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Le prelibatezze più raffinate erano legate alla panetteria del castello e le tavole
signorili si presentavano colme di pani con vari condimenti. A Brescia
esistevano molti forni: già a partire dal Duecento ogni famiglia comperava pane
ai forni, la gente comune non poteva permettersi lussi, ma l’immagine
dell’uomo medioevale indebolito da un’alimentazione insufficiente, è uno dei
luoghi comuni da sfatare; anche in città si era conservata l’abitudine di
coltivare l’orto dietro casa con qualche pollo a razzolare.
L’olio dei laghi, i cavoli, i cipollotti dei Ronchi, gli agnelli della Franciacorta, i
vitelli della Bassa, i coregoni e i lucci del lago si acquistavano al mercato
vecchio di Brescia, dove si trovavano venditori ambulanti, venditori di uova,
formaggio e selvaggina.
Anche il vino era prodotto e venduto senza troppi problemi e il consumo di vini
raffinati divenne un vero e proprio status symbol. Vini importanti a Brescia se
ne produssero subito a partire dal Mille Fu proprio in quell’epoca che si
presenta una generale quanto ampia diffusione della vite sia in pianura che in
collina, lungo i fiumi a ridosso dei laghi d’Iseo e di Garda e nelle tre valli.
Rinascimento e Illuminismo
Un periodo vivace, per certi aspetti opulento;eppure non mancano le carestie,
le epidemie, i terremoti e le pestilenze. Improvvise alluvioni costellano la
provincia e gli inverni sono temibili e freddissimi; si riscontrano comunque
lunghe stagioni di prosperità agricola e di vivaci riprese dell’attività in tutti i
settori lavorativi.
Per quanto riguarda il cibo le condizioni socio-culturali non sono le stesse: nella
Bassa si è soliti consumare pappe, creme, polente, cereali ridotti in poltiglia
biancomangiare
dopo la bollitura. Qui in zona si parla di un per i più ricchi e
facoltosi, una crema di riso la cui farina ne è ingrediente fondamentale col
brodo, carne di gallina, zucchero, latte di mandorle, spezie e strutto. Lo strutto
veniva usato in svariati modi e risulta il più prezioso ingrediente con cui i
contadini del nord si preparavano le brodaglie calde. Poi, ancora rape e polenta
o fagioli, alimenti per tutti.
Tuttavia, nel Seicento le annate di carestia non furono poche e una cattiva
stagione provocava disastri. Le razioni alimentari diminuite rendevano indifese
la gente più povera e il pericolo di epidemie erano sempre in agguato. Anche a
Brescia, il nuovo mondo aveva già offerto i suoi doni, ma passerà del tempo
prima che a trarne vantaggio sia la gente del popolo. Ai pranzi delle famiglie
altolocate venivano serviti pavoni e cigni, aironi e cicogne.
Vino e bevande acquisiscono sempre maggior significato nella storia
enogastronomica della città e del ricco e contradditorio Settecento. La
tradizione vinicola bresciana è straordinaria e i vini che si ottenevano anno per
anno da prelibati miscugli di uve, ebbero veri successi.
Ma, altre meno spumeggianti bevande percorrevano in quegli anni la strada
della popolarità, come cioccolata e caffè, che si diffusero in tutti i salotti della
nobiltà europea.
Ottocento
La gastronomia, suscita l’interesse dei pittori e dei letterati. Brescia vanta
sicuramente alcuni ghiottoni famosi, ma rimane condizionata dalla povertà. Le
cucine borghesi si qualificano, imitando gli stili di vita dell’aristocrazia. la
Sul lago i pescatori, grazie all’esperienza, distinguono il carpione nei tipi
stella, perché sul dorso ha delle macchie a stellina, le sue carni sono rosate ed
il moro
è la specie più pregiata; per via del colore bruno della livrea, carne rosa;
il liscio o argentato con carne chiara, meno soda e quindi non pregiata come le
altre. Lontano dai laghi il pesce, veniva presentato secco o annegato tra spezie,
fumi e profumi, che talvolta non nascondevano l’odore terribile di carne in
decomposizione.
Purtroppo o grazie a Dio, anche le frodi si industrializzavano; per addolcire i vini
acidi si utilizzava il litargirio d’argento, mentre sul Garda i vini si conservavano
freschi e a lungo, grazie a un miscuglio di arsenico, zolfo e bitume; i lattai
annacquavano il latte, nelle campagne manerbiesi si arricchiva il formaggio con
brodo grasso per farlo risultare più untuoso.
Le massere aiutano le donne a preparare le erbette e nella stagione autunnale
cucinano grandi pentole di marroni cotti nel latte e preparano polpettoni ai
pinoli e uva che rievocano le torte di verdure in involucri di pasta. Le osterie
accolgono la vivacità di un mondo modesto o borghese.
Novecento
La gastronomia di alto livello anche a Brescia attinge ai francesi, ma si
distingue definitivamente dai ricettari per diventare un complesso di tecniche e
metodi applicabili alle nostre tradizioni locali. L’alta cucina via via si semplifica
al massimo nell’esecuzione e nella presentazione: spariscono ornamenti
complessi e si esalta il sapore dell’alimento stesso. L’alta cucina è ad
appannaggio dell’alta società. Mentre la cucina semplice e locale, resta
confinata in famiglia e trattoria.
Verso la fine del primo conflitto mondiale i futuristi “dichiarano guerra”, alla
pastasciutta e ai cibi tradizionali ed un ideologia corrente, di esaltazione di
autarchica sportiva sobrietà, fa si che nella puritana Brescia ci si vergogni a
farsi vedere mangiare.
Benito Mussolini assieme alla battaglia del grano, lancia un concorso nazionale
per la celebrazione del pane. guida
Il Touring club italiano, nel 1931, esce con la prima edizione della
gastronomica d’Italia, che rimarrà in commercio fino al 1969, con l’uscita della
guida all’Italia gastronomica.
seconda edizione e, nel 1984 apparirà con il titolo
Le preparazioni alimentari citate sono copiose e danno una consistente prova
della cucina bresciana.
TRADIZIONI GASTRONOMICHE
Purtroppo, non c’è una mappa gastronomica ben precisa in quanto a Brescia è
mancata una corte principesca che incentivasse la fantasia dei cuochi. Anche
se questa cucina è più semplice, essenziale, creativa, curiosa, originale, a volte
geniale.
Inoltre con l’industrializzazione si son perse molte delle tradizioni culinarie, per
il troppo lavoro. Le mamme e le nonne si dividevano tra la casa e la fabbrica;
nonostante questo sono riuscite a preservare una parte di questa cultura, con
dei cambiamenti. Ad esempio la sostituzione dei condimenti bresciani per
eccellenza, strutto e lardo, con burro e olio, destinati anche loro a ridursi nelle
quantità.
Del maiale invece, come è noto, si usava e si usa tutto. L’animale era nutrito
con cereali, ghiande, castagne, scarti della cucina e dell’orto, siero del latte e
doveva arrivare nelle condizioni da non reggersi quasi più in piedi e restare al
suo posto e continuare a mangiare fino alla macellazione. Da qui si ricavavano
salumi, lardo strutto e sugna, che potevano insaporire ed elevare le calorie del
cibo magro. La sugna, oggi usata solo per gli insaccati, all’epoca era preziosa
per curare contusioni e reumatismi di uomini e bestie.
Esperienze millenarie hanno indicato tra le molteplici specie delle erbe, quelle
possibili da consumare, i frutti del bosco e sottobosco, regalati dalla natura, in
primavera portavano fuori le lumache, anche loro buone al palato.
I laghi, i fiumi, i torrenti e le risaie, erano vivai dove proliferavano numerosi
speci ittiche. Il pesce di mare si presentava invece conservata o sotto sale.
Queste sono solo alcune delle particolarità della cucina bresciana ma,
bisognerebbe andare più a fondo per conoscerne i segreti e per questo non
bisogna guardare solo la provincia di Brescia in generale, ma anche tutte le
zone che ci sono all’interno di essa. In particolare vorrei parlare e approfondire
un po’ della gastronomia della zona del lago d’Iseo e della Franciacorta.
È tutta una rivincita contro le apparenze, i pregiudizi, gli snobismi. Prima di
giudicarla bisogna essere conoscitori e farsi l’anima del vero buongustaio. Dato
questo, sono da prendere in considerazione gli elementi che caratterizzano
questa zona.
In primo luogo la pesca, cosi abbondante, che non si riusciva a vendere tutto il
pescato ai mercati di Brescia e Bergamo, in particolare la tinca, oggi emblema
del lago d’Iseo e Clusane ne è la patria.
Le alborelle sono un’altra peculiarità del Sebino, e per conservarle si erano
escogitate varie astuzie. Ad esempio dopo essere state tenute sotto sale per
alcune ore vengono fatte seccare su particolare graticci, quindi riposte in
recipienti adatti e aromatizzate. Un altro metodo era lasciar il pesce (sardine)
all’aria per una decina di giorni e poi metterlo sotto sale per ventiquattro ore e
poi lavare. Quest’ultimo metodo si dice risalga al Medioevo.
Nelle acque del lago d’Iseo si possono pescare il salmerino, la trota, il
coregone, l’agone, le alborelle, il luccio, il cavedano, la tinca, il pesce persico, il
pesce gatto, la bottatrice, la sardina e l’anguilla, che la necessità ha sposato ad
ingredienti semplici offerti dalla natura del luogo come olio, ortaggi, aromi
dell’orto e del monte
Le Torbiere, sito all’estremità meridionale del Sebino, riserva naturale, è la
prima in Lombardia, dov’era possibile cacciare oche e anatre selvatiche,
germano reale, gallinella d’acqua e la folaga.
Il lago d’Iseo non ha dato particolari ricette per lo spiedo, ma si è sprecato in
fantasia con la polenta abbinandola con aole, fagioli, radicchio; oppure fritta,
pasticciata o cotta con gli spinaci.
Gli ulivi che crescono sul lago d’Iseo danno un olio di grande qualità dal colore
tendente al giallo paglierino e dal sapore delicato.
Il pesce caratterizza la cucina del Sebino, ma la carne bovina e la cacciagione
il manzo di Rovato all’olio;
caratterizzano la Franciacorta. Tipico è uno stufato di
carne che ha la particolarità di venir servito su una salsa composta da verdure
con le quali è stato cotto, passate al setaccio e legate con olio, pane e
Parmigiano grattugiati. A Gussago è possibile gustare lo spiedo di uccellini, oggi
proibito e sostituito da quello con carni di coniglio, pollo e maiale. Nelle Torbiere
la folaga con olive dei laghi.
si ricorda
Nei dolci invece, si ritorna a quelli comuni in tutta la provincia bresciana: torte
secche a base di farina, burro, uova e zucchero, con mandorle o canditi; torte
di mele o di castagne.
tradizione bresciana per eccellenza
LO SPIEDO –
Non c’è bresciano DOC i cui occhi non brillino nel nominare lo spiedo, perché
l’essere cacciatore è marchiato nel proprio codice genetico. L’istinto dell’uomo
per la caccia e ben datato, in quanto la selvaggina forniva un ottima fonte di
energia. Anche se bisogna risalire alla dominazione longobarda nel Medioevo,
quando fu proibito l’abbattimento di animali di grossa taglia, mentre questo
divieto lasciò quasi completamente il campo libero alla caccia agli uccelli. Per
necessità quindi nacquero spiedi con polli, conigli, anatre e quaglie. Nel
bresciano non esiste un unico modo di fare lo spiedo ma se ne possono
distinguere tre: bresciano e valtrumpino, valsabbino, Valle Sabbia e Valtenesi.
Brescia, Val Trompia e Bassa
Servono tre uccellini dal becco fino come tordi, fringuelli, allodole e due fettine
di lombo di maiale per persona. Gli uccellini vengono privati dalle interiora
tranne che per lo stomaco. I più piccoli vengono messi ai lati dello spiedo,
mentre quelli più grossi al centro, il tutto è intervallato da fettine di lombo
battute e arrotolate su se stesse con una strisciolina di lardo e salvia.
Condimento con solo burro.
Zona intermedia sulla Gardesana
Viene inserita anche la carne di coniglio. In altri paesi ci si utilizzano anche
costine di maiale, pollo e patate. Anche qui solo burro per condimento.
Valle Sabbia, Salò, Alto Garda
Oltre agli uccellini di vario taglio, include anche carni tipo pollo e coniglio,
costine, anatra, fegato di maiale avvolto nella reticella, coppa invece di lombo.
I pezzi da spiedare devono essere di egual misura per evitare disarmonie nel
piatto. Gli elementi si alternano così: fetta di patata, salvia, uccellino, salvia,
patata, pezzo di pollo, salvia patata, una costina, salvia, patata…..etc….