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« C'era una volta... - Un re! - diranno subito i miei piccoli
lettori. No ragazzi, avete sbagliato: c'era una volta un pezzo
Le avventure di Pinocchio)
di legno. » (Collodi,
Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino è il titolo del romanzo ottocentesco che ha come
protagonista un notissimo personaggio di finzione, appunto Pinocchio, che l'autore chiama
impropriamente burattino, pur essendo morfologicamente più simile a una marionetta (corpo di
legno, presenza di articolazioni) al centro di celeberrime avventure. Si tratta di un classico della
cosiddetta letteratura per ragazzi e fu scritto nel 1881 da Collodi (pseudonimo dello scrittore Carlo
Lorenzini) e pubblicato nel 1883 dalla Libreria Editrice Felice Paggi di Firenze con le illustrazioni
di Enrico Mazzanti.
Il personaggio di Pinocchio - burattino umanizzato nella tendenza a nascondersi dietro facili
menzogne e a cui cresce il naso in rapporto ad ogni bugia che dice - è stato fatto proprio con il
tempo anche dal mondo del cinema e da quello dei fumetti. Sulla sua figura sono stati inoltre
realizzati album musicali e allestimenti teatrali in forma di musical.
Nelle intenzioni di Collodi pare non vi fosse quella di creare un racconto per l'infanzia: nella prima
versione, infatti, il burattino moriva, impiccato a causa dei suoi innumerevoli errori. Solo nelle
versioni successive, pubblicate a puntate su un quotidiano (il Giornale per bambini diretto da
Ferdinando Martini, a partire dal n. del 7 luglio del 1881), la storia venne modificata con il classico
finale che oggi si conosce, con il burattino che assume le fattezze di un ragazzo in carne ed ossa.
Valore pedagogico del romanzo
Va detto che la letteratura per ragazzi dell'Ottocento cominciava a riservare un sensibile riguardo
verso opere talvolta tristi e crudeli, come ad esempio quelle del Dickens, che scaraventavano sul
giovane lettore le amare emozioni suscitate dalla vita di un bambino nella rivoluzione industriale,
quasi che il supporto pedagogico della novellistica dovesse irrinunciabilmente muovere da un "fiat"
di pronta disillusione.
In ciò, che era ormai consuetudine, non è dunque strano incontrare crudeltà e cattiveria (poi
alleviate nel succedersi delle versioni) anche nell'opera del Collodi che, a rileggerla scevri di
addolcimenti della memoria infantile, potrebbe oggi non risembrarci tanto allegra. E del resto, su
altri filoni letterari di primaria diffusione, erano i tempi in cui il verismo Verghiano nervosamente
andava a rimestare il peggio dell'esistenza popolana.
Di fatto, quasi nessuno scrittore componeva davvero (sentitamente) per il pubblico infantile, ma
piuttosto scriveva quanto l'idealità pedagogica abbracciata gli suggeriva. Comunque, va ribadito che
l'iniziale creazione collodiana era attendibilmente rivolta ad un pubblico adulto, come del resto la
storia personale dell'autore aiuta ad ipotizzare.
Molti commentatori effettivamente convengono che Pinocchio, piuttosto che una favola per ragazzi,
sia in effetti un'allegoria della società moderna, uno sguardo impietoso sui contrasti tra rispettabilità
e libero istinto, in un periodo (fine Ottocento) di grande severità nell'attenzione al formale.
Il racconto
Il vecchio falegname Mastro Antonio, più noto come Mastro Ciliegia, vuole fare di un semplice
pezzo di legno da catasta una gamba di un tavolino ma, mentre è sul punto di lasciar cadere l'ascia
sul pezzo di legno, sente una vocina sottile che gli grida: "Non mi picchiar tanto forte!". Il
falegname rimane allibito e, credendo di aver sentito male, riprende a lavorare. Tuttavia la vocina
continua a farsi sentire implorando all'uomo di non fargli male e il povero falegname, esasperato,
sviene.
In quel mentre arriva nella sua bottega il vecchio Mastro Geppetto, chiamato anche Polendina per
via della sua parrucca gialla somigliante alla polenta di granturco; egli si è recato dall'amico
falegname per chiedere un pezzo di legno: Geppetto ha intenzione infatti di creare una marionetta
(nel libro è chiamato burattino). Mastro Antonio cede così volentieri all'amico quel pezzo di legno
che tanto lo ha fatto penare.
Subito Geppetto inizia ad intagliare il burattino ma questo, appena gli è stata fatta la bocca, inizia a
deriderlo e a canzonarlo. Quando poi gli vengono fatte le gambe, Pinocchio esce dalla porta di casa
e inizia a scappare, incappando nei carabinieri, che riportano il burattino a casa e arrestano il padre
Geppetto.
Pinocchio è intanto a casa e incontra un Grillo parlante, il quale lo ammonisce riguardo alle
scappatelle che ha commesso, ricordandogli che i ragazzi che abbandonano la casa del padre ne
avranno da pentirsene e rimarranno ignoranti; il burattino tuttavia non ascolta le prediche del saggio
Grillo e gli lancia un martello, che spiaccica al muro l'insetto.
Dopodiché, rimasto da solo, decide di prepararsi una frittata, ma dall'uovo che ha intenzione di
usare, invece che tuorlo e albume, esce un neonato pulcino che fugge via dalla finestra. Pinocchio
pensa allora di cercare di elemosinare per strada qualcosa da mangiare ma, essendo notte inoltrata,
dopo aver svegliato un anziano signore per chiedergli un tozzo di pane, ottiene solo una secchiata
d'acqua.
Il giorno dopo, quando Geppetto torna a casa, Pinocchio si convince a mangiare anche la buccia
della pera, che è tutto quello che può offrire il povero padre, ed esprime il suo desiderio di andare a
scuola; il babbo mostra il suo amore verso il figlio vendendo la sua giacca per acquistare
l'abbecedario.
La mattina dopo Pinocchio, mentre si avvia verso scuola, inizia subito a pensare a ciò che imparerà
e a come inizierà a guadagnare e a diventare ricco; i suoi pensieri vengono distratti dall'idea di
entrare al Gran Teatro dei Burattini: attratto dalla folla attorno al baracchino dei biglietti, la
marionetta vende il suo abbecedario per pagare i quattro soldi l'ingresso.
Seguiranno l'incontro con le marionette, con Mangiafuoco, il Gatto e la Volpe, la notte degli
assassini, la fantomatica apparizione della "bambina dai capelli turchini", ovvero la fata, e altre
avventure e altri incontri.
Una serie di avventure vissute da Pinocchio lo vede crescere e maturare in un cammino fatto di
scelte dissacratorie e individualistiche, di trasformazioni incredibili, fra cattivi maestri e cattive
compagnie, la condanna e la prigionia, ma anche di promesse e di voglia di vivere.
Allegoria di Pinocchio, R. Dughetti
Apuleio
Lucio Apuleio, o Apuleio da Madaura (Madaura, 125 – 180 circa), è stato uno scrittore, filosofo,
retore e alchimista latino di scuola platonica.
La vita
Nacque a Madaura, piccolo ma importante avamposto romano in Africa Occidentale, attorno al 125
d.C. Il prenome Lucio, dato da alcuni codici, è sospetto, poiché coincide con quello del
protagonista-narratore del romanzo apuleiano. Il padre, che fu anche duumviro (cioè console, la più
alta magistratura municipale) della città, lasciò a lui e al fratello una eredità di quasi 2 milioni di
sesterzi. I primi studi, grammaticali e retorici, li fece a Cartagine, dove fu forse iniziato al culto di
Esculapio, corrispettivo romano del dio greco della guarigione Asclepio. Poté quindi approfondire
poesie, geometria, musica, e soprattutto filosofia ad Atene, dove fu certamente iniziato a vari culti
di una certa importanza tra i quali quello dei misteri Eleusini. La vita di Apuleio fu caratterizzata da
un grande amore per i viaggi: brillante conferenziere e curioso d'ogni scienza, filosofia o culto, fu a
lungo una specie di clericus vagans del suo tempo. Si recò a Roma dove fu iniziato al culto di
Osiride e di Iside e praticò con successo l'avvocatura. Sulla via di Alessandria, si imbatté in un
vecchio compagno di studi, Ponziano; approfittò della sua ospitalità e fu coinvolto in una storia che
avrebbe lasciato un segno indelebile nella sua esistenza, sin qui felicemente errabonda. Ponziano
aveva una madre, Pudentilla, vedova, non bella ma con un considerevole patrimonio: egli volle che
Apuleio, fidato amico e, in quanto filosofo, indifferente alla ricchezza, la sposasse. Apuleio a lungo
recalcitrò, ma alla fina cedette e sposò la donna, e alla morte di Ponziano i parenti di Pudentilla, per
timore di perdere la ricca eredità, gli intentarono un processo, accusandolo di aver sedotto la donna
con le sue arti di mago. Il processo si celebrò a Sabràta tra la fine del 158 e gli inizi del 159 d.C.
Dopo essere stato assolto, Apuleio fissò la sua dimora a Cartagine, dove forse rimase fino alla
morte. Carico di gloria per i molti libri scritti e per le statue erette in suo onore, fu anche per un
anno sacerdote della provincia: una carica di grande prestigio, religiosa e civile insieme, a cui era
affidato il culto dell'imperatore e di Roma, ma anche funzioni di governo e di rappresentanza.
Poiché dopo il 170 non si ebbero più sue notizie, la sua morte è avvolta nel mistero.
Le opere
Apuleio scrisse moltissimo: di tutto, in versi e in prosa, in greco e in latino, anche se molto è andato
perduto. Dei Carmina amatoria ci restano 2 epigrammi conservati in Apologia 9, dei Ludicra ancor
meno, degli Hymi in Aesculapium e della produzione in greco non è rimasto nulla. Della prosa
latina, vastamente enciclopedica, si son perse sia opere scientifiche (De arboribus, De re rustica,
Naturales quaestiones, De musica, De arithmetica) che di varia erudizione (Quaestiones
conviviales, De republica, De proverbiis), nonché una traduzione del Fedone platonico. In
compenso, parte di ciò che ci è giunto sotto il suo nome non è autentico, pur rientrando nella sua
ottica di indagatore curioso dei culti misterici e dei segreti della natura. Si sono salvate, tuttavia,
alcune importanti opere a carattere filosofico-scientifico, una raccolta di conferenze, schede, estratti
d'interesse retorico ed erudito (Florida, l'Apologia, e soprattutto gli undici libri del romanzo delle
metamorfosi. Le metamorfosi
Le metamorfosi (Metamorphoseon) dello scrittore latino Apuleio costituisce, assieme al Satyricon
di Petronio, l'unica testimonianza del romanzo antico in lingua latina. È infatti l'unico romanzo
latino pervenuto intero ad oggi. Con l'intreccio di episodi variamente collegati alla magìa che ne
costituisce la nervatura, lo scritto non sarebbe potuto passare sotto silenzio all'epoca del processo
per magia cui l'autore fu sottoposto nel 158; quindi è possibile desumere che la sua stesura sia
posteriore a quella data.
Il titolo Metamorphoseon libri conobbe presto la concorrenza di quello con cui l'opera fu indicata
da Agostino di Ippona nel De civitate Dei (XVlll, 18): Asinus aureus, L'asino d'oro.
Il soggetto
Degli undici libri, i primi tre sono occupati dalle avventure del protagonista, il giovane Lucio
(omonimo dell'autore, che forse proprio dal protagonista assunse il nome) prima e dopo il suo arrivo
a Hypata in Tessaglia (tradizionalmente terra di maghi). Coinvolto già durante il viaggio
nell'atmosfera carica di mistero che circonda il luogo, il giovane manifesta subito il tratto distintivo
fondamentale del suo carattere, la curiosità, che lo conduce ad incappare nelle trame sempre più
fitte di sortilegi che animano la vita della città.
Ospite del ricco Milone e di sua moglie Pànfila, esperta di magia, riesce a conquistarsi i favori della
servetta Fotide e la convince a farlo assistere di nascosto a una delle trasformazioni cui si sottopone
la padrona. Alla vista di Pànfila che, grazie a un unguento, si muta in gufo, Lucio prega Fotide che
lo aiuti a sperimentare su di sé tale metamorfosi. Fotide accetta, ma sbaglia unguento, e Lucio
diventa asino, pur mantenendo facoltà raziocinanti umane.
È questo l'episodio-chiave del romanzo, che muove il resto dell'intreccio. Lucio apprende da Fotide
che, per riacquistare sembianze umane, dovrà cibarsi di rose: via di scampo che, subito cercata, è
rimandata sino alla fine del romanzo da una lunga serie di peripezie che l'asino incontra.
Piani narrativi
Una seconda sezione del romanzo comprende le vicende dell'asino in rapporto a un gruppo di