata d'estate, ascoltai per la
prima volta Vedi cara. Nei giorni successivi dentro la mia testa questa
canzone risuonava più e più volte, fino al punto di prendere l'iniziativa di
ascoltarla da sola, in camera. Mi sentivo isolata dal mondo, spazio e tempo
non esistevano... Cominciai così ad appassionarmi sempre più e ad ascoltare
nuove canzoni, come Cyrano, Canzone per un'amica, Auschwitz, La
locomotiva, Autrogrill, Piccola città, Per fare un uomo. E poi, tra le sue
canzoni ne notai una, che dal titolo mi coinvolse fin da subito: Dio è morto.
Incuriosita, l'ascoltai, una, due, tre volte... ed ogni volta, la mia pelle può
confermarlo, avevo i brividi. Ero impressionata ed esterrefatta di come
attraverso questa canzone riuscivo a rivedermi, a ritrovare la società del mio
tempo. 3
“Ho visto,
la gente della mia età andare via
lungo le strade che non portano mai a niente,
cercare il sogno che conduce alla pazzia
nella ricerca di qualcosa che non trovano
nel mondo che hanno già, dentro alle notti che dal vino son
bagnate,
dentro alle stanze da pastiglie trasformate,
lungo alle nuvole di fumo del mondo fatto di città,
essere contro ad ingoiare la nostra stanca civiltà
e un dio che è morto,
ai bordi delle strade dio è morto,
nelle auto prese a rate dio è morto,
nei miti dell'estate dio è morto...
Mi han detto
che questa mia generazione ormai non crede
in ciò che spesso han mascherato con la fede,
nei miti eterni della patria o dell' eroe
perché è venuto ormai il momento di negare
tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura,
una politica che è solo far carriera,
il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto,
l' ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
e un dio che è morto,
nei campi di sterminio dio è morto,
coi miti della razza dio è morto
con gli odi di partito dio è morto...
Ma penso
che questa mia generazione è preparata
a un mondo nuovo e a una speranza appena nata,
ad un futuro che ha già in mano,
a una rivolta senza armi,
perché noi tutti ormai sappiamo
che se dio muore è per tre giorni e poi risorge,
in ciò che noi crediamo dio è risorto,
in ciò che noi vogliamo dio è risorto,
nel mondo che faremo dio è risorto...”
Francesco Guccini – Dio è morto
4
E' questa la prima canzone che comparve a firma Guccini. Quando la scrisse
aveva solamente venticinque anni (1965) e stava studiando all'Università di
Bologna. La sua intenzione era quella di scrivere qualcosa di generazionale:
la canzone, portata al grande successo dai Nomadi al Cantagiro del '67,
conobbe la censura della Rai, la quale, nonostante il sottotitolo imposto alla
versione in 45 giri (se Dio muore, è per tre giorni e poi risorge), non volle
saperne di trasmetterla nemmeno quando entrò nella hit parade dei dischi
più venduti. Ma, curiosamente, Dio è morto fu trasmessa dalla Radio
Vaticana, con l'avallo addirittura di Paolo VI, il quale aveva riconosciuto nel
testo “un lodevole esempio di esortazione alla pace e al ritorno a gusti sani e
principi morali”. La canzone venne diffusa negli oratori e ai Festival dell'Unità:
ed è proprio grazie a questa sua peculiarità, che ottenne un riconoscimento
di portata nazionale: “Fu da allora, credo, che il nome divenne ben accolto
sia in ambiente religioso che in quello comunista, e questa fortuna dura
ancora oggi. Credo che i cattolici apprezzino le mie canzoni perché dietro
vedono solo me stesso, nessuna sovrastruttura, nessuna strumentalizzazione
o polemica fine a se stessa”. Il componimento parla apertamente di
corruzione e meschinità, di falsi miti e di falsi dei. Apre la canzone di protesta
italiana a temi ulteriori rispetto a quello del pacifismo, è più precisamente
un'opposizione radicale all'autoritarismo o al conformismo. La canzone in
realtà non celebra la morte di Dio, ma proclama la necessità di una nuova
rinascita spirituale e morale e rappresenta una critica al "perbenismo
interessato", al falso moralismo, all'imperante ipocrisia, al vuoto
consumismo, al becero edonismo: e per capire tutto ciò basta fare attenzione
alla chiusa, dove di Dio (e non di falsi idoli) si dice apertamente che "è
risorto". 5
“Dio è morto”
FILOSOFIA: Friedrich Nietzsche 6
Quanto le parole di questa canzone, che animava i giovani sessantottini,
possono avere una valenza in relazione a ciò che Nietzsche aveva scritto ne
La gaia scienza?
«Dio è morto. Dio resta morto. E noi l'abbiamo ucciso. Come potremmo
sentirci a posto, noi assassini di tutti gli assassini? Nulla esisteva di più sacro
e grande in tutto il mondo, ed ora è sanguinante sotto le nostre ginocchia:
chi ci ripulirà dal sangue? Che acqua useremo per lavarci? Che festività di
perdono, che sacro gioco dovremo inventarci? Non è forse la grandezza di
questa morte troppo grande per noi? Non dovremmo forse diventare divinità
semplicemente per esserne degni? »
Da Guccini a Nietzsche
Guccini parte da questo presupposto filosofico altissimo, lo riadatta alla
situazione degli anni '60 e lo divulga nella forma a tutti accessibile e
memorabile della canzone. Il “Dio” di Guccini, rigorosamente minuscolo, è
stato ucciso dall'involuzione storica del '900 dei totalitarismi e delle ipocrisie,
e potrà essere fatto risorgere solo da volontà giovanile di riscatto. Rimane,
derivato direttamente da Nietzsche, il bisogno di demistificazione e – si
sarebbe detto di lì a poco – di controcultura, per poter tornare alla fase
innovativa della resurrezione. L'affermazione di Nietzsche della morte di Dio
non è identificabile con una delle forme tradizionali di ateismo, in quanto
Nietzsche non pone il problema se Dio esista o meno, o come sia possibile
dimostrarne l'esistenza; parlare della morte di Dio – figura simbolo in cui si
raccolgono tutte le illusioni metafisiche e le forme di trascendenza
affermatesi nel corso del pensiero occidentale- significa piuttosto dare una
valutazione complessiva di un processo storico che si sta compiendo e che si
presenta ormai con i tratti inquietanti del nichilismo. La morte di Dio è la
scomparsa di ogni riferimento abituale, di ogni sicurezza di un millenario
sistema di credenze o secondo l'espressione che dà il titolo a una delle opere
nietzschiane, è il crepuscolo degli idoli, della metafisica, della morale, che per
secoli hanno guidato gli uomini dell'occidente e che ora evaporano nel nulla.
L'annuncio che Dio è morto è la constatazione che il declino dei valori
tradizionali è ormai in atto, anche se gli uomini per lo più non si rendono
conto dei suoi effetti dirompenti e continuano a vivere come se Dio ci fosse
ancora. Ma il vacillare di quel sistema di certezze consolidate produce un
effetto di spaesamento, di vuoto, come di una perdita di peso. Per
comprendere cosa significhi la “morte di Dio” occorre sapere cos'è per
Nietzsche Dio: simbolo che pone il senso stesso dell'essere al di là
dell'essere, cioè in un mondo contrapposto a questo mondo. Dio è
l'espressione delle certezze ultime del mondo e quindi di tutte le concezioni
metafisiche e religiose che sono state create nel corso del tempo allo scopo
di dare un senso e un ordine alla vita. Infatti, secondo la maniera
nietzscheana non esiste un cosmo ordinato e benefico, questa è una visione
che la nostra mente produce, allo scopo di alleviare l'infelicità e la durezza
dell'esistenza. Per poter sopravvivere in questa realtà che risulta 7
contraddittoria, disarmonica, crudele e non-provvidenziale, gli uomini hanno
dovuto imbrogliarsi da soli, cercando di convincere se stessi e i loro figli che il
mondo è qualcosa di “logico”, di benefico e provvidenziale. Da questa
continua volontà di coprire la vera natura del mondo, secondo Nietzsche
derivano le religioni. E quindi Dio non solo rappresenta la più antica delle
bugie, ma anche l'essenza di tutte quelle convinzioni che gli uomini hanno
creato per potere sopravvivere e sentire meno il peso dell'esistenza. La
coscienza di vivere in un mondo divinizzato è così radicata da spingerlo a
ritenere superflua ogni ulteriore contro-dimostrazione della non esistenza di
Dio. Per Nietzsche è la realtà stessa, cioè l'essenza malefica e caotica del
mondo, a confutare l'idea di Dio, l'origine della quale è la paura di fronte
all'essere. La morte di Dio è, dunque, intesa come la scomparsa dei valori
della morale religiosa tradizionale. Non si tratta, infatti, di un'invettiva
ateistica contro le tradizioni religiose, ma di una constatazione: il mondo
borghese-capitalistico moderno è un mondo senza Dio. Non resta che
prenderne atto e agire di conseguenza, superando il “vecchio uomo”.
Il grande annuncio
“Gott ist tot!” compare per la prima volta nell'opera La gaia scienza (1882)
attraverso il racconto de L'uomo folle:
“Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del
mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio!
Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non
credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è
perduto come un bambino?” fece un altro. “0ppure sta ben nascosto? Ha
paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una
gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi
sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi
ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo
fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima
goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai
facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si
muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un
eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste
ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un
infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto piú freddo?
Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo accendere
lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono
Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina
putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto!
E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli
assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad
oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo
sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la
grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dei, per 8
apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti
coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad
una storia piú alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A
questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi
ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a
terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto
– proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è
ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino
alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle
costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state
compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre